Guardai ancora i piccoli segni serrati frettolosamente scritti sul foglio e mi parve che tutte quelle linee vibrassero, incitassero a far presto: “Scongiuro nostra antica amicizia raggiungermi subito stop Pedro”.
Bisognava affrettarsi. Partii per Osterdich. Quando raggiunsi a notte alta la lontana località perduta tra le vigne e gli ulivi, ebbi un brivido di paura e di freddo. Quel brivido misterioso si comunicò ai miei nervi eccitati, mi strinse come in una morsa. Per raggiungere l’antica villa di Pedro de Domingues occorreva inerpicarsi per un'erta e stretta salita, non accessibile ad alcun mezzo di locomozione eccettuato il mulo. Pedro non aveva mai voluto - per chissà quale misteriosa ragione - far costruire la strada al fine di rendere più agevole l’accesso alla villa. L'abitazione di Pedro si trovava su un ammasso roccioso sovrastante la linea ondulata delle colline che facevano da sfondo. Dopo circa mezz'ora di cammino bussai alla pesante porta di rovere su cui era inciso lo stemma dell'antica famiglia patrizia. Quasi istantaneamente mi fu aperto. Subito una voce mi disse:
- L’aspettavo. Con il signore finga di essere capitato qui per caso... Il telegramma l'ho mandato io. Era necessario... Poi spiegherò tutto.
Michael, il maggiordomo, mi precedette, dopo il mio cenno di assenso, lungo un cupo corridoio dalle alte volte. Salii una scala dai gradini smussati, corrosi e mi meravigliai che Pedro, nonostante la sua ricchezza, avesse lasciato andare alla malora quell'edificio seicentesco.
Sulla soglia della grande stanza da letto, Michael disse, con voce impersonale:
- Una visita inattesa, signore… Una visita che le farà piacere...
- Avanti.
Nel mezzo della stanza c'era un tavolo massiccio, attorno alle pareti alcune panche inchiodate secondo l'uso antico e in un angolo, a poca distanza dalla finestra, un letto monumentale sormontato da un colossale baldacchino.
- Pedro! - esclamai.
Il mio amico aveva un viso pallido, affilato e quasi trasparente, su cui spiccava la corta barbetta nera e il folto ciuffo dei capelli scomposti. Gli occhi grandi, profondi, incavati nelle orbite, avevano uno sguardo strano. Quel viso mi fece paura. Il corpo di Pedro ebbe un brivido lungo, sottile, i suoi occhi si chiusero un momento. Poi si riaprirono, mentre con la mano scarna mi faceva segno di sedere.
- Non sono malato... Sono i medici che mi costringono a letto... Io sono forte... È il lungo riposo forzato che mi ha fiaccato... Sapete che cosa dicono di me? Che sto per impazzire. Un'assurdità. Non credono a quello che dico, a quello che dico di vedere: una fanciulla bellissima, un'apparizione divina, una bellezza sovrannaturale... E vedo la macchia orribile... l'impronta sanguinosa della mano aperta sul petto... io lo so... Io so dov'è rinchiusa… Ed è inutile che mi tengano qui legato. Io fuggirò, riuscirò a fuggire... Ella mi chiama... Devo andare da lei...
La voce di Pedro si era alterata. Era divenuta colma di risonanze metalliche, di scoppi convulsi. Io non sapevo che cosa dire. Non sapevo che cosa pensare. Era un incubo quello che stavo vivendo.
La porta della stanza si aperse sospinta dalla mano di Michael:
- Signore, la prego, stia calmo… Domani i muratori finiranno di buttare giù il tramezzo…
Pedro si riscosse, il respiro gli tornò regolare.
- Grazie, Michael... Grazie... Ed ora accompagna il mio amico nella sua stanza dopo che si sarà rifocillato.
Mentre consumavo una cena frugale interrogai Michael.
- Si può sapere che cos'è mai questa storia della ragazza che gli appare con una mano insanguinata stesa sul petto? E’ davvero pazzo? Voi dovreste essere in grado di rispondermi.
- La malattia del padrone è di data recente… Fu dopo una strana avventura, insignificante a quel che parve in un primo tempo, che si manifestarono i segni del suo male.
- Di che avventura si tratta?
