Ero stato invitato a una festa da una ragazza molto bella, ma il suo vecchio padre era un uomo così interessante e intellettualmente attivo che, mi dispiace dirlo, faceva sbiadire sua figlia. Vivevano in una villa bianca, in un bosco di pini vicino al mare, in fondo a un istmo raggiungibile in mezz'ora di barca.
Incontrai quell'uomo subito dopo il mio arrivo, mi ricordo; un uomo molto vecchio e malato, con baffi ricurvi, passo strascicato nelle ciabatte da camera e una specie di giacca imbottita abbottonata fino al collo.
Nell'apprendere che io ero un romanziere egli reputò una necessaria cortesia incominciare un discorso sulla letteratura, che prese la forma di un flusso di conoscenza che niente poteva interrompere.
Sua moglie, che affermava di essere una poetessa, fece pochi, patetici tentativi per mostrarmi le favorevoli recensioni che aveva ricevuto dalla Stampa.
Era tutto inutile. Lui aveva così tanto da dire a un visitatore letterato, che non intendeva lasciar posto alle chiacchiere di sua moglie riguardo i suoi poemi, i quali, mi fece capire, erano poco importanti.
L’uomo era terribilmente malato. Si poteva vederlo dallo sforzo che faceva per parlare. Ma non poteva farne a meno. La sua dentiera si muoveva pericolosamente mentre parlava e ogni tanto egli si stringeva la mano sul cuore dicendo: “Mi scusi se mi interrompo un momento. Mi passerà subito”.
Era allora che sua moglie si intrometteva con le sue poesie. Ma non per molto. Il vecchio tirava giù le gambe dal sofà e rimettendosi seduto riprendeva il discorso: “Un altro Elisabettiano che amo molto è...” E la breve intromissione di sua moglie era finita.
La conoscenza del vecchio era stupefacente. Comprendeva la letteratura di ogni Paese incominciando dall'inizio fino ai giorni nostri. Nella letteratura inglese la sua conoscenza andava da Chaucer a Mr. David. Garnett. E la cosa straordinaria era che lui, pur comprendendo ogni cosa che leggeva, pronunciava male i nomi degli Autori inglesi, sbagliando spesso gli accenti. La sua conoscenza mi colpì perché era molto accurata, come lo erano le sue critiche e le sue stime, ma a causa della vasta gamma di materiale le critiche prendevano la forma di commenti a tracce letterarie anziché rivolgersi a singoli autori.
Toccando il tema della poesia mistica gli chiesi se credesse in qualche forma di immortalità. Lui fece una pausa. Era la prima pausa che faceva stando in posizione seduta, e sua moglie disse immediatamente:
“Io ho provato nei miei poemi....”
Ma egli la sommerse con la sua veemenza:
“No” disse pensieroso.
Poi rifletté profondamente:
“No, non posso dire che ci credo. Mi spiace, ma non posso. Mi dispiace che tutta questa conoscenza laboriosamente accumulata deva andare perduta con la mia morte. Poiché io non ho mai scritto né fatto conferenze; neanche durante la mia lunga carriera al Consolato Francese ho avuto l’opportunità di impartire la mia Conoscenza a qualcuno intelligente e capace di assimilarla.
Non sarà lasciata neanche una parola. Mi dispiace. Ma è così, e io mi inchino all’inevitabile. Ciononostante non posso interrompere il mio lavoro. Continuo ancora a leggere, poiché ho sete di conoscenza. E’ l’unico lusso che posso permettermi alla mia età. Io leggo, anche se so che i miei giorni stanno per finire. Poiché so che mi resta poco tempo, io leggo di più; ho una fretta terribile di raggiungere la grande massa di conoscenza che mi è ancora preclusa. Leggo finché mi addormento. Leggo appena mi sveglio al mattino e per tutto il giorno. E qualche volta mi chiedo, sapendo che non vivrò più di un anno o due, se tutti questi miei sforzi per leggere non siano completamente inutili.”
***
Quando lo rividi, un anno dopo, egli era così malato che mi chiese di continuare il suo discorso stando sdraiato. All'improvviso si fermava, si premeva una mano sul cuore e restava in silenzio per un po' di tempo.
