La neve copre tutto di Earl Faltz

Un racconto presentato da Alfred Hitchcock

Pubblicato in Italia nel gennaio 1961 sul giornale "La Domenica del Corriere"

Per coloro che hanno il senso della poesia la neve può significare purezza, candore, pace, malinconia. Per i cultori dello sport la neve è una eccellente scusa per lasciare la città e andare a sedersi davanti a un caminetto insieme con altri sciatori. Ad uno cresciuto in campagna come Harold Olide la neve ricordava un fantastico e delizioso mondo di sogni. Perché quando era bambino una nevicata significava che poteva stare in casa nella calda e accogliente fattoria, a leggere, a giocare, a sognare.
Quella sensazione persisteva in lui sebbene ormai da 25 anni non avesse più messo piede in una fattoria, occupato com'era ad arrampicarsi su, sempre più su, verso le cime direzionali della Compagnia Peyton, metalli all'ingrosso.
I giornali avevano previsto da cinque a otto centimetri di neve e quando Harold era salito sul treno che dalla periferia lo portava a New York, la neve cominciava già a cadere. A mezzogiorno quando usci dall'ufficio per far colazione con un cliente, si capiva che una grossa nevicata era in corso, una vera e propria bufera di neve. Ne erano già caduti dieci centimetri e diventava sempre più fitta. A metà del pomeriggio la segretaria annunciò ad Harold, che la città cominciava ad essere paralizzata; i treni erano zeppi di gente che tentava di partire prima dell’ora di punta creando cosi un'ora di punta anticipata e intralciando ancor più il servizio.
Quando telefonò a sua moglie verso le quattro del pomeriggio, Harold Cilde sentì che le strade erano bloccate e che ella non avrebbe potuto aspettarlo alla stazione con la macchina. E poiché Harold doveva già far tardi per una riunione, decise che avrebbe trovato alloggio in un albergo e passato la notte in città. Disse alla segretaria di fissargli una camera e andò al convegno.

Sulla lista nera
Era una importante riunione dei dirigenti della Compagnia. Harold aveva con sé tre grosse pratiche. Una riguardava l'indagine fatta per scoprire uno sconosciuto dipendente che da tempo e sistematicamente sottraeva denaro alla Compagnia. La seconda pratica riguardava la vendita di materiali a una dittatore sud-americano, vendita alla quale egli si era opposto ma senza riuscire a far valere la propria opinione di fronte all'amministratore. La terza pratica conteneva proposte di licenziamento di otto persone, due delle quali avrebbero partecipato alla riunione, già sapendo di essere sulla lista nera.
Nella Compagnia, il signor Harold Clide aveva fama di accanito lavoratore. Non era un sentimentale e si era fatto molti nemici. Ma non se ne curava troppo perché aveva poca stima dei suoi simili. Questo suo atteggiamento gli aveva già procurato alcuni fastidi.
A quarantacinque anni Harold Clide aveva fatto molta strada. Era entrato nella Compagnia come autista, era poi passato all'ufficio vendite e come venditore aveva trionfato. Con tutta evidenza era sulla buona strada per occupare posti molto alti, forse il più alto nella ditta, perché continuava a salire di gradino in gradino: dalle vendite alla produzione, alla ricerca, all'ispettorato generale, su su, sempre più su. Era intelligente, leale, onesto e lavoratore accanito.
La grande nevicata ritardò l'arrivo del presidente e gli altri rimasero seduti al tavolo della conferenza chiacchierando di cose minori. Tutti salvo Harold che approfittò dell'attesa per telefonare a una succursale e sistemare alcune faccende.
Alle cinque del pomeriggio l'autista del presidente telefonò per dire che la macchina aveva avuto un incidente e la riunione fu rimandata. Harold tornò al telefono e parlò con Washington per sentire che piega prendeva la vendita della merce al dittatore. La cosa minacciava di provocare un incidente internazionale.
Mentre egli telefonava gli altri se ne andarono e quando tornò in ufficio non c'era più nessuno, salvo la sua segretaria.
- Non riesco a trovarle una camera, signor Clide - disse miss Bardley; - gli aeroplani non possono decollare, i treni sono zeppi e molta gente pernotta in città. Ho tentato per più di un'ora e mezzo.
- Va bene - disse Harold, - troverò un rimedio. Vada pure a casa, signorina, altrimenti rimane bloccata anche lei.
- Non ho premura - disse miss Bardley, - continuerò a cercare.

