Gita al faro è un romanzo familiare. Non
solo perché ha come protagonista una famiglia (i Ramsay), ma anche per
la sensazione di familiarità che ho avuto nel leggerlo, quasi stessi
vivendo in un'isola, in un mondo confuso, in guerra, circondata dalle
persone, dalle loro solitudini... Virginia Woolf scrive questo romanzo
con una sensibilità, una poeticità che non appartiene a molti:
testimonianza di un'assenza che è innanzi tutto assenza della madre,
morta quando Virginia aveva solo tredici anni. Gita al faro è
un viaggio: nella mente umana, nei ricordi, un viaggio nostalgico
(quando gli occhi della mente guardano attraverso una finestra sul
futuro e hanno paura di lasciare ciò che hanno), ma pure di speranza,
perché anche se ci si rassegna al tempo che passa, e alla morte, si
perpetua la vita in un raggio di luce, la natura vive come ciò che
"sentiamo" e va oltre le distanze (e spaziali e temporali). Mentre il
narratore rimane extradiegetico ed eterodiegetico (nonostante si sappia
che la Signora Ramsay sia figura della madre della Woolf e Lily Briscoe
alter ego della stessa Woolf), la focalizzazione nel racconto è
variabile.
A prevalere nella prima parte del
libro è il punto di vista della madre e ad essere messe in evidenza,
quindi, sono le solitudini dei vari personaggi, le distanze che la
signora Ramsay tenta di ridurre: lo spazio è necessariamente e quasi
totalmente quello interiore; anche i gesti (lavorare a maglia, attaccare
figurine, aprire e leggere un libro…) mostrano il loro aspetto
sentimentale. Nell'ultima parte invece il punto di vista è quello di
Lily: dominano i dubbi, le domande senza risposta, ancora la solitudine
prende il sopravvento e continua la ricerca di un'unione che alla fine,
com'è giusto che sia, si risolve in un'unione più personale che
collettiva. Possiamo quindi trovare la nostra visione, su una spiaggia
come in un quadro, e lo faremo da soli, ma forse non ci riusciremo senza
quei fili di luce sottile che sono i rapporti con gli altri (o i loro
ricordi). C'è poi il capitolo centrale che funge da ponte tra "la
finestra" sul passato e il futuro, che vede il raggiungimento del "faro"
: "il tempo passa", momento apparentemente anomalo di un romanzo che
pare immobile, come se il susseguirsi dei pensieri, tra positivo e
negativo, dipingesse un mare ondoso ed eterno. Si, ciò di cui si parla
qui è il trascorrere dei giorni, dei mesi, degli anni, ma,
concretamente, si tratta di un racconto" sommario", ricco di pause, e
con frequenti sguardi nel cannocchiale dei ricordi. Ha inizio con una
scena: gli ospiti e i figli della signora Ramsay rientrano in casa e
spengono i lumi. Tutto è confuso, niente è distinguibile a causa del
"diluvio di tenebre" che invade le stanze. "Dobbiamo attendere che il
futuro si riveli" (questa la prima frase),ma ora è impossibile e ciò che
si presagisce non è niente di buono, con il buio e gli aliti di vento
che prendono corpo, quasi si personificano, e si infiltrano toccando
ogni cosa ma non le persone, ancora vive. Se la luce rappresenta la
vita, le tenebre non possono che raffigurare la morte, il nulla. Ma
quegli aliti, interrogativi e perplessi, forse racchiudono in loro una
forza che non è della Natura sola, è una forza che arriva dall'alto.
Poi, ancora nei primi paragrafi, ha avvio il susseguirsi delle stagioni,
anch'esse corporalizzate (l'autunno sono gli alberi che luccicano nel
giallo chiarore della luna; l'inverno ha dita instancabili per
distribuire le notti…) e compare una bontà divina volubile, che solleva o
abbassa il sipario dello spettacolo-vita senza curarsi troppo delle
sofferenze umane o delle loro domande. La mano protesa (alla Natura) si
ritrae, come pure dovrà fare quella del signor Ramsay, quando, in un
buio mattino, cercherà l'abbraccio di sua moglie invano: lei è morta, le
braccia di lui vuote. Il vuoto è la caratteristica principale della
stessa casa. A mostrarcelo è ancora il vento, e il delicato naso delle
brezze marine, che insieme descrivono la desolazione accarezzando le
cose annerite dal tempo e fanno rimbombare le loro domande: siete
destinati a perire? Tutto è ancora immobile, come se gli abitanti della
casa fossero ancora lì, o almeno i loro gesti si fossero cristallizzati
in quell'aria umida. Ma le ombre lottano e prevalgono la luce, sono
ombre non-umane, di uccelli e alberi; e anche quel mantello di silenzio,
che è quiete e pure rispetto del passato, viene infranto, per un
attimo, quando una piega dello scialle della signora Ramsay si apre un
poco ed oscilla nell'aria: le distanze, il tempo, la morte, mutano
lentamente le cose. A questo punto, con tutta la sua forza grezza e
pesante, compare la custode della casa: la signora Mc Nab (strappa il
velo di silenzio e lo calpesta). Il paragrafo 5 è dedicato a lei, a lei
che rollava come nave in mare e che con il suo sguardo obliquo, di
sbieco, si difendeva dall'ostilità del mondo, lei che, seppur curva
dalla stanchezza, cantava, e intanto lavorava. Non si sa cosa pensasse,
mentre gli altri, i mistici, i visionari passeggiavano sulla spiaggia,
agitavano l'acqua di una pozza (immagine che si ripete più volte), per
poter scorgere i riflessi di una visione futura, per capire chi fossero
veramente: una minuscola parte di un mare infinito o il mare stesso.
