Un’avventura di padre Stanislawsky
di Andrea Carlo Cappi
Banyalbufar (Maiorca), 1579
L’arcangelo scese dai cieli, atterrando sulla sommità dell’atalaya. Ripiegò con eleganza le ali e guardò il milite che aveva convocato, uno degli angeli della sua legione.
“Oggi gli uomini hanno costruito questa torre nel punto in cui i loro antenati celebravano sacrifici agli dèi dell’Abisso”, spiegò. “È un luogo sacro e maledetto al tempo stesso, una porta tra i mondi. D’ora in poi avrai il compito di vigilare che nessuno cerchi di aprirla dalla parte sbagliata.”
“E come posso impedirlo, Generale?” chiese l’angelo.
Una spada infuocata si materializzò nella mano dell’arcangelo, che la porse al milite per l’elsa. “Con ogni mezzo, soldato.”
Lo stesso luogo, nel prossimo futuro
Il quad noleggiato a Son San Juan si fermò sul ciglio della strada. Da terra non era visibile la struttura scavata nell’alta scogliera sulla costa nord-ovest. I VIP venivano portati via mare, in aliscafo, in modo che potessero godere dell’impressionante spettacolo della costruzione incastonata nella roccia: una decina di piani contenenti un albergo esclusivo completo di ristorante, beauty-farm, casinò e night-club.
Troppo impegnati a farsi vedere l’un l’altro negli ambienti climatizzati della costruzione, gli ospiti del Mirador non facevano caso a ciò che per cinque secoli era stato la vera attrazione dell’area: la Torre de Ses Animes, austero cilindro di pietra che sorgeva sulla sommità della roccia. Era una delle atalayas costruite per vegliare sul mare nel timore di attacchi di pirati alla costa. Ora se ne stava silenziosa e dimenticata, cotta dal sole e sferzata dal vento.
L’uomo vestito di nero sceso dal quad – un individuo con lunghi capelli scuri, barba e baffi, occhiali da sole neri – non era un VIP. Con quello che guadagnava, l’unico modo per entrare al Mirador de Ses Animes sarebbe stato fare domanda di assunzione come cameriere. Ma i suoi documenti falsi lo qualificavano come Andrés Serrano, top manager di una compagnia aerea, e la carta di credito che accompagnava quell’identità affondava le radici in un conto cifrato del Vaticano su cui erano depositati i fondi neri dell’Ufficio Risoluzioni.
Il Pontefice non aveva mandato padre Antonio Stanislawsky a Maiorca sotto mentite spoglie per fargli trascorrere una meritata vacanza dopo l’ultima rischiosa missione in una colonia mineraria, bensì perché controllasse le attività di Lorenzo Domenech, imprenditore di fama internazionale, appassionato di esoterismo e proprietario del Mirador. Domenech era in affari con il Vaticano, ma si sospettava che trattasse anche con gruppi di potere che il pontefice non vedeva di buon occhio. La Chiesa, che grazie al papa in carica aveva raggiunto un potere politico e finanziario mai conosciuto in tutta la sua storia, era molto comprensiva con gli interessi privati, ma non ammetteva il doppio gioco.
Quanto a padre Antonio Stanislawsky, emissario dell’Ufficio Risoluzioni, non poteva permettersi di disobbedire agli ordini di Sua Santità. Su di lui pendeva una condanna a morte per eresia e insubordinazione, sospesa fino a nuovo ordine. Un microchip innestato in un punto imprecisato del suo corpo garantiva che, in caso di fuga, sarebbe stato localizzato e giustiziato da sicari vaticani ovunque cercasse di nascondersi.
La sua non era una vacanza, ma la missione aveva qualche lato positivo: Stanislawsky avrebbe dovuto frequentare il ristorante e il night-club, tenendo d’occhio il proprietario. Secondo un informatore, in quel weekend Domenech avrebbe incontrato al Mirador alcuni partner d’affari e Stanislawsky doveva scoprire chi fossero.
