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Intervista con Christian Amadeo

Christian Amadeo ha 43 anni e vive a Settimo Torinese. Fa l'impiegato per sopravvivere e vive per la scrittura, facendo il giornalista e scrivendo racconti. Combatte ogni giorno per resistere alla furia dei contribuenti, essendo responsabile dell'ufficio tributi di un noto Comune alle porte di Torino e quando riesce a tornare a casa sano e salvo si dedica a ciò che ama di più: la scrittura. 
Scrive da più di vent'anni di una delle sue passioni, la musica, collaborando attualmente con TorinoSette (inserto del quotidiano La Stampa) e La Nuova Voce di Settimo Torinese, dopo aver prestato la propria penna e la propria voce a mensili, settimanali, quotidiani, radio tv e portali (tra le testate: Tuttifrutti, Rockstar, Rockit, Il Giorno, Il Giornale del Piemonte, Rai di Torino, Radio Chivasso International), oltre ad essere direttore di alcuni periodici. A richiesta, ci mette anche la faccia, moderando incontri con celebri artisti della musica o presentando serate e concerti.
È sposato da 19 anni ed è padre di due figli, che oggi hanno 17 e 15 anni. Ama lo sport, fermamente convinto che sia meglio praticarlo che guardarlo in tv e da tempo si è appassionato di arti marziali giapponesi, delle quali ama la stretta connessione tra fisicità, filosofia e spiritualità: per 20 anni ha praticato l'Aikido e attualmente si cimenta con il Ju Jitsu.
Adora leggere libri, ovviamente, mettendo in cima alla lista di autori preferiti Paulo Coelho, Leopold von Sacher-Masoch, Herman Hesse, Charles Baudelaire, ma anche scrittori italiani come Niccolò Ammanniti e Alessandro Baricco.
Il 17 aprile 2014 ha pubblicato il suo primo romanzo intitolato Un passo dalla morte, edito in versione e-book da Lettere Animate. Da maggio 2015 l'opera è disponibile anche in versione cartacea, acquistabile tramite www.youcanprint.it e sui siti internet dei megastore Amazon, Feltrinelli e Mondadori. 
Attualmente sta lavorando al libro su di una band anglo-australiana, i Dead Can Dance, per Tsunami Edizioni.
   
      
Ciao Christian, puoi darci qualche informazione su di te? Chi è Christian Amadeo?
    
Mi presento in breve: ho 43 anni e vivo a Settimo Torinese, in provincia di Torino. Sono sposato e ho due figli di 17 e 15 anni. Professionalmente mi divido tra lavoro impiegatizio e attività giornalistica. Scrivo di musica, che è una delle mie grandi passioni, assieme alla filosofia orientale e alle arti marziali giapponesi.
   
Oltre ad aver pubblicato un romanzo, da più di vent’anni sei un noto e apprezzato giornalista musicale. Che cosa rappresenta per te la scrittura?
  
Svolgo l’attività di giornalista dal 1991 e ho iniziato spinto da una grande passione per la scrittura. Ho sempre sentito una irresistibile necessità di scrivere, cominciando da pensieri personali, racconti di ciò che vedevo e sentivo, fermando su carta le emozioni che mi toccavano profondamente. O anche semplicemente per esprimere una sensazione più lieve. Ho continuato a scrivere di sensazioni personali anche quando ho cominciato a fare il giornalista, un mestiere nel quale si raccontano storie altrui. Pur mettendoci del proprio, un articolo giornalistico è comunque limitante in quanto a totale libertà espressiva, perché devono essere in ogni caso rispettate l’etica e le regole imposte dalla professione. Oltre ai limiti massimi di lunghezza di ciascun articolo, totalmente assenti nello scrivere un romanzo, che gode al contrario della massima libertà in termini di spazio. È quella libertà di cui ho goduto nello scrivere racconti personali e mai pubblicati. E che in seguito ho sviluppato e lasciato fluire nel mio primo libro.
     
Veniamo al tuo primo romanzo, Un passo dalla morte, uscito nel 2014: puoi farne una piccola presentazione?
   
