Ambientato in epoca moderna, comincia a mostrare quelle che saranno poi le caratteristiche peculiari (grande tensione, violenza efferata, omicidi creativi) del genere nostrano e guarda caso dietro la cinepresa c’è sempre Mario Bava. Come si sa, questo film, come il precedente e come molti successivi, viene da molti studiosi ritenuto debitore nei confronti dei grandi gialli diretti da Alfred Hitchcock, Psycho (’60) su tutti. È indubbiamente vero, ma è altrettanto importante sottolineare il fatto che nel 1963 un regista americano, Herschell Gordon Lewis, si era fatto notare per un film sadico e sanguinoso (non a caso iniziatore del “gore”, che letteralmente significa “sangue raggrumato”) intitolato Blood Feast. In esso un feroce e folle assassino compie delitti orrendi e le sue vittime preferite sono giovani e avvenenti fanciulle. Al di là dell’indubbia personalità di Mario Bava, e del suo multiforme talento artistico, è probabile che anche un film come Blood Feast (mai distribuito peraltro nelle sale del nostro paese) possa aver spinto i produttori italiani a realizzare una pellicola costellata di omicidi cruenti. In Sei donne per l’assassino l’ambientazione è un atelier (in un primo momento il film infatti doveva intitolarsi L’atelier della morte) e la prima vittima è una modella. Bava ha la felice intuizione di dotare l’assassino di un look particolare (come in certi fumetti neri che andavano per la maggiore in quegli anni, e difatti sarà proprio Bava a dirigere la versione cinematografica del più famoso tra questi fumetti, Diabolik, prodotto da Dino De Laurentiis nel 1967 e interpretato da John Philip Law e Marisa Mell): guanti neri, soprabito nero, volto mascherato. La sceneggiatura, scritta dal futuro regista Marcello Fondato insieme a Giuseppe Barilla e allo stesso Bava, è abbastanza vecchio stile e in linea con gli horror di quel periodo (a uccidere è una coppia di amanti diabolici), ma l’idea del doppio assassino e soprattutto le soluzioni visive adottate dal regista, attento soprattutto alla “coreografia” dei delitti, lo rendono un film innovativo. Innovativo anche in un senso non strettamente tecnico, poiché è il primo thriller (anche I vampiri è in fin dei conti scandito dagli omicidi/dissanguamento di alcune fanciulle) in cui il leit-motiv della vicenda sono gli omicidi di giovani donne, uccise in maniera anche abbastanza sadica; strada su cui proseguiranno vari epigoni di Bava e scelta narrativa che, soprattutto quando è reiterata e fine a se stessa, può apparire francamente discutibile.
a cura di Roberto Frini