Necrolizia. Un disincanto di Francesco Basso

Opera di narrativa moderna e contemporanea

Un grande affresco di una società solo in parte distopica

Ottima prova dell'autore, uno degli scrittori del gruppo "Straniaeoni"



"Necrolizia", con questo termine viene indicato un corpo scelto di polizia politica che, di fatto, è il braccio armato dell'Imperatore, del potere assoluto, del dittatore di turno.
Il compito di questa falange armata del regime è quello di catturare chi osi ribellarsi ad esso.
La vicenda si svolge intorno a due attori modificati per essere gli emblemi della perfezione recitativa i quali osano ribellarsi.
Il corpo di necrolizia li cercherà assiduamente fino alla conclusione finale su, inutile dirlo, un palco di teatro.
Ad una prima lettura, che risulta tutt'altro che ingenua, si nota come ci sia questo sentimento all'interno di qualcuno di questi "attori", metà macchine cibernetiche e metà carne e muscoli, ma le proporzioni tendono a cambiare a sfavore di quest'ultima parte, deturpati nel corpo come nella mente, che si identifica nella voglia di ribellione di chi vuole togliersi da questo regime.
Questa ribellione esplode attraverso un gesto rivoluzionario, totalmente rivoluzionario: il bacio tra due protagonisti di questa vicenda che scatena questa sensazione di umanità vera, non solo in loro ma anche in quanti stanno loro intorno i quali riescono a percepire, grazie all’energia che si dipana da questo gesto, che esso mina le fondamenta dell'impero, della dittatura.
Questi due attori diventano perciò estremamente pericolosi.
Nella ricerca di quello che si dovrebbe definire: l'attore perfetto, colui che sa tutto di teatro, di cinema, che conosce nei minimi dettagli la tragedia e la commedia, si giunge alla rivelazione che è un uomo.
Non può essere altro che un uomo e non può prescindere da questa sua intrinseca natura.
Scoprendosi tale, questo “metantropico” robot, trova la forza per cercare questa ribellione.
Quello che sgomenta più di tutto il lettore, è ciò che appare proprio come il racconto "disincantato" della società moderna: il totale e completo smarrimento di chi viene in contatto con questa epifania.
Prima è qualcuno di loro, della loro ristretta cerchia, poi un perfetto sconosciuto che aiuta uno dei protagonisti in un particolare momento della sua fuga, per finire col pubblico in sala.
Si scopre così che, all’eventuale cadere della dittatura, la quasi totalità di tutti loro si porrebbe una sola e drammatica domanda: «e adesso, che cosa facciamo?»
Per parallellismo, viene in mente il contadino dell’est che, alla caduta dell'impero sovietico, continuava a coltivare il suo campo a cotone pur non avendo da mangiare, avrebbe potuto piantare patate, frumento, mais, ma continuava a raccogliere cotone perché non c'era più chi gli dicesse cosa fosse meglio fare, né lui se lo domandava.
Un perpetuarsi dell'abitudine alla dittatura, che è la stessa abitudine che l'uomo sviluppa verso tutti gli eventi che la vita gli mette davanti, che prosegue imperterrita e che, al cadere di una granitica certezza come quella rappresentata da una spietata dittatura, l'uomo, il pubblico, rimane sgomento.
Ha paura e rimane immobile ad attendere; parrebbe quindi, sembra la logica conclusione, che non vi sia alcuna speranza di cambiare le cose.
Al contrario di Bruto, che forse alle parole di Cesare si rammaricò del suo gesto, nel racconto un figlio si rimprovera di non essere riuscito ad uccidere quel padre padrone.
Ma tanto, si domanda il pubblico esaltato, anche se fosse?
Salirà un altro dittatore che non si conosce, instaurando un suo preciso gruppo di dirigenti con nuove e forse ancor più stringenti regole e quant'altro servirà all'illusione del mantenimento imperituro del potere.