L’ho scritto nell’arco di poco più di un anno, tra progettazione, stesura, rilettura. L’ho ideato facendo gravitare tutta la narrazione, i pensieri e le azioni dei personaggi intorno alla concezione della morte. Una morte vista da diverse e opposte prospettive: positiva e negativa, rincorsa o temuta, vista come inizio o come fine. Tutto dipende dalla consapevolezza che ne hanno i vari soggetti che entrano in gioco nel racconto. Fondamentale è il ruolo del protagonista, il cui percorso spinge a definire l’intera opera quale “romanzo di formazione”. Attraverso la morte, infatti, egli sviluppa la propria crescita interiore e il suo rapporto col mondo esterno. Per lui la morte rappresenta l’inizio di una nuova vita, un’esistenza profonda e vissuta al 100%, al contrario di ciò che viveva, o “non viveva” in passato. Diversa interpretazione della morte viene invece data dagli altri personaggi della storia, con situazioni anche estreme, morbose, drammatiche. Ho cercato comunque di non rendere il percorso narrativo troppo pesante o triste. Certo, i passaggi più cupi prevalgono, ma ci sono anche momenti solari e per certi versi divertenti, in un’alternanza tra scrittura introspettiva e di ricerca da una parte e scrittura scorrevole, con dialoghi incalzanti, dall’altra. Quello che più mi interessa è suscitare nel lettore emozioni forti, positive o negative che siano.
   
Quanto c’è di Christian in Stefano/Steve? Anche tu, in qualche modo, ti dibatti tra un lavoro impiegatizio e il mondo della musica: avverti l’esigenza di una rigenerazione radicale o riesci a vivere in modo armonico le tue molteplici esperienze esistenziali?
   
C’è molto del personaggio in me, così come tanti aspetti sono a me estranei. Ma è un tipo di personaggio in cui possono identificarsi molte persone. Nonostante il lavoro sicuro in un ufficio, con tutta la sua staticità, le sue certezze e la sua stabilità, il protagonista sogna una vita all’opposto, sregolata, fuori dagli schemi. Ma soprattutto che faccia emergere la sua essenza creativa. La creatività sgorga se non ingabbiata e ovviamente il ruolo di rockstar, che ho immaginato per la nuova vita del protagonista, consente tale libertà. Nel mio caso non nascondo l'ambizione di  una rigenerazione radicale, ma purtroppo attraversiamo un periodo storico-culturale in cui i mestieri che mi piacerebbe fare a tempo pieno non permettono la necessaria sopravvivenza: sia il mestiere di scrittore che di giornalista, infatti, devono fare inevitabilmente i conti con la crisi della carta stampata e l’abitudine dei lettori di avere tutto o quasi gratis, scaricabile da internet. I giornali vendono sempre meno e fanno fatica a tenere in servizio i giornalisti già assunti, mentre per uno scrittore l'unica possibilità di farlo a tempo pieno è vendere tantissimi libri, cosa che capita a pochi eletti, purtroppo.
     
L’oscuro e insondabile abisso della morte, capace, tuttavia, di illuminare la rinascita spirituale del singolo, è il concetto che vale da cardine dell’intero romanzo. Che cosa ti ha spinto ad attribuire alla morte un ruolo così determinante nell’economia della vicenda?
    
La paura che generalmente assale le persone al solo pensiero di essa. Non la si vuole accettare e si evita anche solo di parlarne, mentre basterebbe prenderne piena coscienza per apprezzare appieno ogni istante dell’esistenza. Sapere di dover morire, ossia la cosa “peggiore” che possa capitarci, è un forte stimolo a “fare tutto in questa vita”, donando interamente se stessi alla realizzazione dei propri ideali. La morte non è solo la fine, ma anche inizio, una morte di ciò che non va in noi, da far morire per tramutarsi in seme lasciando germogliare nuova linfa, che attinge dalle rinunce della vita precedente.
    
Tra i personaggi del romanzo spicca, per l’importanza del ruolo che riveste e per il fascino oscuro di cui è ammantata, Lydia, vera dark lady e musa ispiratrice del protagonista.
   
Lydia ha una visione della morte diametralmente opposta a quella di Stefano/Steve: per lei assume connotati morbosi, oscuri, inquietanti ed eccitanti. Diventa una guida per Steve, affinché lui comprenda ancora meglio il suo destino. Lo porta ad esplorare meandri dell'esistenza alquanto perversi ed estremi, che suscitano l’effetto in lui di apprezzare ancor più la nuova vita. Rischia, ma il suo animo è felice. Finalmente.
   
