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Il giorno degli zombi di George A. Romero

Un elicottero sorvola la costa orientale degli Stati Uniti: una lunga processione di città deserte. Almeno così sembra. Non appena due uomini si avventurano per le desolate vie di Miami, le strade si gremiscono di morti che camminano. Gli zombie hanno vinto. Il mondo è loro. Ai pochi superstiti non resta che chiudersi in un bunker e dividersi in fazioni, scienziati, soldati e tecnici, e trovare una soluzione, ciascuno a modo suo. Orgoglio, follia e paranoia finiranno per ucciderli. Per chi si è prudentemente tenuto lontano dai conflitti autodistruttivi, l’unica soluzione è fuggire e lasciare che i rimasti al mondo si divorino tra loro.
La trilogia dei morti viventi di George Romero si chiude con il capitolo più amaro. L’ironia de La notte dei morti viventi e il tono satirico di Zombi vengono abbandonati in favore di uno stile più freddo e crudo, di una claustrofobia tanto spaziale quanto umana, di una violenza gelida e famelica.
Se i due precedenti film erano varianti sul tema della violenza necessaria in uno stato mal funzionante che non si riducevano a semplici metafore politiche, Il Giorno degli Zombi sceglie esattamente questa strada.
La parte violenta e irrazionale dello stato americano (e non solo, a ben guardare) si incarna nei militari. Addestrati allo scontro, reagiscono con indolenza all’invasione: per loro è solo un altro tiro a segno. Si sentono i più forti e quando le istituzioni crollano e arriva l’anarchia, prendono prepotentemente il comando e subito si dimostrano intolleranti verso gli scienziati. Non vogliono dividere le ultime risorse con loro, considerandoli inutili.
Questi dovrebbero portare la ragione, ma perseguono le loro ricerche e i loro ideali con ottusità, a volte fino alla follia. Come nel caso del professor Logan, scienziato di antica tradizione, che “rieduca” uno dei ritornanti e conduce orribili, insensati esperimenti sui cadaveri in cerca della causa biologica dell’epidemia e di una soluzione pacifica, senza rendersi conto che le sue ricerche sono inutili quanto l’aggressività dei militari.
Militari e scienziati si danno battaglia e arrivano alle armi. La dicotomia guerra e pace è insensata, se non c’è comunicazione e spirito di collaborazione, se l’istinto che inevitabilmente prevale è la sopraffazione, simboleggiata dagli zombi, che in questo film si muovono in affollatissime ondate e sono più che mai affamati e violenti. Un soldato, umiliato dai compagni, apre le porte e lascia entrare i mostri nel bunker dando inizio al massacro indiscriminato. Gli uomini hanno perso, su tutti i fronti. 
Chi la scampa sono i tecnici, che considerano inutile tanto sparare che stare a guardare e badano alla propria individuale sopravvivenza. Quando la guerra interna al bunker sfiora i loro quartieri non esitano a darsela a gambe, lasciando gli altri al loro destino. Tra loro c’è la protagonista, interpretata da Lori Cardille, il cui percorso è simbolico dell’ideologia del film: partita come scienziata in cerca di risposte e soluzioni, abbandona l’ideale e comprende che l’unica via di sopravvivenza è nella saggezza pragmatica e materialista dei due tecnici dell’elicottero. La chiosa della trilogia è dunque disperatamente nichilista.
Il film ha alcuni difetti nella sua eccessiva verbosità (sebbene i dialoghi siano ben scritti) e nell’eccessivo schematismo con cui rende conto delle parti in gioco. I personaggi non sono ben motivati e, a tratti, aderiscono a stereotipi. Ciò non toglie che l’effetto di insieme sia incredibilmente potente.
Merito soprattutto del ritmo, come al solito fulmineo, e della regia, mai così ispirata e visionaria. Il mondo del bunker sotterraneo sembra uscito da un incubo di solitudine e abbandono, con i suoi spazi immensi, le pareti di un soffocante bianco uniforme, una staccionata e una semplice rete metallica come protezione dall’esterno.
Ancora una volta l’orrore si scatena alla luce, in un assolato mattino di Miami e nei corridoi dei laboratori illuminati al neon (solo una la sequenza al buio, la memorabile fuga attraverso le caverne).
Il sangue scorre a fiumi ma raramente viene ricercato l’effetto facile e la violenza mantiene il tratto ironico dei film precedenti. Il banchetto cannibalesco finale è un perfezionamento della conclusione di Zombi nel suo programmatico irrealismo. Il cattivissimo capo dei militari, Joe Pilato, viene sventrato e smembrato e non sembra provare il minimo dolore. Privo di organi interni, con un ghigno sulle labbra, invita i mostri a divorarlo.
Le ristrettezze di budget non si sentono, tuttavia il film è una soluzione di compromesso che ha sacrificato molte delle idee originali di George. In rete è possibile scaricare la sceneggiatura originale de Il giorno degli zombi, leggendo la quale si può intuire che, con qualche soldo in più, sarebbe stato un film indimenticabile.

a cura di Lucio Besana