Il “dio dei manga” è un personaggio a dir poco mitico in Giappone.
Con Tezuka molte cose sono iniziate: oltre ad esser stato uno degli
autori più prolifici della storia è stato il pioniere di moltissimi di
elementi che ancora oggi riconduciamo al fantastico mondo
dell’animazione made in Japan: oltre alle scelte tecniche e
linguistiche appena citate, vale la pena ricordare che fu il primo ad
utilizzare i cosiddetti “occhioni” per i suoi personaggi, una cifra
stilistica, anche questa, che perseguiterà la stragrande maggioranza
delle produzioni nipponiche per almeno 40 anni.
Tezuka nasce nel 1928 e, nel 1946, proprio durante il periodo di
immatricolazione all’università di medicina di Osaka, esordisce nel
mondo dei manga con Ma-chan no Nikki. Già da questo suo primo
lavoro si individuano le sue peculiarità più forti, come la ricerca del
movimento mediante soluzioni grafiche innovative e la ricerca di una
composizione delle vignette che potesse ricreare prospettive spaziali
propriamente cinematografiche.
Nel 1950 è la volta di Jungle Taitei (il cui cartone animato arrivò qui in Italia con il nome di Kimba, il leone bianco) il cui soggetto fu chiaramente preso in seguito dalla Disney per la realizzazione de Il re leone del 1993.
Nel 1951 è la volta di Tetsuwan Atom, conosciuto in Italia e USA come Astroboy,
considerato il primo vero “anime” della storia. Ovviamente non vuol
dire che questo sia il primo cartone giapponese di sempre, ma piuttosto
che ci troviamo di fronte alla prima serie TV con una trama in
progressione, dalla prima puntata fino all’ultima. E’ dunque il primo
esempio di prodotto seriale made in Japan, con tutte le implicazioni
estetiche e linguistiche che ne conseguono.
Uno dei tanti pareri
comuni che hanno contraddistinto la dabbenaggine dell’opinione pubblica
nostrana è sempre stato quello che affermava (e afferma) che i cartoni
giapponesi fossero solo un insieme di brutti disegni volti unicamente a
rappresentare violenza gratuita. Il motivo di tanto accanimento va forse
ricercato nelle reazioni di fronte ad un prodotto che, sicuramente,
all’epoca, si presentava quantomeno inusuale rispetto all’unica
esperienza di visione, circoscritta al mondo disneyano, fin lì maturata
da parte del pubblico. Le produzioni nipponiche, soprattutto dei primi
anni, agli occhi di chi era abituato al tratto dei cartoni animati
Disney appunto, si sono sempre contraddistinte per la semplicità del
tratto, ma soprattutto per la caratteristica animazione a “scatti”, cioè
poco fluida e alquanto fastidiosa agli occhi. Il motivo di tutto ciò va
ricondotto al fatto che, soprattutto negli anime delle origini, si
utilizzavano molti meno dei 12 disegni al secondo dei corrispettivi
americani (per una serie di ragioni, tra cui quella fondamentale della
crisi economica che stava investendo le case di produzione nel periodo
post-bellico) e quindi, per poter rendere al meglio il movimento o
generare le giuste “emozioni visive” (scusate il terrificante
neologismo) si iniziò, in Giappone, a ricorrere a dei particolari
stratagemmi, come ad esempio le immagini che venivano fatte roteare
davanti alla cinepresa per simulare le cadute a vertigine, o gli stessi
zoom che hanno segnato la politica del risparmio degli anni ‘70 anche
nel cinema in carne ed ossa. Astroboy è dunque importante anche perché è
stato il primo lavoro nel quale le limitazioni tecniche, dovute ai
budget irrisori, sono diventate una vera e propria cifra stilistica
utile a distinguere una produzione fino ad allora riconoscibile solo
perchè circoscritta solamente ad una certa area geografica.
Nel 1954 esce Ribbon no Kishi (in Italia La principessa Zaffiro)
un manga/anime molto famoso e importantissimo perché, di nuovo, segna
un’altra avventura pionieristica del nostro Tezuka: questo lavoro è
considerato il primo shojo manga della storia. Gli shojo manga
sono, per dirla in modo semplice, tutti quei fumetti (e poi anime,
ovviamente) pensati per le ragazze: in Giappone infatti vi sono varie
categorie di manga: le principali due sono gli shonen manga (i
manga per ragazzi, caratterizzati da un tratto semplice, minimale, a
sostegno di trame generalmente basate su avventura e azione); e gli shojo manga, appunto, i manga per ragazze (dal tratto più delicato, sottile, con storie principalmente d’amore, romantiche); lo shojo ha poi generato un altro filone, quello degli shonen ai,
manga con all’interno amori omosessuali, in cui gli uomini hanno fisici
prettamente androgini e visi femminei (una lettura che è pensata per le
ragazze, però).
Ricordiamo che Tezuka fu anche animatore dei cartoni animati tratti
dai suoi fumetti e, di nuovo, qui inaugura la figura di “factotum”
tipica delle produzioni nipponiche: i registi di anime giapponesi,
infatti, non si limitano a dirigere, ma spesso sono anche gli animatori,
gli sceneggiatori e soprattutto gli autori dello storyboard (famosi i
casi di Miyazaki e Otomo).
Dopo aver fondato, nel 1961, la propria casa di produzione di anime, la Tezuka Osamu Production Dogabu che, nel 1963, prenderà il nome di Mushi Production (in giapponese mushi vuol dire insetto e Tezuka era solito firmare con il kanji relativo).
Tezuka curerà da vicino tutte le serie TV nate dai suoi manga, ricordiamo le più celebri:
Nel 1963 esce la prima serie TV trasmessa dalla TV giapponese: Tetsuwan Atom;
Nel 1965 è la volta di Jungle Taitei (ancora un primato: fu il primo anime della storia trasmesso a colori).
Nel 1973 la Mushi Production fallisce e, per la nuova casa di produzione Tezuka Production, realizza Fushigi na Melmo (giunta anche in Italia con il nome di I bon bon magici di Lilly).
Intanto anche la sua produzione di manga continuerà e, tra le opere principali, ricordiamo due controversi lavori: il primo è Buddha, una curiosa rivisitazione della storia di Siddharta pubblicata tra il 1972 e il 1983;
Il secondo è Adolf ni Tsugu (La storia dei tre Adolf), ambientato durante la Seconda Guerra Mondiale, pubblicato tra il 1983 e il 1985.
Tezuka morirà nel 1989 e poco prima della morte verrà sostenuta da
alcuni giornali giapponesi la causa per una sua candidatura al Premio
Nobel per la letteratura. A tal punto era arrivata la considerazione del
maestro tra i suoi ammiratori e tra la gente comune.
Nel 1994, la
città di Takarazuka, aprì un museo a lui dedicato e, nel 1997, il
governo Giapponese gli ha dedicò una serie personale di francobolli
(stessa cosa poi successa anche a Miyazaki qualche anno dopo).
Tezuka fu, dunque, un pioniere, ma soprattutto un papà per tutti gli
autori che sarebbero venuti dopo perché è stato colui che ha posto le
basi per la futura crescita dell’animazione giapponese: e si parla di
struttura organizzativa, di definizione dei ruoli all’interno della
macchina produttiva e in particolare di quello del regista, non più solo
“direttore d’orchestra” (com’era stato Disney) ma personaggio coinvolto
pienamente in tutte le fasi della realizzazione e della produzione.