Ma procediamo per ordine: l’infermiera Anna, una Naomi Watts che fatica
un po’ a smettere di preoccuparsi, incappa in un mistero che coinvolge
una ragazza giovanissima morta di parto, un neonato ed un ristorante di
proprietà di gente molto pericolosa.
Si mette
sulle tracce di Kirill, un Vincent Cassel che meglio sarebbe stato
evitare, talmente è stronzo e pure un po’ sopra le righe, e scopre cose
che voi umani non potreste immaginare. Viggo/Nikolai è l’autista del
figlio del capo, sfoggia uno sguardo d’acciaio e una recitazione da
antologia, e riesce incredibilmente ad essere gelido ed umano nella
stessa inquadratura, senza neanche battere ciglio. La vecchia ossessione
per il corpo del geniale Cronenberg qui striscia sottile all’interno
della storia e silenziosamente si impossessa delle inquadrature più
potenti, a cominciare dal primo omicidio, che parrebbe un’ispirazione da
vecchi gangster movie, ma invece nasconde il senso del taglio di una
gola, mettere a tacere chi parla troppo. Poi abbiamo la scena della
prova di virilità di Nikolai, richiesta da un Kirill che sembra
sottintendere un interesse di natura omosessuale non dichiarato, anzi
negato con violenza, nelle attività sessuali del suo sottoposto. Scena,
questa, che oltre a passare attraverso l’esposizione di corpi maschili e
femminili, rivela tutta la stanca accettazione da parte di Nikolai dei
rituali all’interno di un’associazione tribale quale la mafia, russa o
meno conta poco.
E’ poi la volta della già famosa scena della sauna, e su questa sequenza occorre spendere qualche parola, in primo luogo perchè l’abilità registica riesce nel difficile compito di mostrare una lotta primordiale tra corpi di cui uno nudo e due vestiti di tutto punto, senza irritare la censura e senza sfiorarne neppure da lontano il ridicolo. Poi c’è da dire che il continuo mostrare senza un attimo di tregua coltelli che affondano nella carne di tutti, anche in punti delicatissimi come un occhio, rimanda alla passione per lo scardinamento dei corpi che Cronenberg si porta dietro da molto tempo, e che tutti gli amanti del suo cinema ormai si aspettano da ogni sua pellicola. In ultimo è difficile non notare il sottotesto che passa un’informazione vitale come quella che il passato non solo non si cancella, ma ti rende riconoscibile attraverso i segni che lascia sul tuo corpo, senza neanche dire una parola. Il corpo in Cronenberg, e in questo caso anche in Nikolai, parla da solo e da solo ti condanna se tale è il caso, senza troppi complimenti. Così come è ancora una volta la debolezza della carne del piccolo grande figlio del capo, che non solo lo caccia nei guai, ma ne costringe il padre, boss e demiurgo di tutto quello che accade nella storia, a far salire di grado l’autista all’interno dell’organizzazione per controllare meglio gli eccessi di suo figlio. Ed infine il corpo di Anna, che aveva abortito un feto in precedenza, segnerà in silenzio il destino dello sfortunato bambino senza nome, che verrà ad insinuarsi in quel posto vacante nel cuore di lei, e che la spingerà a cercare una storia così, solo per placare il dolore di un’ingiustizia mai neanche raccontata.
Cronenberg riesce in questo modo ancora una volta a coniugare una storia avvincente con una regia impeccabile, e attraverso il solo magistrale uso degli attori, che paiono tutti talmente nella parte da suggerire una precedente incarnazione come mafiosi russi trapiantati, o infermiere sfortunate, ci regala un convincentissimo aggiornamento del thriller di ambientazione mafiosa, senza mai neanche citare alla lontana i numerosi illustri precedenti, e insinuando nello spettatore l’idea che la raggiunta maturità del regista di Toronto non soltanto sia arrivata da tempo senza clamori né fanfare, ma che non possa esser messa in discussione neanche stavolta e, se è per questo, in nessun’altro dei suoi riuscitissimi ultimi film.
E’ poi la volta della già famosa scena della sauna, e su questa sequenza occorre spendere qualche parola, in primo luogo perchè l’abilità registica riesce nel difficile compito di mostrare una lotta primordiale tra corpi di cui uno nudo e due vestiti di tutto punto, senza irritare la censura e senza sfiorarne neppure da lontano il ridicolo. Poi c’è da dire che il continuo mostrare senza un attimo di tregua coltelli che affondano nella carne di tutti, anche in punti delicatissimi come un occhio, rimanda alla passione per lo scardinamento dei corpi che Cronenberg si porta dietro da molto tempo, e che tutti gli amanti del suo cinema ormai si aspettano da ogni sua pellicola. In ultimo è difficile non notare il sottotesto che passa un’informazione vitale come quella che il passato non solo non si cancella, ma ti rende riconoscibile attraverso i segni che lascia sul tuo corpo, senza neanche dire una parola. Il corpo in Cronenberg, e in questo caso anche in Nikolai, parla da solo e da solo ti condanna se tale è il caso, senza troppi complimenti. Così come è ancora una volta la debolezza della carne del piccolo grande figlio del capo, che non solo lo caccia nei guai, ma ne costringe il padre, boss e demiurgo di tutto quello che accade nella storia, a far salire di grado l’autista all’interno dell’organizzazione per controllare meglio gli eccessi di suo figlio. Ed infine il corpo di Anna, che aveva abortito un feto in precedenza, segnerà in silenzio il destino dello sfortunato bambino senza nome, che verrà ad insinuarsi in quel posto vacante nel cuore di lei, e che la spingerà a cercare una storia così, solo per placare il dolore di un’ingiustizia mai neanche raccontata.
Cronenberg riesce in questo modo ancora una volta a coniugare una storia avvincente con una regia impeccabile, e attraverso il solo magistrale uso degli attori, che paiono tutti talmente nella parte da suggerire una precedente incarnazione come mafiosi russi trapiantati, o infermiere sfortunate, ci regala un convincentissimo aggiornamento del thriller di ambientazione mafiosa, senza mai neanche citare alla lontana i numerosi illustri precedenti, e insinuando nello spettatore l’idea che la raggiunta maturità del regista di Toronto non soltanto sia arrivata da tempo senza clamori né fanfare, ma che non possa esser messa in discussione neanche stavolta e, se è per questo, in nessun’altro dei suoi riuscitissimi ultimi film.
a cura di Anna Maria Pelella
Fonte: Offscreen