- Bisogna che prima mi faccia ad un storia di trecento anni fa. Una fanciulla bellissima abitava qui, in questa villa, insieme ad una sua zia centenaria, o quasi. E qui un giovane innamorato veniva a trovarla in segreto. Ma la cosa venne riferita al padre della ragazza e da qui la fosca tragedia. Invano la misera fugge per le stanze per sfuggire al padre. Viene raggiunta presso un trabocchetto, davanti ad un grande ritratto di lei. E lì, presso la buca viene colpita due volte, crudelmente, atrocemente. Il primo colpo la raggiunse alla schiena, il secondo le spaccò il cuore. Cadde morta e fu gettata nel trabocchetto. Ma scivolando lungo il muro, ella aveva appoggiato la mano aperta e sanguinante sul quadro vicino e la bianca veste che copriva le sembianze dell'uccisa, risultò pure insanguinata.
- Tutto qui? Ne è piena la letteratura di ogni paese di storie di questo genere, - dissi scrollando la testa. - Chi ci crede, ormai, ai fantasmi che ti compaiono di notte? Ai morti che rivivono in determinate ore della notte, al chiarore della luna, o allo scoccare della mezzanotte?
Michael non rilevò le mie parole e concluse:
- Il quadro ed il trabocchetto furono murati dal padre crudele. Da quel lontano giorno lo spettro della povera ragazza vaga per questa casa.
- E don Pedro avrebbe visto, diciamo così, questo fantasma?
- Mi consenta di raccontarle dettagliatamente i fatti, signore.
- Non chiedo di meglio.
- Due mesi or sono, una notte, si svegliò urlando come in un accesso di pazzia furiosa, con la bava alla bocca e gli occhi sbarrati. Egli gridava nel delirio e invocava 1'immagine della morta, della povera assassinata; diceva di vederla, di parlarle e tutto con un accento tale che non era possibile dubitare della verità delle sue asserzioni. I medici chiamati d’urgenza non riuscirono a capirci nulla. Per loro il povero padrone è pazzo, soffre di allucinazioni. Mi sono permesso di telegrafare a lei perché so quanta amicizia nutra per lui.
- Avete fatto bene.
Ero diventato pensieroso. Non credevo in assoluto al racconto fantastico, anche se fossi pienamente convinto della buona fede di Michael. Pedro era senza dubbio un uomo improvvisamente impazzito, aveva dei momenti di lucidità, ecco tutto. Mi sarei dovuto occupare, il giorno dopo di conferire con il medico curante per sentire quale decisione prendere. Un ricovero in un istituto psichiatrico mi sembrava la soluzione migliore. Ma non dissi a Michael dei miei pensieri.
- Voi non l'avete vista mai, questa giovane assassinata? Intendo dire, non vi è mai apparso il suo spettro?
- No, signore.
- Quindi voi non ci credete.
- Perché non lo dovrei?
- Ma santo cielo, se un fantasma girasse per la casa perché non apparire anche a voi, oltre al vostro padrone?
Michael mi rivolse uno sguardo molto serio.
- Vedo che lei non crede a questa storia, ma io sì. E se vi può essere una spiegazione al fatto che la fanciulla non è mai apparsa a me, è che per lei non conto, non sono suo consanguineo, mentre don Pedro è del suo stesso sangue.
- Sarà come dite voi, - risposi; - non voglio insistere. Staremo a vedere. Piuttosto ditemi ancora una cosa: qual è il tramezzo che avete detto che i muratori dovranno abbattere?
- Don Pedro nei suoi deliri ha indicato parecchie volte la “incognita” come nascosta in un luogo ben definito. Mi sono recato a verificare e ho trovato, giù nei sotterranei, una parete che si distingue dal resto del muro, un tramezzo, insomma, elevato successivamente.
- E avete cominciato veramente a far demolire quella parete?
- Ho tentato di farlo diverse volte, ma senza riuscirvi.
- Non ne avete avuto il coraggio?
- Ecco, quando mi trovo dinanzi ai vecchi mattoni coperti di muffa mi prende il panico... vengo dominato dal terrore... È una sciocchezza, signore, lo capisco, ma è così... Ho paura di vedere anch'io la dama dalla mano insanguinata. Sento che il giorno in cui questo muro cadrà, qui dentro accadrà qualcosa di spaventoso.
Ero perplesso. Lo strano incubo che regnava in quella casa cominciava a contagiare me pure.
