Un vero campione del movimento
Ogni inquadratura era sempre perfettamente impostata
Stefano Simone, regista italiano di Manfredonia, omaggia un Maestro del quale si dichiara fan sviscerato con un sentito articolo. (Gordiano Lupi)
Preciso subito che questo non è né un saggio né un’analisi critica (anche perché critico non sono), bensì una sorta di lettera d’amore - detto in modo un po’ roboante - a quello che per chi scrive resta il miglior regista della storia del Cinema.
Premesso ciò... Venendo alla domanda che dà il titolo al pezzo, personalmente risponderei in modo sbrigativo che “Michael Curtiz è l'idolo di Steven Spielberg”. E, per la proprietà transitiva, anche il mio, a pari merito col succitato regista di Cincinnati. Magari qualcun altro potrebbe rispondere che si tratti a ragion veduta del regista di Casablanca, il suo film più famoso, nonché quello grazie al quale si è aggiudicato l’unico Oscar alla regia della sua carriera. Ma Michael Curtiz era, prima di tutto, un grandissimo Artigiano (urliamolo ai quattro venti) della macchina da presa che, in quarant'anni di carriera, è riuscito nell’impresa pressoché impossibile di dirigere circa 140 film tra il periodo del muto e quello sonoro, affrontando con estrema disinvoltura ogni genere cinematografico. Totalmente agli antipodi dal concetto di cinema d’autore, Michael Curtiz incarna con estrema probabilità l’emblema del regista esecutore: ungherese di nascita ed emigrato negli Stati Uniti alla fine degli anni '20, firma un contratto con la Warner Bros e realizza per un ventennio almeno due film all'anno, diventando ben presto uno dei registi simbolo (se non il più rappresentativo) del periodo che viene definito l'età d'oro hollywoodiana. Suoi infatti sono film intramontabili come Angeli con la faccia sporca, La maschera di cera, Il romanzo di Mildred, La leggenda di Robin Hood, La carica dei 600, Capitan Blood, Il lupo dei mari, Gli avventurieri, oltre al già citato Casablanca. Potrei continuare con altri titoli di non meno valore.
Carattere piuttosto difficile (a quanto pare arrivò alle mani con Errol Flynn) e alquanto scorbutico con i suoi collaboratori ma allo stesso tempo molto timido, Michael Curtiz era un vero perfezionista che curava ogni singolo aspetto visivo del film, nonché uno dei primi registi - se non il primo - ad aver portato a definitivo compimento la narrazione dinamica (si ricorda che “cinematografia” significa appunto “scrittura col movimento”): la sua peculiarità registica erano infatti i fluidi movimenti di camera con cui sintetizzava in un'unica ripresa narrazione e descrizione (un bravo regista non dà mai priorità all'ambiente, bensì lo relaziona ai personaggi, i veri motori del plot). Per dirla alla Steven Spielberg, Curtiz era un vero campione del movimento, ogni inquadratura era sempre perfettamente impostata come se il dinamismo della macchina creasse una sorta di danza insieme alla coreografia scenica degli attori. E tutto era sempre ben calibrato e mai banale. Altre caratteristiche tipiche della sua messa in scena erano le inquadrature di rimando come le ombre dei personaggi proiettate sui muri e i giochi di specchi, il ritmo narrativo sempre serrato e magistrali giochi di chiaroscuro sui primi piani degli attori.
Relegato nel migliore dei casi nell'ambito dei normali mestieranti se non addirittura definito da qualcuno come “regista di ciarpame” (sic!), non avendo mai avuto una cifra stilistica riconoscibile, Michael Curtiz è sempre stato piuttosto snobbato se non addirittura ignorato da certa critica. Allo stesso modo, questa sua invisibilità gli ha permesso di potersi destreggiare abilmente nel momento in cui gli veniva affidata qualsiasi sceneggiatura da tradurre in immagini, adattandosi camaleonticamente ad ogni tipo di film che realizzava. Come accennavo in precedenza, nella sua sterminata filmografia ha firmato film di ogni genere; a tal proposito, è a dir poco emblematico quando, nello stesso anno, realizza un B-Movie thriller-horror di un’oretta come L’ombra che cammina e La carica dei 600, un kolossal epico di circa 120' e con un budget decisamente altissimo. Ma ci sono tanti altri casi più o meno analoghi.
Il tempo però è (quasi sempre) galantuomo e successivamente la sua statura di cineasta è stata ben riconosciuta, soprattutto grazie al contributo di registi importanti come lo stesso Spielberg o William Friedkin.
Il tempo però è (quasi sempre) galantuomo e successivamente la sua statura di cineasta è stata ben riconosciuta, soprattutto grazie al contributo di registi importanti come lo stesso Spielberg o William Friedkin.
Sperando che questo pezzo sia stato “utile” e che possa almeno invogliare cinefili e non a riscoprire l'opera di un grandissimo regista, invito altresì ogni aspirante cineasta che abbia letto queste righe a recuperare e “studiare” la regia di Michael Curtiz, anche perché si apprezzerà maggiormente il lavoro di registi contemporanei che si portano l'eredità dell'artigianato classico hollywoodiano: in tal senso, oltre a Steven Spielberg, il primo nome che mi viene da accostare a Michael Curtiz è Ron Howard, un altro tra i miei guru di riferimento. Anche perché se non ci fosse il classico non esisterebbe il contemporaneo. Ma questo è un altro argomento che magari affronteremo più avanti.
Buon recupero e buona visione.
A cura di Stefano Simone

Commenti
Posta un commento