Troppo lusso
La signorina Bardley non era una bellezza, però non era nemmeno orribile. Aveva una certa tendenza a superare il peso medio, si pettinava con un paio d'anni di ritardo sulla moda, ma possedeva qualità che la rendevano preziosa per Harold. Era, come lui, onesta, intelligente e instancabile.
Alle sette di sera fu evidente che non si trovava alloggio. Miss Bardley aveva telefonato perfino alle tane di pulci dei bassifondi di New York. Disse a Harold che non c'era niente da fare.
- Ho tentato tutto, signor Clide. La città è colma. Adesso rinuncio e vado a mangiare se lei permette.
Harold pensò che tanta lealtà meritava un premio. Le offrì di cenare con lui. Miss Bardley accettò, dopo averci pensato un momento. Harold telefonò a sua moglie, le comunicò la situazione e la informò che se proprio non trovava alloggio avrebbe preso il treno delle 11 di sera. Sua moglie gli consigliò di telefonare ai Warner, loro amici, e chiedere ospitalità. Egli tentò ma in casa Warner nessuno rispose.
Harold e la signorina Bardley cenarono in un ristorante italiano, tranquillo e appartato. Ne aveva scelto apposta uno fuori mano per evitare di essere visto con la segretaria. Non che ci fosse qualcosa di male, ma la gente ha sempre la tendenza a pensare al peggio.
Harold bevette i suoi soliti due bicchieri. Miss Bardley fece altrettanto. Poi si concessero una bottiglia di vino. E quando uscirono dal ristorante si sentivano entrambi piacevolmente allegri.
Fuori c'erano più di trenta centimetri di neve. La città era stranamente silenziosa. Poche automobili tentavano di sfidare la bufera e quelle che ci riuscivano passavano silenziose sulla neve.
- Oh Dio! - esclamò Harold. - Mi pare di essere ai bei tempi, nella mia vecchia campagna.
Guardò le scarpe di miss Bardley.
- Ma lei si prenderà una polmonite con quelle scarpine - disse. - Dove abita?
- Nella Cinquantaseiesima Strada Est - rispose la segretaria.
- Ecco un tassi! - esclamò Harold e si tuffò nella neve per tentare di fermare la vettura. Ci riuscì e per quasi tutta la strada dovettero ascoltare le lagne dell'autista che descriveva le sue difficoltà a guidare con quelle strade. Harold commentò che aveva visto affari da centomila dollari conclusi con meno chiacchiere di quante non ne facesse lui, l'autista, per guadagnarsi la mancia. Allora il tassista, offeso, si chiuse in un dignitoso silenzio.
- E adesso dovrò andare a cercare un alloggio - disse Harold quando stavano per arrivare da miss Bardley. - Forse a quest'ora i miei amici Warner saranno rientrati.
- Può telefonare da casa mia - propose la segretaria. - Non vorrei che fosse costretto a girare a vuoto, e magari a rimanere senza riparo.
- Sì, buona idea, verrò a telefonare - disse Harold, - i miei amici non abitano lontano da qui. E se sono in casa posso andarci a piedi.
Diede una generosa mancia all'autista e salì con la signorina Bardley.
Era una casa nuova e moderna. L'appartamento di miss Bardley, sebbene piccolo, era ammobiliato con lusso. Harold notò vagamente che era più di quanto una segretaria potesse permettersi.
- E' bello qui - disse guardando in giro.
- Grazie rispose miss Bardley. - E' una casa in condominio, Mio padre mi ha lasciato un po' di denaro; altrimenti non avrei potuto permettermelo.

