Alien: Covenant di Ridley Scott

Il seguito di Prometheus e prequel di Alien

Scott e i suoi sceneggiatori sembrano (con)fondere Alien con Blade Runner

Alien: Covenant (Usa, Regno Unito, 2017)
Regia: Ridley Scott. Soggetto: personaggi creati da Dan O'Bannon, Ronald Shusett, storia di Jack Paglen, Michael Green. Sceneggiatura: John Logan, Dante Harper. Fotografia: Dariusz Wolski. Montaggio: Pietro Scalia. Musiche: Jed Kurzel. Scenografia: Chris Seagers, Ian Gracie, Victor J. Zolfo. Effetti speciali: Neil Corbould, Charley Henley. Trucco: Lesley Vanderwalt, Robert Trenton. Costumi: Janty Yates. Produttore: Ridley Scott, Mark Huffam, Michael Schaefer, David Giler, Walter Hill. Casa di Produzione: TSG Entertainment, Scott Free Productions, Brandywine Productions. Genere: fantascienza, thriller, orrore. Anno: 2017. Paese di produzione: Stati Uniti d'America. Durata: 122'. Interpreti: Michael Fassbender (David 8; Walter One), Katherine Waterston (Katherine Daniels), Billy Crudup (Christopher Oram), Danny McBride (Tennessee Faris), Demián Bichir (Dan Lope), Carmen Ejogo (Karine Oram), Amy Seimetz (Maggie Faris), Jussie Smollett (Ricks), Uli Latukefu (Cole), Callie Hernandez (Upworth), Tess Haubrich (Sarah "Rosie" Rosenthal), James Franco (Jacob Branson), Noomi Rapace (Elizabeth Shaw), Guy Pearce (Peter Weyland).

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Nel 2014 l'astronave Covenant sta viaggiando verso il pianeta Origae-6 per insediarvi una colonia terrestre. A un certo punto, i membri dell'equipaggio intercettano una strana trasmissione radio proveniente da un pianeta poco distante. Il primo ufficiale decide di approdarvi, sperando di poterlo colonizzare. Trovano invece il relitto di un'astronave e dovranno vedersela con ferocissimi alieni.

Ammettiamolo, non è facile districarsi tra la marea di reebot, sequel, prequel, remake che, a getto continuo, invadono le sale cinematografiche (ormai siamo al reebot del reebot, da non crederci). Comunque, Alien: Covenant, per chi non lo sapesse, è il seguito di Prometheus (2012) e prequel di Alien (1979). Ridley Scott, regista di entrambi, ha da tempo annunciato di voler proseguire la serie, per mettere in cantiere nuovi sequel/prequel. Rischiando perciò di rovinare definitivamente un titolo-mito del cinema di fantascienza. Le ormai sempre più scarse aspettative sono il risultato della delusione provocata dalla visione di questa fatica del regista inglese. Già Prometheus non era un granché, d’accordo, ma poteva vantare almeno una sequenza d’antologia (quella del parto nella capsula chirurgica) e un cast dignitoso. In questa opera, se togliamo lo scontro finale con l’alieno (che cerca di rielaborare, invano, quello del capostipite), confezione e prestazione attoriale lasciano molto a desiderare. Oltretutto, Scott e i suoi sceneggiatori sembrano (con)fondere, non si sa se volutamente o meno, Alien con Blade Runner. Tanto che il robot, che somiglia sempre più al replicante Roy interpretato da Rutger Hauer, sta prendendo il sopravvento sugli altri personaggi (e qua viene addirittura duplicato): mostro compreso, scelta quantomeno discutibile, che può essere giustificata dal mancato apporto dei grandi visionari che fecero la fortuna del film del '79. Lo sceneggiatore Dan O’Bannon, autore di un bellissimo soggetto che sottendeva una metafora politica, a base di multinazionali e astronauti/operai (e che guarda caso non dava grande spazio al robot), oggi trasformato in un delirante copione esoterico/superomistico, con tanto di Wagner nel finale. E poi GigerRambaldi, il direttore della fotografia Derek Vanlint, eccetera. Insomma, l’Alien originale (bisogna chiamarlo così, oggigiorno, per evitare fraintendimenti) è forse uno degli esempi più significativi di film che si è avvalso dell’apporto creativo di varie personalità artistiche, che in Alien Covenant mancano in toto. Del vecchio team sopravvivono i produttori Walter Hill e David Giler e Ridley Scott deve cavarsela da solo o quasi, mostrando limiti abbastanza evidenti. Non bastano qualche minuto di autentica suspense e due o tre momenti splatter vecchio stile per salvare la faccia.

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A cura di Roberto Frini





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