- Bene, bene, - dissi, ma sentii che la mia voce non era molto ferma: - Ora andiamoci a coricare. Domani penserò io a quel muro. E non troveremo nulla, certamente. Se è vero, cosa di cui dubito, che la fanciulla fu sepolta dietro di esso insieme al suo quadro, ormai non ci sarà rimasto di lei altro che cenere.
***
Mi ritirai nella stanza che mi era stata assegnata. Una stanza in armonia con le altre dell'antico edificio. Pochi mobili, ma quei pochi monumentali. Non avevo sonno e dopo essermi infilato la vestaglia sul pigiama mi affacciai al balcone, dal quale potevo dominare la grande valle che si stendeva ai piedi del dirupo.
Fumai un paio di sigarette mentre andavo ripensando a tutto ciò che avevo udito in quelle due assurde ore, poi mi coricai e spensi subito la luce perché la stanchezza mi aveva vinto.
Non saprei dire quanto tempo dormii prima di udire la cosa strana. Forse un'ora, forse meno. Mi svegliai di colpo, come se un rettile mi fosse passato sulla faccia. Il cuore in gola per un assurdo, inconcepibile e smisurato terrore. Paralizzato non ebbi neppure la forza di allungare il braccio per accendere la luce. Rimasi così, per la frazione di qualche secondo - e mi parve addirittura un'eternità - con il fiato sospeso, gli occhi dilatati nel buio della stanza, l'orecchio vigile ad ogni piccolo rumore.
Poi sentii nuovamente la presenza quasi fisica di un essere vicino a me. E nuovamente - fantasma o rettile? - sulla faccia avvertii qualcosa di freddo e di viscido insieme, repellente.
Un grido mi uscì dalla strozza ma soffocato: tale era il terrore che avevo perduto improvvisamente la voce. Fredde gocce di sudore cominciarono a scendermi sul viso. Capii solo allora che cosa significhi sentirsi rizzare i capelli in testa per la paura.
Fu subito dopo il repellente contatto del mio viso con la cosa ignota, che udii chiaramente, sebbene soffocato, il suono di due voci. Di due voci non umane. Provenienti da lontananze infinite. Due voci il cui suono contribuì a sviluppare in me, enormemente, un ancor più gigantesco terrore.
“Signor padre, che veniste a fare?” diceva una voce tremante di donna.
“Signora figlia, vi vengo ad ammazzare” rispondeva la voce dell’uomo, cavernosa e terribile.
Fui lì lì per impazzire. Tremavo. Letteralmente. Tremavo di paura, di angoscia, di superstizioso terrore.
Poi, come per improvviso colpo di vento, le persiane del balcone che avevo serrate prima di coricarmi si spalancarono e la stanza fu inondata dal chiarore lunare. Mi guardai inforno con occhi che dovevano senza dubbio essere allucinati. La stanza era deserta. Non una presenza umana, non una presenza immateriale.
Sempre guardando fisso dinanzi a me, con la mano cercai a tentoni la peretta della luce. Premetti il commutatore e la stanza fu illuminata.
Buttai giù le gambe dal letto. Non sapevo neppure io che fare: se chiamare Michael, o precipitarmi in camera del mio amico Pedro, o se invece cercare di calmarmi attendendo le prime luci del mattino. Barcollante mi avviai verso il balcone, ma nel passare dinanzi al grande specchio che occupava circa metà della parete a fianco del letto, vidi una cosa orribile.
Il mio viso era sporco di sangue. Sulla guancia destra e sulla guancia sinistra , nitide, apparivano le impronte di una mano. Di una piccola mano di donna.
Caddi di schianto a terra, svenuto.
II mattino seguente fui destato da Miehael: - Signore, signore... Si svegli... Si svegli, signore...
***
II mattino seguente fui destato da Miehael: - Signore, signore... Si svegli... Si svegli, signore...
Apersi gli occhi e non mi parve vero di essere ancora vivo, di avere accanto a me il buon Michael; non mi parve vera tutta quella luce che irrompeva dalla finestra, di tutto quel sole che veniva a fugare le ombre cupe di quella terribile notte.
- Cosa le è accaduto? - mi domandò Michael perplesso. - Non riuscivo a svegliarla...
Mi passai una mano sulla fronte. L'incubo era ancora forte in me; non era stato dissipato del tutto.