La camera che gli era stata assegnata era al quinto piano della struttura. Di là dalla finestra – sigillata e priva di balcone, dato che la veemenza del vento avrebbe potuto portare via qualche ospite poco accorto – il panorama non era meno suggestivo di quello che si godeva dall’alto della torre. Padre Antonio si preparò per la serata: nei bottoni del suo abito scuro erano nascosti microfoni e microcamere collegati a un minicomputer che comunicava direttamente con la centrale dell’Ufficio Risoluzioni. Qualsiasi voce o faccia sarebbe stata confrontata con il database in Vaticano, in modo da identificare ogni individuo che fosse registrato negli archivi. Il display nella lente destra degli occhiali scuri di padre Antonio avrebbe visualizzato fotografie e identità delle persone di interesse.
Nelle tre ore successive, tra il ristorante e il casinò, il display ne segnalò sette a Stanislawsky: due narcotrafficanti latinoamericani, uno dei quali aveva appoggiato la guerriglia filovaticana in Colombia prima di mettersi in proprio; due boss della malavita nordamericana; un magnate russo del petrolio famoso per la sua mancanza di scrupoli; e due terroristi mediorientali, noti per avere rivestito di un alone religioso i loro attacchi ai pozzi petroliferi controllati dal Vaticano. Da entrambe le parti, la fede era sempre un ottimo alibi.
Complessivamente, i sette individui identificati avevano alcune centinaia di vittime sulle loro coscienze, un conteggio che saliva a decine di migliaia se si consideravano i conflitti che avevano contribuito a scatenare nel mondo per favorire i propri interessi. Se fosse stato presente anche il pontefice – impossibilitato a lasciare Roma, dal momento che il suo corpo era tenuto in vita artificialmente da un sofisticato sarcofago tecnologico – si sarebbe potuto dire che tutti gli uomini più spietati del mondo si fossero dati appuntamento al Mirador.
Padre Antonio li seguì al piano superiore, dove si trovava il night-club, e li vide ritirarsi in una sala privata, all’ingresso della quale un cameriere si preoccupava di riporre in guardaroba le armi delle guardie del corpo. Uno dei due guardaspalle del russo tornò verso il bar e si fece dare una bottiglia di vodka. Era un’occasione unica: Stanislawsky lo urtò, gli fece scivolare in tasca un microfono delle dimensioni di una capocchia di spillo, si scusò e si allontanò prima che al gorilla venisse voglia di rompergli la bottiglia in testa.
Ora l’Ufficio Risoluzioni avrebbe registrato tutto e padre Antonio poteva godersi tranquillamente lo spettacolo del night-club. Puntò gli occhi sulla pedana su cui si esibiva una ballerina dai lunghi capelli biondi, con il corpo fasciato da una tuta aderente piena di spacchi e aperture. Nonostante fossero religiosi, gli emissari dell’Ufficio Risoluzioni godevano di una certa tolleranza per quanto riguardava le relazioni sessuali; a patto che non toccassero le amanti ufficiali di qualche cardinale, come ben sapeva padre Antonio.
All’improvviso, il display sugli occhiali sembrò impazzire, proiettando una serie rapidissima di immagini diverse della stessa ragazza, accompagnata da una sfilza di nomi:
Clara Starlight
Stella Lumen
Clara Von Stern
Estrella Claire…
Le immagini erano prima foto a colori in abiti moderni, poi in bianco e nero in abiti d’epoca, per poi passare a ritratti sempre più antichi, terminando con un dipinto che poteva risalire al tardo Cinquecento. A meno di un errore del computer, gli archivi del Vaticano avevano appena riconosciuto nella ballerina diverse donne vissute in epoche diverse… o si trattava forse della stessa persona?
Quando lei lo guardò e gli sorrise, padre Antonio fu attraversato da un brivido: in base alla sua esperienza, una creatura del genere poteva venire da un unico luogo: le diavolesse che Satana inviava sulla Terra erano sempre molto attraenti. Pericolosamente attraenti.
La ragazza terminò la sua esibizione, scese dalla pedana e, conscia di essere seguita dagli sguardi di tutti gli uomini e di molte delle donne presenti, andò dritta verso Stanislawsky.
