Fanta-stranieri a Hollywood

Gli ultimi decenni hanno formato l’opinione comune che il cinema fantastico sia un genere prettamente americano. Tuttavia i primi capolavori della fantascienza e dell’orrore, risalenti all’epoca del muto, sono di produzione europea. Georges Méliès, nel 1902, girò Viaggio nella Luna, un’opera di straordinaria inventiva celebre per la scena dell’astronave che finisce nell’occhio della Luna. Del 1915 è Il Golem, di Paul Wegener e Henrik Galeen, del 1920 Il gabinetto del Dr Caligari, di Robert Wiene, del ’22 Nosferatu il vampiro, di Murnau, del ’26 Metropolis di Fritz Lang, del 1932 Il vampiro, di Cart T. Dreyer. Da una certa epoca in poi, è certamente vero che Hollywood abbia realizzato un gran numero di film fantasy, di fantascienza e dell’orrore. Ma è altrettanto vero che molti di questi film (e anche film di altri generi, ovviamente) sono stati diretti, prodotti o scritti da cineasti europei, spesso mitteleuropei. Certamente il discorso si potrebbe estendere ad altri generi, tuttavia il nero e il misterioso hanno subito più di altre forme espressive l’influenza europea. La cultura americana, immersa in una società in piena espansione, nonostante potesse contare sui talenti visionari di grandi scrittori come Edgar A. Poe, Henry James, H. P. Lovecraft e Ambrose Bierce, aveva evidentemente bisogno di trasfusioni d’inventiva proveniente dal vecchio continente per visualizzare mondi extraterrestri e creare atmosfere sovrannaturali. Uno dei primi successi statunitensi del fantastico, Il fantasma dell’Opera, del ’25, guarda caso fu diretto da un regista europeo, Rupert Julian, così come la migliore trasposizione del romanzo di Stevenson, Il dottor Jekyll (’32), firmata dal georgiano Mamoulian. Lo splendido horror L’uomo lupo (’41), fu sceneggiato da Curt Siodmak e diretto da George Waggner. Uno dei più grandi direttori della fotografia della storia del cinema e regista de La mummia (’32), Karl Freund, nacque in Boemia e si trasferì a Hollywood negli anni Trenta. Il protagonista del film di Freund, il leggendario Boris Karloff, era inglese; come d’altra parte uno dei profeti del cinema americano del fantastico e dell’orrore, James Whale, nato in Gran Bretagna nel 1886 e autore di Frankenstein (’31), L’uomo invisibile (’33) e La moglie di Frankenstein (’35). George Pal, il produttore di Uomini sulla Luna e di altri bellissimi film di genere, nonché regista di uno dei migliori film di fantascienza made in USA, L’uomo che visse nel futuro (The Time Machine, 1960), nacque nel 1908 in Ungheria.