Solo allora mi accorsi di trovarmi disteso nel grande letto e non a terra, dove ero caduto svenendo durante la spaventosa constatazione.
Senza rispondere a Michael corsi allo specchio e mi esaminai attentamente. Nessuna traccia di sangue, nemmeno il più pallido segno di impronte di mani femminili sul mio volto. Rivolsi un viso perplesso a Michael. Che fosse stato un sogno? Ma fu Michael a ridestarmi ad una realtà ben dura.
- Questa notte, signore, ho udito un grande tonfo e sono accorso in camera sua per vedere se stava male. Infatti lei era svenuto a terra. L’ho messa a letto e l’ho fatta rinvenire. Ma nonostante riprendesse conoscenza, lei ha mostrato di non rendersi conto di nulla, nemmeno della mia presenza. Poi si è addormentato di un sonno profondo, pesante. Tanto è vero che stamattina sono stato costretto a scuoterla per svegliarla all'ora che lei mi aveva comandato.
- Oh, Michael, mi è successo una cosa strana, questa notte, una cosa spaventosa.
Michael si fece attento ed il suo volto assunse un colore grigio.
- Le è apparsa la fanciulla?
- No, non l'ho vista, ma ho udito la voce di lei e quella di suo padre.
- Misericordia!
- Guardandomi allo specchio mi sono reso conto di aver la faccia imbrattata di sangue. Due chiare impronte, di mano femminile. Impronte di sangue, Michael!
- Ed il signore che non mi voleva credere!...
- Purtroppo devo riconoscere che la cosa spaventosa è avvenuta... Esiste!... Non notaste nulla, quando vi metteste a letto? La mia faccia non era sporca di sangue?
- No, signore.
- Eppure sono sicuro, Michael, sono certo di quello che dico: quella cosa mi ha toccato... Il sangue di quella innocente è stato impresso sulla mia pelle.
Ora non vedevo l'ora di andarmene dal luogo pauroso, da quella casa di incubo.
Ma adesso che sapevo quale mostruoso terrore dominasse il mio povero amico Pedro, meno potevo lasciarlo solo, abbandonandolo.
Dovevo fare qualcosa per lui. Dovevo a tutti i costi! Dovevo io pure liberarmi dall'incubo altrimenti per il resto dei miei giorni mi sarei sentito colpevole di non aver fatto nulla per allontanare da lui una minaccia alla quale non sarebbe sicuramente sfuggito.
Come se Michael avesse la facoltà di leggere i miei pensieri, mi chiese:
- Il signore, dopo l'esperienza di questa notte pensa di lasciare la villa?... Di andarsene?
- No, Michael, io rimango. Solo per un momento mi sono lasciato sfiorare dal desiderio di fuggire da questo luogo nefasto. Don Pedro ha bisogno di me.
- Grazie, signore, - mi disse commosso.
- Chiamatemi se avete bisogno di me - dissi; - io sarò pronto tra meno di mezz'ora ed allora scenderemo insieme nel sotterraneo per esaminare quella famosa parete.
- Debbo riconoscere che lei ha molto coraggio, signore. Cercherò di non fuggire quando darà il primo colpo di piccone.
Scrollai la testa.
- In verità, Michael, anch'io mi auguro di non fuggire. Ma non so se sarò capace di portare a compimento l’opera.
- Con il suo permesso, signore, mi ritiro. Don Pedro può avere bisogno di me.
- Andate, andate pure, Michael, vi raggiungerò tra poco.
Michael mi lasciò nuovamente solo in quella stanza ed io ebbi un brivido di paura.
- Mi occorre un buon corroborante, - dissi versandomi un mezzo bicchiere di cognac, che tracannai d'un fiato.
***
Mi stavo infilando la giacca quando, ad un tratto, un grido altissimo, un grido disperato di dolore e di terrore insieme risuonò nell'interno della villa e si perdette in una infinità di echi lontani e sinistri. Quel grido era come se l'avessi atteso.
E subito il senso di angoscia, di terrore che fino a quel momento, nonostante il cognac mi aveva dominato, scomparve e riacquistai in un attimo la sicurezza di me.
Con un balzo corsi alla porta.
Mi avviai di corsa verso la stanza di Pedro, perché pensavo che da là fosse provenuto. Ma la stanza era vuota, la porta spalancata.
- Pedro! Pedro!
