Le caverne della morte di Gertrude Atherton

Raccolta di racconti weird

Con l'introduzione e la postfazione di Sunand Tryambak Joshi

“Gli scrittori sono molto più vicini alle verità avvolte nel mistero rispetto alla gente comune, per quella stessa audacia dell’immaginazione che irrita i loro critici apatici. Come solo chi osa sbagliare riesce ad avere grande successo, solo chi apre le ali della propria immaginazione sfiora, una volta ogni tanto, i segreti del grande mondo incorporeo.”
La campana nella nebbia - Gertrude Atherton



Le Edizioni Hypnos, con questo Le caverne della morte pubblicano, per la prima volta in Italia, i racconti weird di Gertrude Atherton, vissuta tra la seconda metà dell’ottocento e la prima del novecento, la cui produzione più cospicua verteva sulla narrativa realistica e che però è stata dimenticata nonostante abbia goduto in vita di un certo successo.
La curatela del volume e la traduzione sono di Paolo Giovannetti.
Il volume è arricchito da un’introduzione e da una postfazione di S.T. Joshi, uno dei più grandi esperti di narrativa fantastica a livello mondiale. Nella prima Joshi ripercorre la vita della scrittrice e nella seconda, invece, analizza la sua produzione weird. Il critico definisce i racconti weird della Atherton “concezioni potenti elaborate con meticolosa maestria, una prosa di impressionante flessibilità, forza e grazia, un’attenzione alle sottili sfumature del carattere e un focus quasi simile a Poe su stati psicologici anormali o disturbati” e quindi “piacevoli alla prima lettura e gratificanti su più riletture.”
Nel racconto visionario che dà il titolo al libro, il protagonista, risvegliatosi dal sonno notturno (è la notte di Natale) nell’anfiteatro di colline in cui dormiva all’addiaccio, è pervaso da una coscienza sovrannaturale che gli consente di assistere al destino delle anime dei trapassati che accorrono in un convegno proprio in quelle colline. Tra lamenti e grida di giubilo le anime dei morti mettono in scena, rivivendoli, i momenti cruciali delle loro vite e delle loro morti. È una storia dalla trama intensa e coinvolgente, un racconto coraggioso nel tentativo della Atherton di immaginare il destino della parte incorporea dell’essere umano.
In La morte e la donna, la protagonista assiste il marito nella sua agonia e spera di vedere la Morte. La donna ascolta suoni e avverte movimenti presaghi dell’arrivo della Grande Consolatrice. Intanto con l’immaginazione prefigura il destino dell’anima del suo compagno. Il racconto termina con uno sconcertante quanto inaspettato, quindi piacevole, finale a sorpresa.
In Una tragedia la protagonista si sveglia in un letto e in una stanza che non riconosce. Acquista gradualmente coscienza di sé, contemporaneamente attraverso la propria fisicità e la propria sensibilità interiore, scoperta dopo scoperta, finché non si alza dal letto e va davanti a uno specchio dove scopre che…
I racconti vertono tutti sulla morte e su ciò che essa causa agli esseri umani in termini di trasformazione fisica e intellettuale concentrandosi sia sulla perdita della bellezza e della vitalità sia sul guadagno nel senso di quello che l’anima ottiene dopo il trapasso.
I primi tre racconti di cui ho parlato sono allegorie/riflessioni che nonostante le tematiche affrontate non sono tristi o cinici anche se in alcuni casi ricorre un’amara ironia, debitrice di Ambroce Bierce. I protagonisti/e non hanno nome il che lascia supporre che siano emanazioni dell’autrice che immagina sé stessa in vari ruoli confrontandosi con l’ultima verità.
Nella sua autobiografia la Atherton racconta di un’esperienza infantile traumatica in cui fu costretta a baciare il cadavere della nonna. Sembra comunque che la scrittrice fosse ossessionata dalla paura della morte.
Nonostante in alcuni racconti pare che la Atherton provi interesse per tematiche spirituali, sempre legate al viaggio estremo, l’autrice manifestò sempre idee di tipo agnostico o, in alcuni casi, addirittura ateo.
Procedo con l’analizzare i restanti racconti.
Acque assassine è un bizzarro racconto giallo, ahimè alquanto anodino e insignificante.
La cosa migliore per tutti è un racconto di suspense che definirei un horror realistico dato che è privo di elementi fantastici e/o sovrannaturali. Si distingue per lo stile potente. Altresì è un po’ il manifesto delle idee darwiniane decisamente poco simpatiche che l’autrice, non isolata in quel periodo, sosteneva.
John Schuyler chiede disperatamente aiuto al suo amico medico e analista, Morton Blaine, per salvare sua moglie dalla dipendenza dalla morfina.