"Lei avrebbe continuato a bere e a spettegolare": quale distanza da
quella spiaggia (e da quella pozza)! Continua poi la visione
antropomorfa delle stagioni. Ora è il momento della primavera (vergine
fiera nella sua castità, indifferente e luminosa) e dell'estate, con le
sue spie (il vento) in giro per la casa. Il bel tempo riporta alle
riflessioni sullo specchio d'acqua, le menti degli uomini piene di
nuvole e ombre, agitate ma piene di sogni, contemplano la vita sperando
in qualcosa di più, che vada oltre le virtù familiari, una salvezza che
sa di assoluto. Ma nonostante il torpore scaturito dal caldo, la vita
umana va avanti, con tutte le sue sofferenze. Una tarda pioggia
primaverile, e poi un tonfo, come di qualcosa che cade, raffigurano
altre assenze: quelle di Prue e di Andew Ramsay. Assieme a quella della
madre esse occupano poche righe, l'autrice si affida ai puri fatti visti
da altre persone, il tutto racchiuso in parentesi quadre, un distacco
che aumenta la tragicità ma, soprattutto, l'ineluttabilità degli eventi.
Con la morte del figlio fa la sua apparizione la guerra, che completerà
il suo tetro dipinto lasciando dei segni sulla superficie della natura,
del mare: una nave cinerea e una macchia purpurea, provenienti dal
profondo (la meschinità dell'animo umano), assolutamente contrastanti
con la bellezza del mondo, in cui ormai è difficile se non impossibile
rispecchiarsi. Lo specchio è rotto, dice, poiché trionfa la
disgregazione, non più l'unità. L'uomo si rifugia nella poesia(
Carmichael,il poeta, ottiene un insperato successo, infatti), la regina
di quanto c'è di elevato, alto, per sfuggire alle bassezze della guerra.
Intanto venti eonde sono come masse amorfe di leviatani privi del lume
della ragione: l'universo intero è sconvolto, è in uno stato di
confusione bruta, di cupidigia insensata e sfrenata (ricorda il signor
Ramsay, l'uomo che si tormenta e non è mai in armonia con la natura!).
La quiete e lo splendore del giorno si contrappongono al caos e al
tumulto della notte; gli alberi guardan fisso davanti a loro e verso
l'alto senza vedere… come l'individuo che tra i tormenti oscuri della
mente cerca di elevarsi senza però riuscirci. Dal paragrafo 8 la casa è
di nuovo protagonista, attraverso gli occhi della signora Mc Nab. I
fiori ci mostrano che è ancora primavera, le riflessioni della custode
il passare del tempo e la degradazione: libri pieni di muffa (da mettere
al sole), giù l'intonaco, otturata la grondaia sopra la finestra,
rovinato il tappeto. Tra queste rovine riappare la signora Ramsay, in
mezzo ai vestiti negli armadi, alle sue cose ormai piene di tarme, con
il suo scialle che portava un tempo per lavorare in giardino (e quindi a
contatto con la natura), un giardino ora diventato un groviglio di
piante. Viene messa in evidenza la figura della madre (c'è il bambino al
suo fianco), e la sua morte è introdotta da un "dicevano", che la fa
sperare non-reale. La vediamo salutare la signora Mc Nab una volta e poi
ancora, gentilmente (la custode apre il cassetto di ricordi): quante
persone sono morte, quante persone hanno perso i propri cari (e lo
richiude). Il pensiero ora va ai prezzi che sono saliti, altro breve
cenno alla "semplicità" della cameriera (che mai viene chiamata così, ma
solo per nome), come lo sono stati lo sguardo, la bocca sdentata, le
gambe pesanti…Ci sono degli elementi che si ripetono, per meglio
rappresentare i pensieri di una persona come la signora Mc Nab: la
signora Ramsay e il suo altruismo (con la sua offerta di zuppa al
latte), lei così fragile ma presente (come un bagliore giallognolo che
vagava sul muro), la vecchiaia (aveva dimenticato tante cose…si stava
meglio allora che adesso), la rassegnazione e il distacco dalla famiglia
dei signori (troppo da fare per una donna sola… loro non mandano mai
nessuno, non vengono mai…). L'immagine che continua a consolidarsi è
quella di una casa vecchia, scricchiolante e sola, proprio come la
stessa custode. Le porte sbattono, quelle porte che la signora Ramsay