Non si possono poi dimenticare, tanto per fare alcuni nomi, il regista francese Jacques Tourneur, autore di autentici capolavori come Il bacio della pantera, del ’42 (protagonista la connazionale Simone Simon), Ho camminato con uno zombi (’43) e La notte del demonio (’57), o il tedesco Kurt Neumann, regista dello splendido L’esperimento del dr K (’58). Nonché Nathan Juran, austriaco di origine, prima scenografo (premio Oscar per Com’era verde la mia valle di John Ford), poi regista di film notevoli come A trenta milioni di chilometri dalla Terra (’57), La mantide omicida (’58) e Base Luna chiama Terra (’64).  Rimanendo alla Hollywood degli anni d’oro, si potrebbe continuare citando produttori come Val Lewton , direttori della fotografia come Karl Struss e Nicholas Musuraca, autori degli effetti speciali come Ray Harryhausen e Carlo Rambaldi, musicisti come Max Steiner e Miklos Rosza, attori come Bela Lugosi, eccetera. Ma anche in tempi più recenti vari titoli importanti del cinema fantasy americano sono stati diretti da registi europei. Negli anni Settanta, ricordiamo almeno i sottovalutati La fuga di Logan (’75) e King Kong (’76), girati da due ottimi artigiani inglesi come Michael Anderson e John Guillermin. King Kong tra l’altra fu prodotto dal compianto Dino De Laurentiis, trasferitosi con grande successo negli Stati Uniti e produttore di altri film diretti da registi inglesi: L’orca assassina (’77) sempre di Michael Anderson e Flash Gordon (’79), diretto da Michael Hodges (autore di un altro film fantasy americano da recuperare: L’uomo terminale, del ’74). Inglese è anche Ridley Scott, autore di due celebri film di science-fiction: Alien (’79) e Blade Runner (’83). Ugualmente britannici sono Alan Parker e Adrian Lyne, autori di film hollywoodiani meno celebri ma decisamente interessanti: Angel Heart – Ascensore per l’inferno (’87) e Allucinazione perversa (’90), un ottimo incubo urbano ispirato dallo splendido racconto di Ambrose Bierce. E che dire di Peter Jackson, neozelandese, regista di Sospesi nel tempo (1995), della trilogia Il signore degli Anelli e di King Kong (’05), autore che, piaccia o meno, ha segnato il cinema fantasy americano (anche se i suoi film sono coproduzioni) degli ultimi dieci e passa anni? Stesso discorso, più o meno, si potrebbe fare per l’olandese Paul Verhoeven. I suoi film di fantascienza sono discutibili ma indubbiamente efficaci dal punto di vista spettacolare, in particolare Robocop (’87) e Atto di forza (’90).
Pare abbastanza evidente che le produzioni americane tendano negli ultimi tempi a tornare alle origini, affidando vari film a registi austriaci e tedeschi, trapiantatisi ormai definitivamente negli Stati Uniti. Uno dei primi a fare il salto è stato il tedesco Wolfgang Petersen, che nel 1985 ha diretto Il mio nemico, diventando poi uno specialista di kolossal tonitruanti e francamente insopportabili (il più digeribile dei quali è probabilmente La tempesta perfetta, del 2000). Abbastanza simile, ma più tendente al fantascientifico, è l’austriaco Roland Emmerich, che ha cominciato dirigendo Van Damme ne I nuovi eroi (’92), infilando poi una serie di successi come Stargate (’94), Independence Day (’96), Godzilla (’00). Film abbastanza mediocri ma che hanno sicuramente costituito la spina dorsale del cinema spettacolar-fantascientifico hollywoodiano degli ultimi anni (il che la dice lunga sulla crisi qualitativa della settima arte, ma questo è un altro discorso). Migliori, ma non troppo, i film di M. Night Shyamalan, o di John Woo, che però non può essere considerato propriamente un regista fantasy. In ogni caso, i nomi di registi stranieri che hanno diretto produzioni americane fantascientifiche o horror negli ultimi dieci, quindici anni sono un numero ragguardevole. Si va da Marcus Nispel (Non aprite quella porta) a Walter Salles (Dark Water), da Alexandre Aja (Le colline hanno gli occhi) a Danny e Oxide Pang (The Messengers), da Danny Boyle (Sunshine) a Jean_Pierre Jeunet (Alien – la clonazione), da Ang Lee (Hulk) a Oliver Hirschbiegel (Invasion), fino al recente Končalovskj fiabesco. Curiosamente, in vari casi i registi vengono ingaggiati per dirigere dei remake. I titoli discreti si contano sulle dita di una mano, e di sicuro non sono nemmeno lontanamente paragonabili ai capolavori degli albori del cinema. Qualcosa di buono ha fatto l’australiano David Twohy con Pitch black, del 2000, e Below, del 2002. Resta comunque un mistero (o forse neanche poi tanto) il fatto che gli americani preferiscano chiamare registi spesso mediocri piuttosto che far lavorare i propri maestri: De Palma, Carpenter, Romero, Craven, Lynch, Hooper, McNaughton, Yuzna e via elencando.
 
a cura di Roberto Frini