Elle di Paul Verhoeven

Elle (Francia, Belgio, Germania 2016)

Regia: Paul Verhoeven. Soggetto: Philippe Djian. Sceneggiatura: David Birke. Fotografia: Stéphane Fontaine. Montaggio: Job ter Burg. Scenografia: Laurent Ott. Musiche: Anne Dudley. Paese di produzione: Francia, Belgio, Germania, 2016. Durata: 130’. Genere: Thriller, Drammatico, Erotico. Interpreti: Isabelle Huppert (Michèle Leblanc), Laurent Lafitte (Patrick), Anne Consigny (Anna), Charles Berling (Richard Casamayou), Virginie Efira (Rebecca), Judith Magre (Irène), Christian Berkel (Robert), Jonas Bloquet (Vincent), Vimala Pons (Hélène), Alice Isaaz (Josie), Stéphane Bak (Omar), Raphaël Lenglet (Ralph), Arthur Mazet (Kevin), Lucas Prisor (Kurt), Hugo Conzelmann (Philipp Kwan).

Michèle, a capo di un’azienda di videogiochi, una sera viene aggredita e violentata nella sua casa da uno sconosciuto con il passamontagna. Non si reca dalla polizia ma cerca da sola di scoprire chi sia il colpevole, pensando che possa trattarsi di uno dei suoi dipendenti.

Carnage (id., 2011) di Roman Polanski e Maps to the Stars (id., 2014) di David Cronenberg, sono tra i film più caustici e spietati realizzati negli ultimi anni. A produrli è stato Saïd Ben Saïd, che nel 2012 ha anche offerto a Brian De Palma, altro cineasta non proprio allineato, la possibilità di tornare dietro la macchina da presa con lo sfortunato, ma bellissimo, Passion (id.). Come se non bastasse, l’illuminato produttore franco-algerino ha pensato bene di mettere sotto contratto Paul Verhoeven, autore che in quanto a spietatezza artistica non è secondo a nessuno. E così, a dieci anni di distanza dal controverso Black Book (Zwartboek), il regista di RoboCop (id., 1987) e Basic Istinct (id., 1992) ha girato Elle (id.), la cui sceneggiatura (scritta da David Birke) è stata tratta dal romanzo «Oh …» (2012) di Philippe Dijan. Risulta subito evidente l’intenzione di realizzare un film non classificabile, che spiazza lo spettatore, convinto di trovarsi di fronte un thriller erotico o un rape & revenge. L’identità del colpevole (chiamiamolo così) è facile da indovinare e nonostante la protagonista, Michèle (interpretata da Isabelle Huppert: inutile lodarla) si armi di un martello e di uno potente spray al peperoncino, è altrettanto intuibile che Verhoeven non è interessato a mettere in scena la vendetta (la donna si limita a immaginarla) o a elaborare sequenze cariche di suspense. Cosicché a un certo punto il pensiero non va soltanto a Hitchcock, ma anche a certi enigmatici puzzle surrealisti e antiborghesi, intrisi di perfidia e umore nerissimo, firmati Luis Buñuel. Che il film di Verhoeven sia, sin dal titolo, la risposta femminile (e un omaggio) a El – Lui (El, 1953), uno dei tanti capolavori del maestro spagnolo? Certo, le somiglianze tra le due opere non sono molte, e Verhoeven non è Buñuel. Ha spesso il passo pesante e non sempre riesce a essere distaccato e ironico, in modo da rendere sopportabile la storia che racconta. In compenso pochi altri saprebbero allestire un teatro della crudeltà con altrettanto coraggio, esagerando con la carne al fuoco (digressioni erotiche, riferimenti religiosi, patologie assortite) ma riuscendo infine ad amalgamare magistralmente il tutto. E, cosa non scontata, filmando e montando con rara perizia. Il nitore del quadro che ne risulta finisce comunque per far scaturire una riflessione: il mondo (o una parte di esso) è davvero come lo dipinge Verhoeven (roba da invocare l’apocalisse) o la feroce, sottile componente satirica di Elle risiede proprio nella reazione che suscita?



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