voleva chiuse, mentre le finestre dovevano essere aperte, per rigenerare
la vita. La casa abbandonata, disertata ci appare come un
casa-fantasma, un campo di battaglia alla fine della guerra. La notte
ancora rappresenta la morte, ritorna la personificazione delle brezze e
degli aliti, a dimostrare come la natura possa prendere il sopravvento
se la forza dell'uomo non è presente per controllarla. I ricordi hanno
vacillato sui muri come una macchia di sole(di vita) e sono svaniti; la
luce del faro è entrata per un attimo, forse ad evidenziare il contrasto
con l'abisso di tenebre in cui la casa, fatiscente e cadente, sta per
precipitare. Basta una piuma per far traboccare la bilancia: una piuma
nera avrebbe portato la casa (la vita passata, familiare) nell'oblio,
una piuma come i rovi e le cicute, e solo una tritoma o un frammento di
porcellana avrebbero indicato quella vita. La semplicità dei lavoratori
ritorna a questo punto come forza (inconsapevole, dice) che pone un
freno alla decomposizione e putrefazione: la s. Mac Nab insieme con la
s. Bast salvano così la casa, e forse anche loro stesse, dal diluvio del
tempo, attraverso l'azione. Viene evidenziata la lentezza, la fatica,
le numerose cose da fare (in contrasto con l'idea delle "signorine" di
ritrovare tutto com'era prima). Le donne scuotono e sbattono, pare un
parto rugginoso e laborioso. Una vita che non c'è più deve resuscitare!
Ecco di nuovo il cannocchiale per guardare indietro. Ora il cerchio di
luce è il signor Ramsay, si potrebbe dire l'opposto della sua consorte:
non chiamato per nome, magro e duro come un chiodo, che scuoteva il
capo, parlando da solo, e che non la notava mai, la s.Mc Nab. Ancora
dubbi sulla morte poi, nella camera dei bambini, i ricordi si fanno
allegri (e si srotolano come un tenero gomitolo), diversamente da quelli
scaturiti dalle lunghe file di libri un tempo neri come corvi, simboli
di una distanza sottile e silenziosa tra i coniugi Ramsay, ma anche tra
le persone comuni e i grandi pensatori. Cominciano a rivivere gli
oggetti, perché rivivono le persone, ha di nuovo un senso usare il
servizio da tè! Ed ecco che il gomitolo giunge a sfiorare elementi di
una vecchia ricca condizione sociale, nei quali domina la distanza: da
lontano veniva il teschio appeso alla parete, dall'oriente alcuni vecchi
ospiti, e le signore in abito da sera, tutte ingioiellate sono
contrapposte alla s. Mac Nab che lavava i piatti, fin dopo la
mezzanotte. Ora le finestre sono di nuovo aperte, e le porte chiuse, si
possono sentire i suoni della Natura (quelli minacciosi della guerra
sono svaniti), si può ritentare un'armonizzazione con Lei, nonostante
non sia mai totale. Poi cala il silenzio e si alza la quiete, la foschia
rende tutto soffuso, cosicchè le diverse solitudini possono
ricomparire, in punta di piedi, quasi fossero spiriti, anch'esse infatti
racchiuse in parentesi quadre. Il cambiamento, il ritorno della pace è
giustamente affidato al mare, il suo mormorio ridiviene misterioso
poiché ad ascoltarlo c'è Lily Briscoe, la notte stessa indossa il
vestito più bello per ammaliare menti profonde come quella di lei e del
signor Carmichael. La casa è nuovamente piena, di nuovo c'è qualcuno
che sposti la tenda per guardar fuori, il buio continua la sua
invasione, ma ora è dolce, delicato, come un drappo che avvolga ogni
cosa, poiché più forte è la consapevolezza che sia giusto rassegnarsi
(al buio come alla morte). E' un segno positivo a prevalere, qui come
alla fine di ogni capitolo, positivo e femminile: l'amore non dimostrato
ma percepito; il sole che solleva le tende; lo sforzo della pittrice, e
mentale e fisico, che porta ad una conclusione. Quindi è il sole,
dicevo, la luce che rianima le cose e le persone. Lily afferra le
coperte "come chi sul punto di cadere da una rupe, s'afferra alla zolla
sul ciglio", è di nuovo sveglia: fa sempre un po' paura riscoprirsi
vivi!
SCHEDA LIBRO
Titolo: Gita al faro
Autrice: Virginia Woolf
Titolo: Gita al faro
Autrice: Virginia Woolf
Editore: Garzanti
Prezzo di copertina: 8,50 Euro
a cura di Ally