A mio avviso, il tuo romanzo nasce sotto gli auspici di due numi tutelari. Uno è Yukio Mishima, del quale nel libro ricorre l’idea della morte consapevolmente assunta, tipica dell’etica samurai che tanto influenzò la vita e l’opera dello scrittore giapponese. Inoltre, l’episodio della seduta spiritica mi ha fatto tornare alla mente il racconto "La voce degli spiriti eroici", e la ‘reincarnazione’ del tuo protagonista ‒ io sarei più propenso a leggervi una figurazione del momento iniziatico ‒ mi ha ricordato la tetralogia "Il mare della fertilità", l’ultima monumentale opera di Mishima.
    
Mishima è sicuramente una figura forte ed essenziale tra quelle che hanno difeso con maggiore enfasi la tradizione samurai nell’epoca moderna, fino ad attuare un rito estremo e spettacolare come il seppuku, il suicidio rituale dei samurai da lui messo in atto in pubblico, in un periodo in cui i gloriosi guerrieri giapponesi si erano già estinti da tempo. Rappresenta la convinzione assoluta dei propri ideali, da difendere fino alla fine. Ed è quello che fa Steve, dal momento in cui rinasce: difende strenuamente la propria esistenza, al contrario di quella precedente, che ha lasciato morire senza combattere, anzi, cercando di stimolare l’evento esterno della morte, non avendo il coraggio di prendere da sé la decisione del cambiamento radicale.
Circa la “reincarnazione”, non ho tratto ispirazione da altre opere, semmai dagli insegnamenti dell’Aikido, una delle arti marziali giapponesi che pratico: lo spogliarsi, il liberarsi del proprio passato è una catarsi attuata attraverso un rito di purificazione, un’ascesa verso ciò a cui miriamo, attraversando le nubi dei filtri della nostra vita che ci impediscono di vedere con trasparenza ciò che siamo e ciò che stiamo vivendo. Una volta liberati dal peso degli aspetti limitanti del nostro essere, vediamo oltre le nubi, ammiriamo l’azzurro infinito dell’Universo. Ma sempre senza dimenticare il passato, che resta radicato in noi anche nella nuova vita, come avviene nella reincarnazione.
La seduta spiritica, così come l’ho inserita nel racconto, ha lo scopo di rappresentare la perfetta unione tra spirito e corpo, un trait d’union tra entità astratte e materia, tra ciò che ipotizziamo sia l’aldilà e la vita terrena.
   
L’altra importante e decisiva presenza è quella di Georges Bataille, forse il pensatore che meglio ha espresso il significato più profondo dell’erotismo grazie alla sua famosa ‘definizione’: “dell’erotismo si può dire che è l’approvazione della vita fin dentro la morte”, formula più volte ripresa nel tuo romanzo.
   
Ho amato sin dall’adolescenza la letteratura decadente, francese soprattutto. Baudelaire è certamente il mio poeta preferito di tale corrente, ma la frase di Bataille, che ricorre sovente nel corso della narrazione, mi pareva in perfetta sintonia per relazionare l’erotismo con il tema della morte. L’erotismo è l’emblema della vita, la pulsazione del sangue che fa ribollire i sensi e li amplifica. L’erotismo ci fa sentire vivi. Sto parlando di erotismo, non di mero atto sessuale. Parlo della ricercatezza, della curiosità, della continua scoperta di sfumature dei sensi erotici. Di complicità, profonda. Quella sensazione che ti fa girare la testa, ti annebbia la vista e ti conduce in un percorso del quale non conosci la meta, ma ti godi il viaggio amplificando la percezione di tutti i sensi. E tutta questa “vitalità” l’ho incastrata nel concetto di morte, come si incastrano i due elementi del Tao, bianco e nero. Nel mio racconto sono vita e morte. Con l’erotismo che penetra nella morte, e viceversa. Ogni atto erotico l’ho associato alla morte, figurata o meno...
    
Nel momento della rinascita il nome del tuo protagonista muta da Stefano a Steve. Mi è venuto in mente un noto personaggio della scena metal italiana che aveva adottato lo stesso cambio di nome e di identità in corrispondenza della nascita ‘esoterica’ della sua creatura musicale: Steve Sylvester (Stefano Silvestri) dei Death SS...
   
