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Lo squartatore di New York di Lucio Fulci

Uno degli elementi cardini della cinematografia di Lucio Fulci è 'l'occhio' che si incarna totalmente nello sguardo violato dello spettatore. La tortura dello sguardo inizia con Beatrice Cenci, suo film storico del '69 dove per tutta la durata della pellicola si assiste a violenze fisiche provocate dall'inquisizione. Punto determinante è che per la prima volta Fulci dilania l'occhio di uno dei protagonisti e lo fa con un chiodo. Il chiodo preso a martellate sfonda il bulbo.  Da lì in poi l'occhio sarà elemento principe in Zombi 2, del 1980, il primo film horror del  regista romano, in cui il legno buca la retina di una poveretta, sino a diventare un marchio di fabbrica che caratterizzerà quasi tutti i suoi movie.
L'occhio è focale anche ne Lo squartatore di New York, del 1982, dove lo spettatore assiste impotente a una delle scene più violente della storia del cinema. L'assassino immobilizza una prostituta nuda, la mano 'guantata' afferra la lametta di un rasoio. Sappiamo benissimo che la userà contro di lei ma invece di far partire la lametta dal ventre, come si vedrebbe in un qualsiasi film horror/thriller, il rasoio parte dall'occhio. Bucandolo, entrandoci dentro, sezionandolo, deorbitandolo, il tutto in presa diretta senza alcun ausilio di digitale ma tutto artigianalmente perfetto. La scena scaraventa lo sguardo dello spettatore a terra, disarmandolo. I nostri occhi subiscono un'aggressione truce, violenta, difficile da digerire.
Questo è The New York Ripper, una recisione netta delle nostre pupille, e non è solo quello. Rappresenta anche lo 'sventramento' allo stato puro. Dall'inizio alla fine l'assassino sorprende le proprie vittime squartandole con atrocità e non è solo 'un vedo non vedo' come succede nei film gialli in cui devi scoprire l'assassino. Qui la crudeltà è tanta ed è troppa. In più oltre alla violenza ci si somma la morbosità, la perversione sessuale, giochi erotici quasi infernali in cui si respira un quadro di decadenza fisica e viscerale proprio come spesso accade nei quadri fiamminghi di Bosch. 
E' vero, la trama è presente, sin dall'inizio non sappiamo chi sia lo squartatore, ma poco ci importa, l'interesse è vedere la violenza fulciana espressa su tela, pittoricamente, come succede nel quadro di ...E tu vivrai nel terrore! L'aldilà in cui i protagonisti sono intrappolati in eventi ineluttabili, infernali, in cui è il destino ad avere la meglio, in cui gli ingranaggi stritolano senza pietà i malcapitati. 
C'è mattanza in The New York Ripper, c'è smembramento, c'è afflizione, inutile meravigliarsi se Fulci è uno dei registi preferiti di Clive Barker.
In ultima analisi la pellicola è definita da molti come un prodotto thriller/giallo, a mio parere no. O meglio, non solo quello. Il film può essere classificato maggiormente come horror, anzi si potrebbe anche dire che è horror allo stato puro. La violenza è così grande, così protagonista che non siamo più di fronte al 'terrorista dei generi' che aveva così tanto sconvolto in Non si sevizia un paperino piuttosto che ne I quattro dell'apocalisse dove i generi del giallo e del western vengono totalmente fatti saltare in aria ricostruendoli in un qualcos'altro che diventa genere a sé (ovvero il genere Fulci). Qui invece siamo proprio dinnanzi all'horror più puro. Prendiamo un regista che nel passato era il nemico più prossimo di Fulci, Dario Argento. Sono in molti a considerare, per esempio, Nonhosonno di Argento una pellicola thriller/giallo e basta. Se andiamo invece ad analizzare il prodotto, vediamo tagli di dita, nasi fracassati a muri, tenaglie che strappano unghie, pifferi che spappolano bocche, decapitazioni, il tutto ben visibile e sembra quindi un po' limitante parlare di giallo/thriller solo perché non si sa chi sia l'assassino o perché l'intreccio è ben curato.
Lo stesso caso si può dire per Lo squartatore di New York: l'horror è sovrano.
Assolutamente da vedere, perla horror di Fulci in cui tutta la sua violenza espressiva imprime un segno indelebile nello sguardo dello spettatore.
      
a cura di Francesco Basso