E questo, a parer mio, è l'esatta rappresentazione "teatrale" del pensiero moderno, la più lucida e disincantata analisi della nostra inedia di fronte allo scorrere degli eventi.
Una seconda chiave di lettura riveste un carattere più "mistico" e intimista: Necrolizia. Un disincanto è una versione laica della Bibbia.
Vi si scorge chiaramente una creazione, voluta da qualcuno che sta sopra di noi, un essere capriccioso, cattivo, vendicativo.
Si tenga presente come l'unica colpa dell'uomo abbia generato millenni di dannazione, sofferenza e patimenti: «partorirai con dolore...» quando l'esigenza alla base di quel gesto era solo la voglia di conoscenza.
Un'unica regola infranta contro centinaia d'altre osservate con scrupolo e che aveva come scopo quello di sapere cosa c'è al di là, ha portato dramma e distruzione.
Questa condanna mette l'uomo nelle condizioni di assolvere sé stesso ritenendo giusto il suo agire e, di fatto, abiurare il creatore cercando altri dei, financo biecamente assurdi come un vitello d'oro; Dio è sordo alle preghiere del suo popolo, non risponde, non si fa trovare né pare ricordarsi della sua creatura o delle sue invocazioni.
Così come un Imperatore cinico, cieco e sordo alle esigenze dei suoi sudditi non risponde e, a ogni protesta, aumenta la repressione.
Il suo popolo, spinto al limite, prima con uno o pochi, poi con molti, cerca altrove altri dei, altri dittatori.
Perché è con il perpetuarsi di questo alternarsi che le necessità sembrano di volta in volta soddisfatte, ma non è così.
Quando alcuni di loro trovano quella che pare essere una libertà diversa, vera e pulita dai dogmi dell'Impero, vengono cacciati, banditi dalla società.
E quando riescono nel loro intento di far conoscere questa rivelazione ad altri, credendo fermamente che la verità che loro hanno da mostrare cambierà il mondo in cui sono immersi, scoprono un'altra e più amara consapevolezza: la fine.
La fine completa di loro e di quanti assistono alla loro rappresentazione.
L'essenza prima e ultima del teatro è dunque la tragedia.
Anche nella comicità si può scorgere la tragedia: quando Totò sale le scale di casa sua accompagnato dal "maresciallo" Fabrizi, tutto il rammarico di un uomo che deve giustificare a sé stesso la sua vita passata in quel modo, è l'essenza stessa della tragedia.
E lui, quasi con pudore, sente il bisogno di motivare la presenza del grande Fabrizi ai suoi vicini di casa che scendono le scale e lo vedono, riconoscendolo anche se in borghese.
Sotto sotto, però, sa benissimo che tutto sta finendo.
Forse ci salverà solo un faro di luce pura che, illuminando il protagonista che esce di scena, ne definirà il profilo fino a che la quinta non ne nasconderà il percorso lasciandoci soli, in sala, dentro il buio.

L’AUTORE
Francesco Basso, nato a Sanremo nel 1985 e vicedirettore de L’Eco della Riviera (fondato nel 1915) e collaboratore de Il Secolo XIX. Con Strani Aeoni ha pubblicato il romanzo breve “Necrolizia - Un Disincanto”, il libro “Scacchiera a Tre” (con Paolo Sista e Marco Vallarino) e ha collaborato a “Mercuria - Per Tempus Ad Fatum”. Della sua corposa produzione letteraria ricordiamo “Caso Voronoff - Tutta la verità sull’uomo scimmia” (All Around Edizioni) e “Lucio Fulci - le origini dell’horror” (Il Foglio Letterario); come indipendente, è autore di “Horror Chef”, *The New York torture”, “Le poesie di domani: Poesie Distopiche” e “Il pugile arcobaleno e la bomba atomica”.


Necrolizia. Un disincanto
Autore: Francesco Basso
Editore: Colomò Editore
Pagine: 114
Codice ISBN: 979-1281430259
Prezzo: 12,00 €


A cura di E.B. Lugher



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