Curiosa coincidenza. Non ho pensato assolutamente a questa trasformazione “realmente” accaduta. Conosco i Death SS ma molto superficialmente perché non sono particolarmente amante della musica metal estrema. Prediligo il genere new wave, dark e il rock elettronico. Ma mi incuriosiscono molto coincidenze come questa, sicuramente approfondirò la scelta fatta dal leader della band citata. Rimango piacevolmente stupito quando si verificano, sono alcune delle sorprese che ci rivela la vita. Me ne sono capitate diverse dopo aver pubblicato il libro, altre persone hanno trovato curiose coincidenze della loro vita con quanto letto nel mio racconto...
   
Tu vivi e lavori a Settimo Torinese, dove hai mosso i primi passi come giornalista musicale. Quanto c’è di Settimo nel tuo romanzo? Quali luoghi e quali persone di questa città ti hanno ispirato? Io ho notato, ad esempio, che il nome del personaggio di Luciano rimanda a quello di uno storico tossicodipendente settimese...
   
Sì, vivo e lavoro a Settimo Torinese e da molti anni ne seguo le vicende musicali, anche se nel tempo ho esteso il mio raggio di azione, scrivendo anche per testate di più ampia diffusione territoriale. Di questa città, nel racconto, c’è poco, in realtà. Qualche richiamo piuttosto alla grande metropoli, nessuna in particolare anche se con la mente vagavo tra le vie di Torino, un luogo che amo molto. In effetti l’unico richiamo esplicito può riferirsi proprio al personaggio che hai citato tu, lo storico tossicodipendente settimese: un cadavere vagante tra le vie e le piazze della Settimo degli Anni Ottanta, eppure “mitico”, una figura a suo modo “carismatica”. Ci chiedevamo come potesse sopravvivere così a lungo nonostante l’uso abbondante di droga. Probabilmente è ancora vivo, so che era entrato in una comunità di recupero. Il richiamo ad un personaggio come Luciano mi serviva per raffrontare la positività acquisita di Steve con il tunnel infinito di un tossicodipendente, che sfugge alla realtà ricorrendo alle droghe, consapevole del fatto che potrebbe morire, ma che nonostante ciò continua ad usare l’eroina.
   
Sei sempre stato un attento osservatore dell’underground musicale. Quanta influenza ha avuto il fascino di questo mondo sommerso nella tua scrittura?
   
Moltissima. Riferita soprattutto alla coerenza di artisti veri, puri, come si trovano nell’underground musicale. Il mainstream porta spesso a cambiare, ad adattarsi ai gusti del pubblico o alle esigenze di mercato, anche se ci sono molti artisti di successo che riescono a mantenere una certa personalità senza incorrere in “correzioni” da parte di manager, talent scout e case discografiche. Nel racconto, il lottare per mantenere la propria dignità viene evidenziato dal comportamento di Steve, che non si piega alle leggi del music business, ma va dritto per la sua strada. La morte gli ha dato anche questa forza.
   
Anche nel sottosuolo musicale è possibile ascoltare l’ineluttabile richiamo della morte. È sufficiente pensare ai molti generi, funerei ed estremi, che fanno dell’underground la propria stabile e sicura dimora. Inoltre, rammento che, come racconti nella tua bella testimonianza contenuta nel libro "Con la musica in testa" di Giacinto Buttigliero, uno dei primi gruppi che intervistasti, nei primi Anni Novanta, visse la misteriosa e tragica morte del proprio bassista (che mi piace qui ricordare: Luca Bellagamba dei Kaltesterne).
   
Il richiamo della morte non è solo nel sottosuolo musicale. Diciamo che il filone alternativo si può concedere molte più libertà in quanto meno pericoloso per la morale comune e popolare, non arrivando al grande pubblico, non passando per radio, tv, ecc.; ma il tema funereo è ben presente anche nel circuito più ampio e commerciale, seppur più marcato nel passato. Basti pensare agli eccessi degli Anni Sessanta e Settanta e ai tanti artisti morti giovani. Ma anche ai suicidi di Kurt Cobain e Ian Curtis, i cui testi erano permeati da un alone costante di morte. Il secondo, in particolare, mi affascinava moltissimo ed è per questo che i suoi testi e addirittura la sua figura compaiono più volte nel corso del mio racconto. Nel romanzo c’è anche un passaggio divertente nel quale il protagonista si sofferma ad elencare moltissimi nomi di gruppi nei quali è presente la parola morte o un termine ad essa associato.
   