“So chi sei”, gli mormorò all’orecchio, sfilandogli gli occhiali scuri. “Non fare niente e andrà tutto bene.” Suonava come una minaccia.
“Ci conosciamo?” domandò lui, cercando di controllare le emozioni.
“No, ma dalle mie parti si parla molto di te.” Lei sorrise ancora. “Personalmente mi fido di più di un prete in odore di eresia che di uno come Domenech, che mescola i suoi affari sporchi con antichi culti proibiti. Ma puoi dire al tuo capo di stare tranquillo: per caso, oggi i suoi interessi coincidono con i nostri. E questo…” Gli sfiorò la guancia con un bacio, “non andare a raccontarlo in giro.”
Poi la creatura si diresse verso il privé. Il cameriere le aprì la porta, come se fosse attesa per uno spettacolo riservato agli invitati, e lei scomparve alla vista.
Nei cinque minuti successivi padre Antonio cercò di riaversi. Poi, al di sopra della musica, colse distintamente un coro di urla disperate. Vide il cameriere sulla porta del privé che impallidiva. D’istinto Stanislawsky corse verso il guardaroba, afferrò una delle pistole lasciate dai guardaspalle, spinse da parte il cameriere e spalancò la porta.
All’interno trovò otto corpi orribilmente mutilati – Domenech e i suoi ospiti – sparsi per la sala intorno a un pentacolo tracciato sul pavimento. E vide la ragazza, completamente nuda, con la tuta ai suoi piedi, che brandiva qualcosa che sembrava una spada fiammeggiante.
Lei gli sorrise di nuovo, poi squarciò la vetrata con la lama di fuoco, aprendovi un varco. Balzò sul davanzale della finestra, restandovi accovacciata, mentre dalle scapole le fuoriuscivano due escrescenze biancastre che in pochi secondi divennero un paio di ampie e candide ali piumate. Solo allora, dandosi una spinta con le gambe muscolose, la creatura si lanciò nel vuoto, veleggiando verso il mare.
Nelle ore successive, la polizia concluse che un killer inviato da qualche gang concorrente avesse fatto irruzione durante la riunione, uccidendo tutti e fuggendo dalla finestra, forse con un paracadute. Dal pentacolo sul pavimento qualcuno dovette sospettare che si trattasse di un rito demoniaco finito male, ma preferì tacere per non essere creduto pazzo. Nessuno seppe spiegare la sparizione della ballerina Clara Starlight.
Padre Antonio non parlò di ciò che aveva visto né alla polizia né all’Ufficio Risoluzioni: inutile scatenare di nuovo l’interminabile e superflua discussione sul sesso degli angeli.
©Andrea Carlo Cappi, 2010
Pubblicato originariamente nell’antologia “Stirpe angelica”.
L’AUTORE
Andrea Carlo Cappi (Milano, 1964), è uno scrittore, saggista, editor e traduttore. Oltre al ciclo thriller che raccoglie le serie “Medina”, “Nightshade”, “Sickrose”, “Black” e “Dark Duet” (alcune firmate come François Torrent), ha pubblicato sette romanzi ufficiali con Diabolik & Eva Kant e un ciclo narrativo con Martin Mystère, con il quale ha vinto il Premio Italia 2018 e il Premio Atlantide 2019. Scrive la serie horror/dark romance “Danse Macabre”, il ciclo del “Cacciatore di Libri” e le avventure di padre Antonio Stanislawsky, apparse in antologie e riviste di fantascienza. Co-sceneggiatore del serial “Mata Hari” di RadioRAI, ha pubblicato con Ermione “LUV” e “Neri amori”, e con Paolo Brera “Il Visconte/La spia del Risorgimento”. Tra le sue uscite più recenti, il romanzo “Il ponte sospeso”. Membro di IAMTW e World SF Italia, cura inoltre le riedizioni delle opere di Andrea G. Pinketts e le antologie del Premio Torre Crawford, del quale presiede la giuria.
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