Stefano Rossi è un pittore che viene chiamato da Antonio, un suo amico in un paesino della Pianura Padana, più precisamente nei dintorni di Ferrara, per restaurare un affresco di Buono Legnani che si trova in una chiesa e che rappresenta San Sebastiano pugnalato da due orribili figure femminili. Mentre il suo lavoro procede iniziano a succedere cose strane: Antonio si suicida proprio dopo avergli detto che aveva scoperto delle cose molto importanti. Da quel momento incubi e misteri orribili invadono la vita di Stefano che viene perseguitato da fatti inquietanti e morti violente legate alla casa del pittore. (Fonte: Ibs)
Nel 1976 Pupi Avati realizza uno dei suoi pochi film riusciti, La casa dalle finestre che ridono. Dario Argento, nel libro Mostri & C., scrisse: «Pupi Avati ha costruito un horror semi-naif, con le atmosfere grasse e sanguigne della campagna padana, inserendovi un plot zeppo di intricati contraccolpi narrativi». La figura centrale del film è infatti un pittore naif morto suicida, Buono Legnani, che dipingeva sulla propria pelle, era malato di sifilide e non avendo alcuna donna che posasse per lui, faceva egli stesso da modello anche per le figure femminili. Il giovane artista Stefano (Lino Capolicchio) arriva in un paesino della provincia di Ferrara (in una zona non meglio precisata, ma comunque vicino al Polesine e a Rovigo) per restaurare un affresco di Legnani, raffigurante il Martirio di San Sebastiano e trovato nella chiesa locale. La figura del pittore è circondata dal mistero, che avvolge sia le sue opere (viene chiamato il pittore delle agonie perché amava dipingere gli esseri umani nell’atto del trapasso) che la sua vita e, soprattutto, la sua morte (si è suicidato vent’anni prima dandosi fuoco). Un amico di Stefano, il chimico Mazza, che sembra sapere qualcosa di più su Legnani, muore anch’egli misteriosamente. Stefano è convinto che qualcuno l’abbia ucciso e comincia a indagare. Scopre che le sorelle del pittore, completamente folli, conservano il cadavere del fratello nella formaldeide, continuando a procurargli i soggetti perché il pittore possa dipingerli. Inutile dire che il finale aperto (non si sa se Stefano viene ucciso dalle sorelle) contribuisce a fare di La casa dalle finestre che ridono uno dei film più inquietanti e (nel vero senso della parola) paurosi dell’intera storia del cinema dell’orrore. Avati in più di un’intervista afferma che il soggetto gli è stato ispirato da una storia udita da bambino che riguardava un prete-donna. La sceneggiatura, scritta insieme al fratello Antonio, a Gianni Cavina (che interpreta benissimo l’alcolizzato Coppola) e a Maurizio Costanzo, sviluppa la vicenda ambientandola in una zona non usuale per il cinema del terrore eppure, grazie all’utilizzo di figure grottesche e tipiche della provincia, mantiene un'atmosfera angosciante e ossessiva. Anche disseminando il film di indizi che non vengono spiegati (i fiori, la polvere bianca, l’accendino di Francesca con le iniziali B. L., le bocche dipinte intorno alle finestre).
a cura di Roberto Frini