Un uomo da pescare
Harold telefonò ai suoi amici, ma non c’erano. Miss Bardley preparò un paio di bibite al rum ed entrambi sedettero bevendo e discorrendo di cose banali finché arrivarono a parlare di ciò che avevano in comune, cioè del lavoro alla Compagnia.
- Scommetto che non è riuscito a combinare niente oggi alla riunione - disse la segretaria.
- Proprio niente - confermò Harold e, un po' per il vino e per il rum, un po' perché la casa era accogliente e miss Bardley simpatica, si sentì in vena di confidenze: - Eppure avrebbe potuto essere una riunione molto interessante - aggiunse.
- Se non sbaglio lei era in vena di dar battaglia - disse la donna.
- Eh, ci sono tanti bubboni che stanno per scoppiare.
- Davvero?
- Lo sa? - disse Harold abbassando la voce come per fare una confidenza. Sono sicuro che nella Compagnia c'è un falsario. C'è uno che sta truffando e intascando denaro. Ci sono ammanchi. Forse sono fatture falsificate o cose del genere.
- Ma davvero?! - esclamò miss Bardley curvandosi in avanti per ascoltare. - Ma sa chi è? - Le sue dita che reggevano una sigaretta, ebbero un leggero tremito.
- Può essere una sola persona - disse Harold. - Certo non avrei fatto nomi oggi. Ma volevo chiedere l'autorizzazione a far venire controllori dall'esterno.
- Ne ha già parlato a qualcuno?
- No - disse Harold.- Nessuno sa niente finora. Ho preferito tenere la cosa per me finché non riuscivo a pescare l'individuo. Forse non avrei detto niente neppure a lei se non fossi venuto qui. E' per principio, lei mi capisce.
- Oh, lo sa che io non parlo, signor Clide - disse la segretaria. Si alzò d’improvviso e andò alla finestra. - Nevica ancora - osservò.
- Proverò di nuovo a chiamare i Warner - disse Harold.

Allarme
Questa volta i suoi amici erano in casa e gli offrirono una camera.
- Il problema è risolto - disse Harold tornando dalla segretaria. - Non mi resta che ringraziarla, signorina.
- Era il meno che potessi fare - ella disse. Fece pausa, poi aggiunse: - Signor Clide, vorrei chiederle un grosso favore: potrebbe andare in negozio per me? Avrei bisogno di un po' di biscotti e del latte per la colazione.
- Ma certo - disse Harold, mi faccia una nota di quello che le occorre.
Miss Bardley scrisse una lista.
- Mi farebbe comodo anche un po' di rum - disse. Ho consumato per le nostre bibite tutto quello che avevo in casa. - Prese la borsa per cercarvi denaro, ma Harold non lo accettò.
Non appena Harold fu uscito, miss Bardley corse al telefono e formò un numero.
- Jim - disse. - Non ho potuto chiamarti perché il signor Clide è venuto da me dopo che abbiamo cenato insieme.
- Oh, ma bene! Spero che vi sarete divertiti.
- Jim, ascolta; non ti ho mai chiesto dove prendi tutto il denaro che hai, ma stasera il signor Clide ha detto che chiameranno un controllore dei conti dall'esterno.
Dall'altra parte del filo Jim non parlò.
Con voce drammatica la segretaria aggiunse: - Jim, sei tu quella persona?
- Dov'è Clide adesso? - chiese Jim.
Ella gli raccontò delle compere, e che poi Clide sarebbe andato a dormire dagli amici.
- Cerca di trattenerlo quando ritorna - disse Jim, - dammi il tempo di arrivare lì. Quando sarò di sotto ti telefonerò.
- Che cosa vuoi fare, Jim?
- Non so. Forse gli parlerò.
- No - disse miss Bardley, - lo sai com'è, lo conosci.
- Troverò un rimedio - ribatté Jim. - Quando telefonerò ti dirò che cosa fare. Ma cerca di trattenerlo finché arrivo.
Quando Harold ritornò coi viveri e il rum, la signorina Bardley insisté perché bevesse un punch per riscaldarsi, prima di tornare sulla neve.
Parve ad Harold di notare che nel frattempo in parte le lampade del salotto erano state spente e che nella casa c’era una romantica penombra, ma non disse niente. Quando sedette sul divano miss Bardley gli si mise accanto. Quando si accese una sigaretta, il ginocchio di miss Bardley sfiorò il suo. Quando accese una sigaretta anche lei, le loro mani si toccarono.
L'eventualità di una simile scenetta era passata per la mente a Harold già quando erano scesi insieme dal tassì, ma egli l’aveva subito respinta. Adesso ci ripensava. Questa ragazza non era una vamp, ma possedeva una certa forza di seduzione, naturale e, un po' primitiva. A lui, ragazzo di campagna, questo particolare non sfuggiva. Se ne era già accorto quando la aveva assunta:
- A che cosa pensa? - chiese d'un tratto miss Bardley.
- Penso che sto diventando vecchio - disse Harold - perché dopo venticinque anni di assenza dalla fattoria mi ritrovo a giudicare le cose col metro campagnolo.
- Che cosa vuol dire?
- Vuol dire che non debbo lasciarmi trasportare dalle nostalgie; che questi sono altri tempi e altri luoghi.
La guardò negli occhi. Era quasi bella. Un po' triste, ma quasi bella. Avvicinò il volto al suo.
- Bisogna che vada - disse, - i Warner mi aspettano.
Si alzò e andò alla finestra. Pensò che doveva anche telefonare a sua moglie.
- Non può... non può restare... ancora un pochino?
Anche miss Bardley si era avvicinata alla finestra. Giù nella strada ella vide una macchina nera che conosceva bene. L'automobile si fermò sul lato opposto. Un uomo ne scese e scivolando e incespicando nella neve si avviò in fretta verso l'angolo dove c’era una cabina telefonica. Anche a quella distanza ella riconobbe Jim.

