Il miele del diavolo di Lucio Fulci

"Al suo apparire il tuo mondo sarà finito, quando la vedrai ti mancherà il respiro, ti esploderà nel sangue ed ucciderà la tua anima con la dolcezza del fuoco, perché lei è il miele del diavolo, e tu lo assaggerai…".
Chissà se proprio Lucio Fulci in persona ha composto questa poesia giovanilistica che chiosa la sua opera del 1986, Il miele del diavolo appunto. Anche nella decade maggiormente votata all’horror, il regista romano splendidamente definito in una nota biografia “terrorista dei generi” continua a divertirsi, e a divertirci, girovagando per territori marginali del nostro cinema, e realizza un’opera abitualmente catalogata tra le pellicole erotiche. Premetto subito che il film non è certamente eccezionale, imperdibile solo per gli aficionados del regista o per chi si vuol godere l’interpretazione di Blanca Marsillach nei panni (pochi) della protagonista, ma dimostra ancora una volta come il processo di manipolazione e reinvenzione dei generi a cui ci ha abituato Fulci trova anche in quest’opera minore un ulteriore elemento del suo mastodontico puzzle. In quegli anni Lucio navigava sotto il segno della buona stella americana, infatti Murderock dell’84 strizzava più di un occhio a Flashdance ed Aenigma dell’86 era ambientato in un college con evidenti richiami al Carrie depalmiano. Il miele del diavolo è una storia di torbide perversioni sessuali, nella quale il protagonista costringe la sua ragazza a sottoporsi a pratiche amorose estreme e provocatorie, come la masturbazione durante una pazza corsa in motocicletta, e non si tratta di una coincidenza il fatto che in quel medesimo anno sbancava sui grandi schermi Nove settimane e mezzo. Come altrimenti spiegare la scelta del protagonista, sconosciuto e non particolarmente dotato, se non a motivo della sua vaga somiglianza con Michey Rourke? A prescindere dai modelli più o meno dichiarati della pellicola, l’aspetto più interessante come detto è la riconduzione della storia nell’alveo delle ossessioni tipiche del cinema di Fulci, il quale ci dice che dietro ad ogni desiderio represso, dietro ad ogni sete di vendetta o celato nella crudeltà insita nell'essere umano c’è sempre un desiderio torbido che si nasconde, e se in questo caso viene data una decisa sottolineatura visiva all'elemento erotico e nel film abbondano le sequenze erotiche, anche in Aenigma la perversione sessuale era il motore del film e velatamente compariva in numerosi altri prodotti del passato prossimo e remoto. Ogni giallo, ogni horror è anche un film erotico, ed allora quest'opera votata all'erotismo non poteva non contenere elementi gialli davvero interessanti. Gaetano, un sassofonista molto legato alla sua motocicletta, ha una relazione con Cecilia ma un giorno in una brutta caduta finisce all'ospedale, sotto i ferri di un chirurgo in piena crisi coniugale perché non riesce più a fare l'amore con la moglie, e le preferisce giovani prostitute. Non riuscirà a salvare il ragazzo, e Cecilia darà tutta la colpa a lui, sequestrandolo e torturandolo fino a che… L’ambigua personalità sessuale di Gaetano viene immediatamente suggerita dal regista nella sequenza dei titoli di testa, dove egli sta registrando un brano al sax, e la macchina da presa indugia, attraverso primissimi piani, sul modo ambiguo con cui si esercita col proprio strumento e sugli sguardi eccitati della ragazza ed irritati del fonico. Che lo strumento in mano al ragazzo si faccia metafora sessuale viene sottolineato per tutto il corso del film, a partire dalla scandalosa scena dove Gaetano masturba Cecilia suonandolo, ma anche successivamente alla sua morte, dove l’affascinante fanciulla pazza dal dolore si “consola” portandosi nel letto lo strumento, quasi contenesse l’anima del suo uomo. L’incedere del film porterà però ad un ribaltamento, ed il sax si ridurrà davvero ad esclusiva immagine dell'organo sessuale di Gaetano, l’unica cosa di lui che veramente le manca. Nella seconda parte incentrata sul sequestro, con brevi flashback ci viene mostrata la storia d'amore terminata così tragicamente, con la progressiva acquisizione di consapevolezza, da parte della protagonista, che le pratiche alle quali era sottoposta non contenevano alcunché di sentimentale, e scarnificate d'ogni affetto lasciavano solo l’amaro residuo dell'umiliazione. Parallelamente cresce in lei una strana attenzione per il medico, che da assassino del suo uomo diviene un “salvatore”, ed anche l'uomo sente crescere la passione, probabilmente perché la ragazza comincia a girare nuda per casa, e sfido chiunque a resistere a Blanca Marsillach… Infine rimane solo il sesso e la poesia riportata in apertura, che viene declamata mentre la macchina da presa abbandona la stanza da letto per mostrarci la spiaggia deserta, lasciando sicuramente soli i due protagonisti a consumare un rapporto che non ci è dato sapere se sottenda anche l’amore. Mi sia concesso accostare provocatoriamente questo finale con quello de L’aldilà, nel quale l’epilogo era affidato ad una voce off che declamava "ora affronterai il mare delle tenebre e ciò che in esso vi è di esplorabile". Esiste una sorta di fatalismo per il destino di ogni uomo, sembra dire Fulci, una pulsione malsana che logora ognuno di noi, che ci vampirizza e che talvolta ci trasforma in mostri, rappresentata visivamente attraverso il mare, reale o "tenebroso" che sia. Se riusciremo ad affrontare il male (il lato oscuro che si annida in ognuno di noi) ed a vincerlo questo non ci è dato di sapere, la verità resta celata in una stanza da letto in riva al mare che per Fulci resta inesplorabile, appunto perché "aldilà".
Giudizio: discreto.
   
A cura di Mauro Tagliabue