Sakamoto Days (2025)
Regia: Masaki Watanabe
Character Design: Yo Moriyama
Musiche: Yuki Hayashi
Produzione: TMS enterteinment
Mi riferisco alla prima stagione, di 12 puntate, trasmessa su Netflix a inizio anno. Lo specifico perché potrebbe essere già uscita una seconda stagione, prevista per questo luglio. È una serie ibrida fra commedia e azione con un pizzico di paranormale.
Taro Sakamoto era l’assassino più potente del Giappone, forse del mondo. Era il figlio di Jhon Wick e Superman e non voglio sapere chi dei due era la madre. Questo assassino dalle abilità oltre l’umano un giorno però si è ritirato, così, di punto in bianco. Si è trovato moglie, ha messo su famiglia e ha aperto un minimarket. Adesso è ingrassato tantissimo e passa le giornate a poltrire alla cassa. Ma una cosa che ci ha insegnato la narrativa del genere, è che non si può abbandonare così il mondo del crimine. La gilda degli assassini gli mette una taglia sulla testa e in poco tempo tutti gli assassini del Giappone sembrano dare la caccia a questo rotondo bonaccione.
Questo anime è semplice e non si prende sul serio. In breve tempo, Sakamoto raccatta una costellazione di ragazzi che divengono una sorta di sua “famiglia allargata” e tutti insieme affrontano le continue minacce alla sua vita. Il fatto che sia obeso non ha diminuito le sue abilità e anzi è ancora più temibile che mai (questo è il classico esempio di umorismo per contrapposizione tanto caro all’animazione giapponese). La serie è simpatica e si lascia guardare bene, ci sono molte citazioni alle fiction sui killer (ho adorato rivedere Leon e la bambina, cresciuti). L’azione è esagerata anche nei suoi momenti più belli, questo perché l’idea è appunto di far ridere. Se dovessi inquadrarlo in un genere preciso lo assocerei a SpyxFamily con il quale ha molto in comune, anche se non ne raggiunge le vette umoristiche.
L’animazione è buona, fluida, ben gestita. Il design è gradevole. La colonna sonora è dimenticabile, ma la sigla di Vaundy è veramente orecchiabile.
A mio onesto parere è carino, vale la pena.
A cura di Marco Molendi
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