Nessuna risposta. Il letto era disfatto, le coperte per terra come se il mio povero amico si fosse levato d'improvviso, dominato da una grande fretta.
Uscii nuovamente nel corridoio. Mi guardai attorno perplesso.
- Michael! Michael!
Anche questa volta non ci fu che silenzio al mio richiamo.
Poi, eccolo di nuovo il grido. Di bestia a morte. Un grido terribile.
Non avevo più dubbi, ora. Sapevo da dove veniva. Proveniva da giù, dal fondo del sotterraneo.
Corsi come un pazzo. Dominato da un terribile presentimento.
Il sotterraneo non aveva illuminazione e (un'altra bizzarra idea di Pedro), ci si doveva servire di una lampadina a pila che trovai da qualche parte.
La luce della lampadina squarciava le tenebre lungo il mio cammino: avanzava a sbalzi diradando le ombre che fuggivano dal pavimento, si arrampicavano come ragni mostruosi sulle pareti e si rannicchiavano nei soffitti, di dove mi guardavano con i loro occhi invisibili; ma appena ero passato, portando via con me il piccolo cerchio di luce, riprendevano il sopravvento, precipitavano a terra stringevano il sotterraneo nel loro abbraccio misterioso.
Finalmente la porta ben nota apparve, quella che dava nella stanza in cui era stato elevato il muro indicatomi da Michael. Mi fermai un secondo a riprendere fiato. Poi entrai.
Nell'oscurità che avvolgeva il locale si sentiva un respirare affannoso, violento, un sordo rumore di lotta feroce...
- Pedro, Pedro! - gridai.
Mi rispose dall'interno della stanza la voce debole, atterrita di Michael.
- Aiuto! Aiuto!
Indirizzai il raggio della lampadina verso il punto dal quale la voce proveniva.
Allora vidi.
Nello spazio ristretto tra la parete ed una cassapanca tarlata, mi si presentò uno spettacolo raccapricciante.
Pedro, in pigiama, il volto sfigurato dal delirio, gli occhi colmi di una cupa pazzia, un ghigno feroce che me lo rappresentava nell'eccesso della sua demenza.
A pochi passi da lui, Michael, la testa sporca di sangue, ansava cercando di afferrare con mani convulse il padrone, il quale sfuggiva alla presa. Mi slanciai in avanti.
Ma tardi!
Fulmineo, Pedro, aveva afferrato il piccone appoggiato al muro. L’aveva sollevato e...
Per un istante il ferro brillò sinistramente, minaccioso nell'aria; poi descrisse una curva violenta, si abbassò inesorabilmente sulla testa di Michael.
- A te, maledetto!
Gli rispose un grido spaventoso di dolore. Poi Michael si accasciò al suolo.
Con il piccone tenuto stretto con le due mani, Pedro gettò un rauco grido di trionfo.
- Finalmente! Libero, libero!
Mi precipitai verso Pedro, cercai di afferrarlo. Egli si volse verso di me con una espressione così indescrivibile di furore, che indietreggiai atterrito.
- Lo lasci, signore, lo lasci! - mi mormorò con un filo di voce Michael che, a terra, cercava di tamponare con le mani il sangue che scaturiva copioso dalla ferita sulla testa. - Per l’amor di Dio, lo lasci alla sua sorte, signore!
Sì, non si poteva altro che lasciarlo alla sua sorte, ormai. Nessuno, più nessuno avrebbe potuto guarire il povero Pedro.
Chi mai potrà descrivere l'orrore di quel che avvenne subito dopo?
***
Chi mai potrà descrivere l'orrore di quel che avvenne subito dopo?
Sentivo davanti a me il respiro breve, concitato di Pedro. Vedevo, tratto tratto, i suoi occhi brillanti come quelli di un gatto, mentre egli menava colpi a destra e a sinistra contro la parete. Poi si arrestò, volse lo sguardo verso di me fissandomi in viso quegli occhi strani, pieni di riflessi metallici, in cui brillava la visione di un'altra vita.
Quello sguardo mi fece rannicchiare contro la parete. E lì rimasi immobile come affascinato. Non potevo fare nulla. Del resto mi avvertì:
- Se ti avvicini ti uccido!
Feci un ultimo tentativo:
- Pedro, ascolta... io...
