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L'evoluzione del vampiro sul grande schermo

Con grande costanza, dal 1922 ad oggi, molti, anzi, moltissimi registi con poche o grandi ambizioni, si sono avventurati nella cinematografia vampirica con risultati contrastanti tra loro.
Basti pensare che i film che trattano il genere in maniera diretta o metaforica sono quantificati in circa 500 (ma sono sicuramente molti di più se includiamo le pellicole semi-professionali e quelle che, prodotte nei paesi meno evoluti del globo, non hanno modo di essere conosciute dai grandi o piccoli circuiti internazionali).
     
Gli anni ’20 e ’30
Certamente, il lettore avrà modo di scoprirlo da se, gli anni più significativi per tutto il filone sono quelli ’20 e ’30 caratterizzati da due lungimiranti nonché talentuosi registi: Friedrich W. Murnau e Tod Browning.
Murnau (1922, Nosferatu, eine simphonie des grauens) ebbe il merito di portare per primo sul grande schermo e di far conoscere al pubblico un romanzo e un autore che ancora oggi sono considerati immortali, il Dracula di Bram Stoker, e anche di prestare il suo enorme talento visionario al genere horror  (all’epoca quasi inesistente) dando così l’avvio a nuove trasposizioni (soprattutto in ambito teatrale) del famigerato romanzo che di li a qualche anno avrebbe conosciuto le luci della ribalta.
Il 1927 e il 1931 sancirono così il successo di un altro grandissimo: Tod Browning. Con il suo London after midnight (pellicola che si dice sia andata distrutta durante un incendio e per questo praticamente introvabile) e più tardi ancora con Dracula, ebbe modo di dar sfoggio delle sue arti e soprattutto lanciò un attore che fino a quel giorno aveva interpretato il ruolo del succhiasangue (pur con grande merito) solo in teatro: Bela Lugosi.
Con questo film, sia Browning, sia il Dracula e soprattutto Bela Lugosi, ebbero un successo di grandissimo rilievo facendo diventare l’attore (per la verità ben poco talentuoso ma possessore di un’espressività e di un magnetismo unici) una star internazionale.
    
Anni ’50: morte del mito e contaminazione del genere
Dopo un periodo durato circa un paio di decenni nel quale si alternavano opere di scarso interesse dominate soprattutto dalla figura di Bela Lugosi, ormai consacrato all’altare del business, arrivò, successivamente alla sua inevitabile morte (16 agosto 1956), il cosiddetto cambio generazionale che portò con se nuove facce e nuove idee.
Tra i registi, probabilmente, i più significativi furono Christian Nyby (1951, La cosa da un altro mondo) e Roger Corman (1956, Il vampiro del pianeta rosso) per l’idea non più stereotipata che diedero alla figura del vampiro cogliendo al volo il magico momento che stava vivendo tutto il genere fantascienza, dal film d’invasione aliena a quelli psicotronici, regalandoci così un’immagine diversa del succhiasangue anche sotto un profilo storico-culturale.
Ma fu nel 1958 Terence Fischer, con il suo The horror of Dracula, ad avvicinarsi per primo al cinema dei nostri tempi introducendo il colore e cancellando, per molti versi, l’immagine romantica e quasi irreale del Dracula anni ’30, soppiantato da un più aggressivo e crudele vampiro interpretato da un attore destinato anch’esso ad entrare nella storia: Christopher Lee.
   
1960: il genio di Mario Bava
Gli anni ’60 furono fondamentali per il cinema nostrano poiché diedero luce ad artisti che ancora oggi, non solo nel nostro paese, sono immensamente e pubblicamente ammirati per ciò che seppero fare.
La scintilla scaturì nel 1957 con quello che è considerato il primo vero film horror italiano: I vampiri di Riccardo Freda.
Questo film, pur non essendo puramente un film di vampiri (a quell’epoca la critica nostrana, piuttosto flaccida e benpensante, non esitava a distruggere tutto ciò che di scomodo osava apparire per cui la casa produttrice, per paura di un ventilato massacro critico, non esitò a dare un’impronta “gialla” più che horror a questo comunque dignitoso esordio italiano), ha una sua gotica e surreale eleganza rifacendosi in parte alla leggenda della celebre “contessa sanguinaria”, Erszebet Bathory.
Ma fu nel 1960 che un esordiente (fino allora aveva girato qualche documentario e soprattutto collaborato con Freda alla realizzazione de I vampiri) entrò di prepotenza nel circuito horror italico lasciando un segno indelebile nella storia del cinema: Mario Bava.
Con un'opera che ancora oggi è giustamente considerata un cult, La maschera del demonio, Bava riuscì, con un mix di tecnica e creatività sorprendente (alcuni suoi film furono studiati nelle università americane) a creare non solo un capolavoro, ma tutto un filone cinematografico al quale si ispirarono molti registi di allora e ancora oggi, artisti del calibro di Quentin Tarantino, non nascondono di essere cresciuti guardando e studiando il cinema del grande maestro.
Il successo si portò dietro anche l’ammirazione di molti attori britannici e d’oltreoceano (il “mostro” Boris Karloff, la meravigliosa Barbara Steele, il vampiresco Christopher Lee) che non esitarono, anche davanti a budget di basso livello, a cogliere l’opportunità di lavorare con registi del calibro di Bava, Freda, Caiano, Margheriti, Mastrocinque e Ragona.
   
Dal ’68 alla fine del secolo
E come spesso succede, dopo anni di grande entusiasmo e novità, arrivano anche gli anni bui nei quali, abbagliate da facili guadagni, molte case produttrici investirono denaro in progetti vampireschi, spesso senza capo né coda (non per ultima la pur lodevole Hammer), mettendo nelle mani d’assoluti incompetenti con zero idee piccoli budget sperando nel miracolo, con il risultato di saturare il mercato di pellicole fortemente scadenti.
Dal ’68 in poi, dopo la grande rivoluzione socioculturale, il vampiro iniziò ad apparire anche nelle vesti dell’ingordo capitalismo e più di un regista (inutile sottolineare da che parte stesse) usò appunto il venerabile succhiatore come metafora politica per demonizzare ciò che riteneva fosse il male.
Uno dei film più significativi a proposito è Hanno cambiato faccia di Riccardo Farina del 1971, dove un grandissimo Adolfo Celi (Giovanni Nosferatu) incarna alla perfezione ciò che ho sopra affermato.
Arriva poi, come sempre avviene in periodi di crisi ideologico-creativa, il tempo dei remake che porta ad una nuova e popolare spettacolarizzazione visiva del fenomeno che tocca il suo apice nel 1992 con il capolavoro di F.F. Coppola, Bram Stoker’s Dracula.
     
a cura di Massimiliano Medici