Il tuo romanzo è la prima opera di una certa lunghezza che ho letto in formato digitale. Un’esperienza che ho trovato a dir poco disorientante... Qual è la tua opinione in merito a questo nuovo formato editoriale? Vedi con favore la sua diffusione?
   
Mi dispiace averti disorientato... Sinceramente non amo neanche io il formato digitale. Ho accettato la proposta di Lettere Animate perché mi è sembrato un editore molto serio. Non richiede il contributo economico come fanno invece quasi tutte le case editrici minori quando pubblicano un’opera prima di un autore ancora sconosciuto e della quale non si preoccupano poi minimamente della distribuzione. Ho accettato la proposta di Lettere Animate in quanto garantivano la distribuzione dell’ebook attraverso tutti i principali store digitali (Amazon, Feltrinelli, Mondadori, ecc.) ed era quindi facilmente reperibile. Oltretutto ad un prezzo basso e quindi invitante. Mi interessa che l’opera venga letta il più possibile, non il guadagno.
Purtroppo la tendenza delle vendite evidenzia un calo per i libri cartacei e un aumento degli ebook e questo mi rammarica, perché pubblicare un’opera in formato digitale resta un qualcosa di “impalpabile”, privo della poesia e del piacere di tenere tra le mani l’oggetto, di riporlo nella propria libreria. È gradevole entrare in una casa e vedere esposti libri, perché, oltre ad un fattore estetico, da essi si riesce a “leggere” la personalità del padrone di casa. E per chi li possiede rappresentano la propria storia, i propri gusti, i propri sogni. Da vedere e da toccare con mano. Le librerie virtuali sono come le parole dette, che volano e non restano, mentre quelle impresse sulla carta restano, ci accompagnano nel cammino della nostra esistenza.
Ti do comunque una buona notizia, per te tardiva, ma utile per i lettori di questa intervista legati alla carta: è uscita nei giorni scorsi la versione cartacea di “Un passo dalla morte”, acquistabile tramite internet sui siti www.youcanprint.it, e sui portali web di Feltrinelli, Mondadori e Amazon.
    
Quali sono i progetti futuri dello scrittore Christian Amadeo? Si vocifera di una prossima monografia dedicata a un noto gruppo musicale per i tipi editoriali, precisi e implacabili, della gloriosa Tsunami di Milano... Hai intenzione di scrivere anche un secondo romanzo? Sarà molto diverso dal primo?
     
Esatto, in questo periodo sto completando la biografia non ufficiale dei Dead Can Dance, il mio gruppo preferito sin da quando ero adolescente e di cui non è mai uscito un libro in tutto il mondo. Come si vede, anche in questo caso ricorre il concetto di morte e anche per i due leader della band la morte viene interpretata quale punto di rinascita... Il libro verrà pubblicato da Tsunami, ottimo e apprezzato editore specializzato nel genere musicale metal, industrial e dark, per cui sono felice e onorato di lavorare per il suo staff, composto da persone davvero appassionate di musica. L’uscita dovrebbe essere prevista per l'inizio del 2016.
Mi piacerebbe scrivere un altro romanzo, naturalmente, e lo farò, perché alcune idee sono già nella mia testa, ma prima mi concentro sul libro dei DCD, a cui tengo davvero molto.
      
L’intervista è finita. Grazie per aver risposto alle mie numerose domande... Vuoi aggiungere qualcosa?
     
Grazie a te per l’interessamento, è stato un piacere. Concludo ricordando la pagina Facebook del mio libro: www.facebook.com/unpassodallamorte e citando un paio di frasi estratte dalla presentazione di “Un passo dalla morte”, che racchiudono l’essenza del romanzo e spero siano di stimolo ai lettori per spingerli alla lettura del libro: “Dalla consapevolezza della morte germoglia l’essenza del proprio vivere. La morte è sempre ad un passo, come la vita. Questione di scelte”.
       
a cura di Antonio