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La promessa dell’assassino di David Cronenberg

Cronenberg deve essersi assai divertito ad insinuare nello splendente Aragorn l’esistenza di un lato oscuro, già in A History of violence lo spettatore si trovava di fronte un Viggo Mortensen che non riconosceva, forse criminale o forse no, che alla fine risultava non soltanto un killer, ma anche più interessante, intanto perché meno splendente, poi anche perché di gente senza macchia non è che ce ne sia poi tanta in giro di questi tempi. Viggo aveva ceduto al lato oscuro e si era pure divertito a farlo. In questo nuovo attesissimo lavoro di Cronenberg, l’attore non solo è un mafioso dall'inizio della storia, ma mostra dei tatuaggi che collimano poco con l’idea dell’eroe senza macchia, non ha più armature né cotte di maglia, e non si batte per un regno o per un anello, ma per la propria vita, senza nessuna armatura, anzi nudo in una sauna con due tipacci che neanche gli orchi di Jackson riescono ad eguagliare in fatto di pericolosità. Il corpo che egli espone allo sguardo stranito dello spettatore, che di mafia russa a Londra sa di certo pochissimo, è ricoperto di tatuaggi che raccontano la sua storia, e questa di storia non l’ha scritta di certo Tolkien.
Ma procediamo per ordine: l’infermiera Anna, una Naomi Watts che fatica un po’ a smettere di preoccuparsi, incappa in un mistero che coinvolge una ragazza giovanissima morta di parto, un neonato ed un ristorante di proprietà di gente molto pericolosa.
Si mette sulle tracce di Kirill, un Vincent Cassel che meglio sarebbe stato evitare, talmente è stronzo e pure un po’ sopra le righe, e scopre cose che voi umani non potreste immaginare. Viggo/Nikolai è l’autista del figlio del capo, sfoggia uno sguardo d’acciaio e una recitazione da antologia, e riesce incredibilmente ad essere gelido ed umano nella stessa inquadratura, senza neanche battere ciglio. La vecchia ossessione per il corpo del geniale Cronenberg qui striscia sottile all’interno della storia e silenziosamente si impossessa delle inquadrature più potenti, a cominciare dal primo omicidio, che parrebbe un’ispirazione da vecchi gangster movie, ma invece nasconde il senso del taglio di una gola, mettere a tacere chi parla troppo. Poi abbiamo la scena della prova di virilità di Nikolai, richiesta da un Kirill che sembra sottintendere un interesse di natura omosessuale non dichiarato, anzi negato con violenza, nelle attività sessuali del suo sottoposto. Scena, questa, che oltre a passare attraverso l’esposizione di corpi maschili e femminili, rivela tutta la stanca accettazione da parte di Nikolai dei rituali all’interno di un’associazione tribale quale la mafia, russa o meno conta poco.
 
E’ poi la volta della già famosa scena della sauna, e su questa sequenza occorre spendere qualche parola, in primo luogo perchè l’abilità registica riesce nel difficile compito di mostrare una lotta primordiale tra corpi di cui uno nudo e due vestiti di tutto punto, senza irritare la censura e senza sfiorarne neppure da lontano il ridicolo. Poi c’è da dire che il continuo mostrare senza un attimo di tregua coltelli che affondano nella carne di tutti, anche in punti delicatissimi come un occhio, rimanda alla passione per lo scardinamento dei corpi che Cronenberg si porta dietro da molto tempo, e che tutti gli amanti del suo cinema ormai si aspettano da ogni sua pellicola. In ultimo è difficile non notare il sottotesto che passa un’informazione vitale come quella che il passato non solo non si cancella, ma ti rende riconoscibile attraverso i segni che lascia sul tuo corpo, senza neanche dire una parola. Il corpo in Cronenberg, e in questo caso anche in Nikolai, parla da solo e da solo ti condanna se tale è il caso, senza troppi complimenti. Così come è ancora una volta la debolezza della carne del piccolo grande figlio del capo, che non solo lo caccia nei guai, ma ne costringe il padre, boss e demiurgo di tutto quello che accade nella storia, a far salire di grado l’autista all’interno dell’organizzazione per controllare meglio gli eccessi di suo figlio. Ed infine il corpo di Anna, che aveva abortito un feto in precedenza, segnerà in silenzio il destino dello sfortunato bambino senza nome, che verrà ad insinuarsi in quel posto vacante nel cuore di lei, e che la spingerà a cercare una storia così, solo per placare il dolore di un’ingiustizia mai neanche raccontata.
 
Cronenberg riesce in questo modo ancora una volta a coniugare una storia avvincente con una regia impeccabile, e attraverso il solo magistrale uso degli attori, che paiono tutti talmente nella parte da suggerire una precedente incarnazione come mafiosi russi trapiantati, o infermiere sfortunate, ci regala un convincentissimo aggiornamento del thriller di ambientazione mafiosa, senza mai neanche citare alla lontana i numerosi illustri precedenti, e insinuando nello spettatore l’idea che la raggiunta maturità del regista di Toronto non soltanto sia arrivata da tempo senza clamori né fanfare, ma che non possa esser messa in discussione neanche stavolta e, se è per questo, in nessun’altro dei suoi riuscitissimi ultimi film.

a cura di Anna Maria Pelella
Fonte: Offscreen