“E’ passato” diceva quando riprendeva il discorso:
“La Commedia degli Umori, benché indubbiamente cruda, seguiva la giusta pista nello scoprire che l’individualità dei personaggi si manifesta attraverso la reiterazione; e scrittori sottili come Cechov sapevano ricreare personaggi ingegnosi per mezzo della ripetizione...”
"Riposa”, diceva sua moglie "e lasciami. leggere la lirica indù che ho appena finito di tradurre. Sono sicura che Miseter..."
Ma lui seguitava imperterrito:
“Mentre la poesia di Shelley è metafisica, io pongo I Segugi del Cielo di Francis Thompson fra la categoria dei mistici; mentre La Regina delle Fate di Spencer è…”
Allora si metteva una mano sul cuore e restava in silenzio per dieci minuti.
Quando si sentiva meglio diceva, indicando col mento gli scaffali:
“La mia biblioteca adesso è completa. Come soffro nel pensare che dovrò lasciarla qui. Ci sono là dentro libri che non ho ancora letto. Notte e giorno leggo i miei libri, leggo contro il tempo. E’ una specie di bramosia, se possiamo chiamarla così. Ma non posso sopportare il pensiero di lasciare qualche mio libro senza averlo letto. Per me essi sono come esseri umani.”
Il vecchio inspirava violentemente, con la dentiera che minacciava a ogni momento di cadere per terra, e concludeva:
“Se esiste una forma di personale immortalità in serbo per noi, io spero che l’Oltremondo per ciascuno di noi sia modellato secondo i propri desideri, e che il mio paradiso contenga grandi stanze soleggiate, con innumerevoli libri dentro infinite librerie, affinché io possa leggere, leggere, leggere per tutta l’eternità, senza avere mai più problemi di tempo!”
"Ma quali libri?", chiedevo. "Questi libri?"
"Ah! Spero di sì! Poiché ci sono libri qui dentro che io non riuscirò mai a leggere. Il mio tempo sta per finire."
Mentre me ne stavo andando lui indicò un pacco sul tavolo:
"Poesia persiana."
"E’ buona?"
"Non so. Non ho ancora aperto il pacco," disse con una espressione di avidità, "Glielo dirò la prossima volta."
***
Ma la prossima volta che arrivai in una notte piovosa (poiché ero stato invitato a una festa da amici che vivevano sull'istmo ma avevo sbagliato la data e perduto l’ultimo traghetto per Toulou) la cameriera mi disse che le signore erano andate in città e non sarebbero tornate prima di mezzanotte.
Decisi allora di aspettarle in biblioteca. Presi un libro e incominciai a leggere.
Fui sorpreso, circa un'ora più tardi, nell'udire il rumore di passi che si avvicinavano. Ma era solo il vecchio che arrivava con le sue ciabatte da camera e la giacca imbottita, bianco come uno spettro alla luce della luna che entrava dai vetri della veranda. Egli era sceso dalla sua stanza da letto per prendere un libro in biblioteca.
Mi alzai in piedi. Lui fece una pausa e mi guardò; la sua bocca si mosse convulsamente, ma non uscì nessun suono. Poi raggiunse lo scaffale, tirò giù due grandi volumi e tornò indietro uscendo dalla porta.
Forse non mi aveva visto, pensai; oppure stava sognando o camminando nel sonno, o la sua malattia gli aveva danneggiato la vista.
"Tuo marito è sceso a prendere i libri, ma evidentemente non mi ha riconosciuto" dissi il mattino seguente a sua moglie che era tornata da Toulou insieme alla figlia.
La donna mi guardò con stupore:
"E’ morto tre settimane fa, di venerdì."
La guardai sbalordito:
"Ma l'ho visto. E’ sceso giù per i libri e ha preso due volumi."
Andammo nella biblioteca e lei notò subito il posto vuoto. Allora cercò nel catalogo per sapere i nomi dei libri mancanti. Essi erano: Lettere di Lord Byron volume 1 e 2.
***
Non tocca a me dare una spiegazione, io scrivo solo i fatti e le circostanze.
Se pensate che io sia pazzo mi farò visitare da un dottore; e se, trovandomi sano, sospettate che anche il dottore sia un allucinato, lo faremo esaminare da un professore.
traduzione a cura di Sergio Bissoli