Ma il dottor Blaine, sorta di superuomo niciano, orgoglioso di obbedire al proprio intelletto e non alla coscienza, da lui considerata un ostacolo nella vita, riflette a lungo su quanto sarebbe meglio lasciare morire la donna, giudicata incurabile, per evitare che la sua esistenza possa rovinare quella del marito e dei loro due figli.
Gli aspetti orrifici e di suspense sono dati dalle descrizioni delle condizioni psico-fisiche della donna, ridotta a uno stato animalesco, e dai suoi tentativi di farsi dare dal dottor Blaine, che ha già deciso cosa fare, una dose di morfina per prolungare la propria vita che il medico giudica però uno spreco e un ostacolo alla realizzazione della felicità di un maggior numero di persone, cioè la famiglia della donna. Come dicevo prima è un racconto potente ma anche espressione di idee sociali che oggi chiunque giudicherebbe antipatiche se non mostruose.
In Un cimitero inquieto siamo in un paesino della provincia parigina, la vita dei cui abitanti vivi si svolge tra gioie (poche) e dolori (molti) mentre i loro morti riposano beati nel piccolo cimitero accanto alla chiesa.
Un malaugurato giorno vengono posti dei binari di una linea ferroviaria che porta a Parigi proprio nelle vicinanze del cimitero. Il rumore terribile, assordante e apocalittico risveglia dal loro sonno i morti che scambiano il rumore del passaggio dei treni per il suono della tromba dell’Apocalisse. Ciò crea nei loro cuori sconcerto, confusione e rabbia e, dato che il passaggio dei treni è costante, induce loro al lamento costante.
Le loro lamentele, bizzarramente, arrivano alle orecchie dell’anziano prete titolare della parrocchia del paese, che cerca di intercedere per loro, perorando la loro causa presso il conte Corsac che è direttore della compagnia ferroviaria.
È un racconto malinconico e divertente al tempo stesso, molto struggente.
In La campana nella nebbia lo scrittore americano di successo Ralph Orth, dietro cui si cela il ritratto di Henry James, acquista un’antica dimora di campagna in Inghilterra. All’interno di essa scopre due quadri: uno raffigura una bambina e un altro un bambino. Entrambi dalla bellezza sconvolgente. In particolare Orth si lascia ammaliare dal ritratto della bambina e scopre la sua storia: sarebbe una fanciulla vissuta un secolo prima e morta nella tenera infanzia.
La fascinazione resta virtuale finché non incontra Blanche, la figlia della sua vicina di dimora, che è identica alla ragazzina del dipinto. Orth scopre il proprio lato paterno e tratta la piccola, di cui scopre sempre più la profonda essenza spirituale, come se fosse sua figlia fino ad arrivare a chiedere alla madre di poterla adottare. La donna però rifiuta categoricamente in quanto la forte componente spirituale del carattere della bambina ha un effetto benefico sugli altri suoi figli, tre ragazze ormai adulte e tre ragazzi adolescenti. Orth si rassegna quindi alla propria solitudine. Il fascino di questa ghost story risiede nel fatto che non sappiamo fino alla fine se la bambina è o non è la reale reincarnazione della fanciulla del ritratto. Inoltre da questo racconto traspare la credenza di Gertrude Atherton nell’occulto e in una dimensione altra sebbene non all’interno di forme religiose codificate. Un racconto importante quindi, sia perché rivela, in maniera più chiara rispetto agli altri racconti, la componente spirituale della personalità dell’autrice sia per la caratterizzazione psicologica dei personaggi e per la rappresentazione della natura spirituale del personaggio della bambina che permea tutto il racconto.
In conclusione Le caverne della morte è una raccolta di sette racconti weird che si leggono con piacere anche se l’autrice, dovendo giudicare da questa selezione, e facendo legittimi paragoni con alcuni suoi contemporanei e connazionali, come i grandissimi Henry James ed Edith Warton, resta nella categoria degli scrittori minori.

L’AUTRICE
Gertrude Atherton (1857-1948) è stata una scrittrice statunitense. Tra i suoi romanzi, molti dei quali ambientati nella nativa California, il più importante è il bestseller Black Oxen (1923), da cui è stato tratto l’omonimo film muto. Oltre a svariati romanzi, tra cui l’unico sinora apparso in Italia, il giallo Il divorzio non si addice a Enid Balfame (Le Assassine, 2020), scrisse racconti, saggi e articoli per riviste e giornali su temi quali il femminismo, la politica e la guerra.


Le caverne della morte
Autore: Gertrude Atherton
Presentazione: Sunand Tryambak Joshi
Traduttore: Paolo Giovannetti
Editore: Edizioni Hypnos
Pagine: 156
ISBN: 979-1282138048
Costo: 15,10 €


A cura di Luca Bonatesta



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