Un film che si lascia guardare con piacere
Consigliato per gli amanti del thriller a tinte cupe
Antebellum (Usa, 2020)
Regia, Soggetto, Sceneggiatura: Gerard Bush, Christopher Renz. Fotografia: Pedro Luque. Mntaggio: John Axelrad. Scenografie: Jeremy Woodward. Costumi: Mary Zophres. Musiche: Nate Wonder, Roman Gianarthur. Produttori: Zev Forman, Raymond Mansfield, Sean McKittrick, Gerard Bush, Christopher Renz, Lezlie Wills. Produttori Esecutivi: Alex G. Scott, Edward H. Hamm Jr., Kenny Mac. Case di Produzinone: QC Entertainment, Lionsgate Films. Distribuzione (Italia). Eagle Pictures, Prime Video. Lingua Originale: Inglese. Paese di Produzione: Stati Uniti d’America, 2020. Durata: 106’. Genere: Thriller, Horror. Interpreti: Janelle Monàe (Veronica Henley / Eden), Eric Lange (Blake Denton), Jena Malone (Elizabeth), Jack Huston (Jasper), Kiersey Clemons (Julia), Tongayi Chirisa (prof. Tarasai / Eli), Gabourey Sidibe (Dawn), Robert Aramayo (Daniel), Marque Richardson (Nick Henley), Lily Cowles (Sarah), London Boyce (Kennedi Henley).
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La critica non è stata tenera con questo film massacrato dal Covid, che ha visto la sua uscita rimandata a lungo per poi non andare mai nelle sale, finendo direttamente su Prime Video, dove ha avuto un buon successo a livello di acquisti e noleggio. Noi l’abbiamo visto su Rai Movie (disponibile anche su Rai Play), apprezzando la tensione narrativa e l’atmosfera quasi da horror, oltre ai numerosi passaggi a sorpresa della sceneggiatura. Quando si comincia a guardare Antebellum crediamo di trovarci in piena guerra di secessione, in una fattoria conquistata dai sudisti con prigionieri neri torturati e massacrati, costretti a lavorare nelle piantagioni di cotone, ubbidendo silenziosi a ogni ordine. A un certo punto si verifica una frattura - che interrompe il ritmo narrativo - caratterizzata dallo squillo d’un cellulare; si torna in tempi moderni per apprezzare un lungo flashback onirico nel corso del quale la scrittrice antirazzista Veronica Eden (Monae) viene rapita da un gruppo xenofobo. Soltanto in quel momento comprendiamo che la piantagione è una prigione, una sorta di lager per neri impiantato in un parco tematico, rinchiusi e sopraffatti da un gruppo di barbari assassini razzisti. Il finale è una vera e propria ecatombe che vede sugli scudi la scrittrice nelle vesti di eroina vendicatrice. Antebellum gode di una buona sceneggiatura curata dai registi e sfrutta bene l’elemento sorpresa, i dubbi che nutriamo sono sul montaggio non consequenziale (Axelrad), perché è troppo traumatica la frattura tra la prima e la seconda parte per poi tornare ancora nel campo di prigionia. Forse la parte onirica è troppo lunga, i 106 minuti di pellicola non sembrano del tutto necessari, ci sta che con qualche taglio a livello di sceneggiatura il ritmo globale ne avrebbe giovato. Infine non è troppo credibile il rush finale, molto forzato e troppo eroico, che mette in scena una serie di eventi abbastanza improbabili, accettabili solo per il taglio avventuroso della storia. Fotografia anticata nella prima parte (Luque) con toni giallo ocra che ritornano anche nella parte onirica ambientata in notturni inquietanti e angosciosi. Le musiche di Wonder e Gianarthur sono cupe e suggestive, accompagnano un crescendo di orrore all’interno di un campo che pare un lager nazista di tortura. Protagonista principale la cantante Janelle Monàe, di tanto in tanto apprezzata come attrice, che se la cava con disinvoltura nel ruolo della scrittrice di colore dalla parte dei neri. Un film che si lascia guardare con piacere, pur non essendo un capolavoro, un piccolo successo commerciale da pandemia, che gioca tutto sull’elemento sorpresa. Consigliato per gli amanti del thriller a tinte cupe, con alcuni eccessi che lo fanno sconfinare nel genere horror.

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