« Ci penserò io »
Dopo un momento Harold si avvicinò a lei e le mise una mano sulla spalla.
- Vorrei restare... davvero... ma...
Il telefono trillò e la donna andò a rispondere.
- E' ancora lì?
- Sì.
- Sono giù nella cabina. Puoi lasciarlo andare adesso.
- E poi?
- Ci penserò io.
- Che cosa intendi?
- Ascolta - disse Jim a bassa voce - tutti quegli assegni che io ho preparato, lui li ha firmati. Se lui non c'è risulterà che è stato lui. Capisci?
Miss Bardley, non rispose. La sua mente rifiutava di pensare con chiarezza a ciò che stava per accadere.
- E' ubriaco? - domandò Jim.
- Non proprio.
- Cerca di farlo bere ancora un po'. Sarà più facile.
- Va bene.
Miss Bardley riappese e tornò alla finestra dove Harold guardava i fiocchi che continuavano a cadere.
- Una bufera di neve mi dà un senso di irreale, di fantastico. Tutto sembra diverso.
- Eppure sotto la neve ogni cosa rimane come prima - disse la donna.
- Certo, ma diventa difficile separare l'apparenza dalla realtà. E poi, in fondo, che cos'è la realtà? - aggiunse Harold, reso filosofo dal vino e dal rum.
- Preparo un altro punch - propose miss Bardley, e Harold non rifiutò. Approfitto della pausa per telefonare a sua moglie. Le disse che aveva trovato alloggio dai Warner.
- Dove sei adesso?
- In un bar - disse Harold.
Anche in campagna continuava a nevicare. I bambini erano a letto. Tutto era in ordine.
Era tornato accanto alla finestra quando miss Bardley portò i bicchieri. Stettero lì in silenzio a guardare la neve, ognuno assorto nei suoi pensieri. Harold guardò la segretaria e nella tenue luce vide che alcune lacrime le scendevano sulle guance.

Tragica passeggiata
Non poté resistere a quelle lacrime. Depose il bicchiere e la prese fra le braccia. Era soffice, calda e ubriaca. La sua casa, i Warner, la Compagnia… tutto sembrava lontano e dimenticato. Ma la signorina Bardley non portava bene i liquori. Si addormento fra le sue braccia, in piedi, vicino alla finestra. Harold la depose delicatamente sul divano, trovò una coperta e gliela stese sul corpo. Poi in punta di piedi uscì dall'appartamento.
Giù nella strada erano passati i carri spazzaneve e avevano accumulato montagne di neve verso i marciapiedi. Dall'altra parte della strada egli vide una macchina nera che era rimasta bloccata dalla neve accumulata sul lati della via. L'automobilista a bordo era in difficoltà. Non riusciva a metterla in movimento: le ruote giravano a vuoto nonostante gli sforzi del guidatore.
Il primo impulso di Harold fu quello di accorrere in aiuto. Ma poi ci ripenso: era già tardi e l'impresa era difficile. Si avviò in fretta verso la casa dei Warner senza accorgersi che l'automobilista bloccato lanciava su di lui furibonde occhiate e manovrava disperatamente i congegni della macchina recalcitrante.
Harold era ormai a metà strada, tra poco avrebbe raggiunto il caldo appartamento dei suoi amici. Camminando si inebriava dell'aria pura, dei candidi fiocchi che gli accarezzavano la faccia.
Ma cominciava ad avere i piedi umidi. Portava scarpe basse e la neve gli entrava nelle caviglie. Giunto a una curva, nello scendere dal marciapiedi fece un salto per superare la barriera di neve. Ma scivolò. Cadde all'indietro e batté con la testa contro la colonnina di ferro di una pompa antincendio. Il colpo gli fece perdere i sensi, scivolò giù dal marciapiedi e il suo corpo rimase quasi sepolto sotto la massa di neve. Pochi minuti dopo tornò a passare la macchina spazzaneve e sospinse verso il marciapiedi una nuova massa di neve che seppellì del tutto il povero Harold.