Egli allora alzò il piccone, ma questa volta non contro il muro, ma contro di me. Vidi l’arma descrivere nell'aria la sua curva minacciosa.
Il rumore secco del colpo mi attraversò il cuore come un rombo di morte.
Ma la mia volta non era ancora venuta. Il pazzo aveva colpito il muro umido, coperto di muschio, che limitava quella parte del sotterraneo. I suoi occhi, però, dicevano chiaramente quale sarebbe stata la mia sorte se avessi fatto ancora un passo avanti, o avessi ancora proferito una sola parola.
Allora compresi che la mia salvezza era nell'ombra cupa, la grande ombra che circondava il piccolo spazio illuminato. E cominciai ad indietreggiare lentamente, trattenendo il respiro, pauroso che Pedro si accorgesse della mia fuga.
E sentivo come un senso di liberazione, mentre l'ombra cominciava a coprirmi con il suo manto funereo: finché vidi i piedi, l'ultima parte del mio corpo che fosse ancora nel chiarore, oscurarsi lentamente... Mi sentii salvo e mi lasciai cadere per terra. Mi rannicchiai in una specie di torpore sonnolento.
***
Il pazzo continuava intanto la sua furiosa opera distruttrice.
I colpi di piccone si succedevano rapidi, violenti, con un cupo suono tragico, senza un istante di riposo, inflessibili.
E le pietre si sfasciavano al rude contatto, cadevano, senza polvere, quasi senza rumore, come cose morte, mentre la voce debole del pazzo mormorava parole convulse:
- Eccomi... cara... vengo... dopo tanto... non ci son più gli assassini... sai... ora siamo soli... io e te... amor mio...
***
E continuava a menar colpi, a picchiare sulla parete, che lentamente cedeva.
Io guardavo atterrito e affascinato insieme dall'avventura terribile, incapace di muovermi, di gridare.
La breccia cresceva, si allargava come un occhio spaventoso.
E finalmente il pazzo si arrestò gettando un altissimo di gioia. Aguzzai lo sguardo e vidi lo spettacolo unico che non potrò mai dimenticare.
Attraverso lo spazio buio della breccia, quasi scolpito nell'ombra appariva un quadro enorme.
Era un ritratto di fanciulla ventenne, di meravigliosa bellezza: gli occhi glauchi, avevano un’espressione di dolcezza infinita, i capelli biondi sembravano ondeggiare dolcemente, le labbra rosse parevano tremare nel sorriso; le bianche mani aristocratiche avevano un profumo di vita... E la purezza armoniosa delle linee era rotta sul nitore della veste, proprio al posto del cuore, da una macchia orribile.
Anche Pedro aveva visto quella macchia rossa di sangue, che pareva ancora caldo, tanto era brillante.
- Eccomi... - gridò Pedro.
E si lanciò in avanti, sopra le pietre accumulate. Si lanciò al di là di esse, protendendosi verso il quadro, verso la fanciulla che sorrideva misteriosamente con quel suo dolcissimo sorriso.
- No, no! - gridai. - No, Pedro! No!
Fu inutile. Egli aveva già preso lo slancio. Egli era già proteso al di là di ogni mio possibile intervento. Non mi ascoltava. Non poteva più ascoltarmi, ormai.
Il terreno gli mancò sotto i piedi. Vidi le sue mani convulse afferrare la cornice dell'antico ritratto...
Non potevo muovermi, vinto da un tremore indicibile, misterioso.
Quale orrenda visione!
Il tragico gruppo oscillava lentamente, verso il baratro.
E finalmente il quadro, sotto il peso insolito, si staccò del tutto, precipitò nel vuoto, mentre Pedro seguitava a baciare la cara immagine muta.
Con la gola serrata da un'angoscia inesprimibile, assistetti all'ultimo atto di quel dramma che l’immaginazione umana non può rendere nella pienezza del suo orrore.
La pazzia ed il mistero avevano avuto la loro vittoria, unite entrambe in un’orrenda alleanza.
E Pedro precipitò nel fondo.
Poi più nulla. Nulla. Neppure il rumore del tonfo. Neppure un grido. Nulla.
Il silenzio assoluto davanti a me, intorno a me... sopra di me.
Ed ora, per sempre, un terrore inesprimibile per quel mondo di mistero che è oltre la vita fisica, che regna là dove ci sono le case dei morti.
traduzione a cura di Sergio Bissoli