La trilogia dei morti viventi di George Romero si chiude con il capitolo più amaro. L’ironia de La notte dei morti viventi e il tono satirico di Zombi vengono abbandonati in favore di uno stile più freddo e crudo, di una claustrofobia tanto spaziale quanto umana, di una violenza gelida e famelica.
Se i due precedenti film erano varianti sul tema della violenza necessaria in uno stato mal funzionante che non si riducevano a semplici metafore politiche, Il Giorno degli Zombi sceglie esattamente questa strada.
La parte violenta e irrazionale dello stato americano (e non solo, a ben guardare) si incarna nei militari. Addestrati allo scontro, reagiscono con indolenza all’invasione: per loro è solo un altro tiro a segno. Si sentono i più forti e quando le istituzioni crollano e arriva l’anarchia, prendono prepotentemente il comando e subito si dimostrano intolleranti verso gli scienziati. Non vogliono dividere le ultime risorse con loro, considerandoli inutili.
Questi dovrebbero portare la ragione, ma perseguono le loro ricerche e i loro ideali con ottusità, a volte fino alla follia. Come nel caso del professor Logan, scienziato di antica tradizione, che “rieduca” uno dei ritornanti e conduce orribili, insensati esperimenti sui cadaveri in cerca della causa biologica dell’epidemia e di una soluzione pacifica, senza rendersi conto che le sue ricerche sono inutili quanto l’aggressività dei militari.
Militari e scienziati si danno battaglia e arrivano alle armi. La dicotomia guerra e pace è insensata, se non c’è comunicazione e spirito di collaborazione, se l’istinto che inevitabilmente prevale è la sopraffazione, simboleggiata dagli zombi, che in questo film si muovono in affollatissime ondate e sono più che mai affamati e violenti. Un soldato, umiliato dai compagni, apre le porte e lascia entrare i mostri nel bunker dando inizio al massacro indiscriminato. Gli uomini hanno perso, su tutti i fronti.
Chi la scampa sono i tecnici, che considerano inutile tanto sparare che stare a guardare e badano alla propria individuale sopravvivenza. Quando la guerra interna al bunker sfiora i loro quartieri non esitano a darsela a gambe, lasciando gli altri al loro destino. Tra loro c’è la protagonista, interpretata da Lori Cardille, il cui percorso è simbolico dell’ideologia del film: partita come scienziata in cerca di risposte e soluzioni, abbandona l’ideale e comprende che l’unica via di sopravvivenza è nella saggezza pragmatica e materialista dei due tecnici dell’elicottero. La chiosa della trilogia è dunque disperatamente nichilista.
Il film ha alcuni difetti nella sua eccessiva verbosità (sebbene i dialoghi siano ben scritti) e nell’eccessivo schematismo con cui rende conto delle parti in gioco. I personaggi non sono ben motivati e, a tratti, aderiscono a stereotipi. Ciò non toglie che l’effetto di insieme sia incredibilmente potente.
Merito soprattutto del ritmo, come al solito fulmineo, e della regia, mai così ispirata e visionaria. Il mondo del bunker sotterraneo sembra uscito da un incubo di solitudine e abbandono, con i suoi spazi immensi, le pareti di un soffocante bianco uniforme, una staccionata e una semplice rete metallica come protezione dall’esterno.
Ancora una volta l’orrore si scatena alla luce, in un assolato mattino di Miami e nei corridoi dei laboratori illuminati al neon (solo una la sequenza al buio, la memorabile fuga attraverso le caverne).
Il sangue scorre a fiumi ma raramente viene ricercato l’effetto facile e la violenza mantiene il tratto ironico dei film precedenti. Il banchetto cannibalesco finale è un perfezionamento della conclusione di Zombi nel suo programmatico irrealismo. Il cattivissimo capo dei militari, Joe Pilato, viene sventrato e smembrato e non sembra provare il minimo dolore. Privo di organi interni, con un ghigno sulle labbra, invita i mostri a divorarlo.
Le ristrettezze di budget non si sentono, tuttavia il film è una soluzione di compromesso che ha sacrificato molte delle idee originali di George. In rete è possibile scaricare la sceneggiatura originale de Il giorno degli zombi, leggendo la quale si può intuire che, con qualche soldo in più, sarebbe stato un film indimenticabile.
a cura di Lucio Besana