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Poker in quattro di Max Dave

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Ci trovavamo tutte le sere intorno al tavolo illuminato, al centro, dalla luce lattea della lampada. Essi entravano quasi senza né salutarmi, né rivolgermi frasi cortesi. Effettivamente non ce n'era bisogno.
Noi ci vedevamo soltanto per giocare a poker e ciò durava  sino al mattino all'alba, ogni notte.
Non ho mai saputo i nomi dei miei compagni tranne i piccoli nomignoli che nascono intorno ai tavoli da gioco: Mano d'oro, Cip, Piatto Doppio.
Se debbo dire il vero non conoscevo nemmeno bene le loro fisionomie perché, quando entravano, la stanza era già nella penombra con l'unica macchia abbacinante al centro, diretta sul tavolo verde, e quando sedevano la banda d'ombra del paralume nascondeva i loro volti sino al mento.
Era consuetudine di mesi, ormai.
Essi giungevano, picchiavano con moderazione alla porta ed entravano in silenzio in fila indiana: prima Piatto Doppio, grosso e tarchiato, poi lo scheletrico Cip e quindi il gobbetto Mano d'Oro.
L'unico a dire qualcosa, e ciò non accadeva mai tanto spesso, era Piatto Doppio che brontolava: SERA, e si metteva a sedere al suo solito posto. Gli altri lo imitavano e solo una volta Cip disse:
- Giochiamo anche la notte di Natale, bella roba. -
Mano d'Oro sogghignò.
Poi cominciavamo a distribuire le carte e il gioco prendeva man mano il suo ritmo e la sua tensione.
Era ormai tanto tempo che giocavamo insieme che si può dire nessuno vincesse né perdesse. Le forze erano equilibrate; ognuno sfoggiava il suo carattere di gioco.
II fumo delle sigarette, perché tutti fumavamo in gran copia, si addensava sotto il paralume e, dopo pochi minuti, ci vedevamo attraverso una nebbia azzurrina come se fossimo immersi in un acquario.
Poi all'alba Mano D'Oro diceva: giro fisso.
Facevamo le ultime puntate rischiose, quindi i conti; ognuno pagava e i tre, in fila indiana, così come erano entrati, se ne andavano.
Piatto Doppio, dalla soglia, brontolava, senza voltarsi: GIORNO.
La porta si chiudeva con garbo alle loro spalle.
Ma una sera non vennero. Il fatto che ciò fosse accaduto dopo tanto tempo, mi mise in subbuglio. Sapevo che erano di una puntualità cronometrica e già un ritardo di dieci minuti  mi doveva convincere che non sarebbero più venuti. Invece attesi tutta la notte.
Prima camminai avanti e indietro nervosamente. Poi sedetti al tavolo iniziando un interminabile solitario.
Ogni tanto tendevo l'orecchio a spiare i rumori per le scale. Il fruscio di un gatto o il picchiare lieve del vento contro le imposte mi faceva sobbalzare e spingere, ancora con maggiore tensione, i miei nervi fuori della stanza.
II vento fresco dell'alba, che agitava le tende della finestra, mi spinse verso la camera da letto. Mi gettai così vestito, abbattuto da un'amarezza senza confini, sul materasso e dormii.
Solo più tardi compresi perché essi non erano venuti.
Il giorno prima un Pastore Battista aveva preso in affitto l’appartamento sotto al mio e, prima di entrare in casa, aveva asperso davanti al portoncino, con una breve preghiera, dell’acqua benedetta.
Essi non sarebbero più venuti.
I loro spiriti maledetti avrebbero vagato in altri luoghi, meno santi, alla ricerca di un tavolo di poker dove ci fosse solamente il quarto.
   
traduzione a cura di Sergio Bissoli