In Nonhosonno Argento dimostra d’essere ancora capace di sferrare colpi micidiali. L’idea è semplice: al diavolo l’inutile tentativo di rincorrere una fasulla modernità, si torna all'antico. Nasce così il suo primo film del nuovo millennio. La città è di quelle che lo hanno ispirato maggiormente, Torino. Gli sceneggiatori questa volta sono gli italiani Franco Ferrini (Io, Chiara e lo Scuro, C’era una volta in America, Dèmoni) e lo scrittore Carlo Lucarelli. La vicenda è semplice ma con trovate non banali. L’assassino creduto un nano che si rivela invece un bambino, ad esempio. Tutti hanno ammesso la bellezza della scena sul treno, i detrattori hanno sottolineato l’improponibilità di un paragone con Profondo rosso, a cui lo accomunano molte scelte, prima tra tutte un ritorno che mette i brividi, quello dei Goblin. Nonhosonno è, in realtà, la summa artistica di ciò che di straordinario il regista ha filmato e il riuscito tentativo di liberarsi degli orpelli di un cinema che non fa per lui. Ciò che distingue Nonhosonno dai precedenti film di Dario Argento realizzati negli anni Novanta non è il genere. D’accordo, Il fantasma dell’Opera apparteneva, o avrebbe dovuto appartenere, all’horror puro, ma Trauma e La sindrome di Stendhal cos’erano se non dei thriller? Quindi, poche storie, il tanto sbandierato ritorno al giallo di Dario Argento è solo un abile (?) operazione di marketing. A tracciare una linea netta tra Nonhosonno e i tre film citati è la qualità. Nonhosonno è un buon film perché recupera un modus operandi che ha fatto di Dario il sanguinario un maestro. Primo, bando alle ambientazioni internazionali e, come scritto, ritorno a una città italiana. Poi, storia più essenziale ma con varie idee interessanti. Al risultato contribuiscono anche gli attori, tutti bravi e funzionali, cosa che non capitava dai tempi di Phenomena (fatta eccezione per l’episodio di Due occhi diabolici, un piccolo gioiello sui generis). Ma, ciò che soprattutto rende Nonhosonno un film da vedere è lo stile di Dario Argento. I suoi movimenti di macchina (meno virtuosistici di una volta ma sempre avvolgenti), i suoi angoli di ripresa, il montaggio e il gusto per il dettaglio; la suspense che riesce a creare inquadrando una stanza buia, le atrocità (abbastanza limitate, a dire il vero) che solo lui riesce a rendere metafisiche, come nella scena dello sparo finale. Notevole l’aspetto visivo, anche per merito del direttore della fotografia Ronnie Taylor (Gandhi, A Chorus Line, Seduzione pericolosa e, sempre con Argento, Opera). Qualcuno ha detto che di Nonhosonno si possono salvare giusto i primi venti minuti. Certo, un delirio di virtuosismo/musica/montaggio/terrore puro come quello iniziale non si vede tutti i giorni ma, permettete, chi ha nel sangue il cinema italiano degli anni Settanta non può restare indifferente di fronte alla scena ambientata nei sotterranei della discoteca, tanto per dirne una. Altri hanno sostenuto che Dario Argento si è limitato a rifare Profondo rosso (quasi fosse una colpa). Può darsi che abbiano ragione ma, in ogni caso, i risultati sono comunque migliori della maggior parte dei film italiani che escono di questi tempi. Anche se, con poca originalità, mette semplicemente in scena un assassino psicopatico che uccide giovani donne.
a cura di Roberto Frini