« Tutta colpa sua »
Harold Clide giaceva incosciente sotto una pesante coltre bianca alta più di un metro. Verso le sei del mattino il portinaio della casa di fronte uscì con una pala e ripulì alla meglio il marciapiedi e, senza saperlo, gettò altra neve sul corpo di Harold.

Nel breve istante in cui riprese i sensi Harold sentì soltanto una specie di sonnolenza è un vago benessere. Sì, la neve portava veramente un senso di pace.
Gli uffici della Compagnia Peyton si aprirono come al solito il giorno dopo, sebbene alcuni impiegati non si presentassero. Miss Bardley comunicò di essere indisposta. Fu soltanto verso mezzogiorno che la signora Clide chiese di Harold e diede l'allarme. Verso le cinque del pomeriggio fu chiamata la polizia.
Due giorni dopo una squadra di manovali incaricati dello sgombero della neve, scoprì il corpo di Harold Clide. Era venerdì. La settimana successiva i giornali ebbero molto da dire sul conto della Compagnia Peyton. Il defunto Harold Clide, dicevano le notizie, era stato un falsario. Grossi ammanchi erano stati scoperti, ottenuti con documenti falsificati che portavano la sua firma. Pochi giorni dopo scoppiò l'incidente della vendita di metalli proibiti al dittatore sud-americano. I dirigenti della Compagnia affermarono che la colpa era di Harold Clide, morto di recente.
Alla successiva riunione dei dirigenti, alcuni delegati dichiararono che la diminuzione delle vendite era dovuta alle continue interferenze di Harold Clide. L'acquisto di una fabbrica poco redditizia fu attribuito a Harold Clide. I tappeti degli uffici della direzione, che erano costati cari e non avevano dato buon esito, erano stati approvati verbalmente a quanto si disse dal defunto Harold Clide.
E così Harold Clide si portò via la colpa di molte cose storte, perfino delle mollette di metallo che non tenevano bene e delle quali erano stati acquistati centomila pezzi.

Da quella finestra...
La signora Clide vendette la casa, incassò l'assicurazione e si trasferì in California. La Compagnia Peyton, in un impulso di giusto sdegno, tentò di bloccare il pagamento della liquidazione di Harold, ma Jim Powel, il contabile, riuscì a far prevalere la sua opinione e la vedova ricevette il denaro.
Miss Bardley non tornò più in ufficio; diede le dimissioni per motivi di salute. Dopo qualche mese anche Jim lasciò la Compagnia e iniziò un lavoro in proprio, ed ebbe fortuna. Otto mesi più tardi la signorina Bardley lo incontrò per la via. Si guardarono ma nessuno dei due si fermò e non si salutarono.
Lontano, nella fattoria dove Harold era cresciuto, i suoi ex-amici che non si erano mai mossi dalla campagna si raccontarono storie raccapriccianti sul conto di coloro, che lasciano la dolce vita della campagna per avventurarsi nella giungla della città.
Quasi esattamente un anno più tardi ci fu un'altra bufera di neve, a New-York. Durante la notte miss Bardley si avvicinò alla finestra e guardò lo spettacolo. Non si sa che cosa significasse per lei la neve. Forse anche per lei significava pace, perché a un certo momento aprì la finestra e si gettò di sotto. La trovarono il giorno dopo, morta, con un sorriso sulle labbra.

NOTE
Racconti rari riscoperti da Sergio Bissoli. Il 18 dicembre del 1960 la Domenica del Corriere aggiunge una novità: un racconto presentato da Alfred Hitchcock.
Questi racconti proseguiranno quasi ininterrottamente per tutto il 1961 e 1962. C’era sempre la foto di Hitchcock (come nell’immagine qui sotto), spesso diversa, con la scritta: “Hitchcock presenta”, titolo del racconto e nome dell’autore.
Alcuni di questi racconti sono strani, originali e meritano di essere ripubblicati. Ne abbiamo scelti 5 o 6.
Il 29 gennaio del 1961 appare questo La neve copre tutto di Earl Faltz. Pubblicato per la prima volta su Club GHoST.


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