28 settimane dopo di Juan Carlos Fresnadillo


Lo splendore sinistro della metropoli.

Questo film non appartiene fortunatamente alla “moda” del sequel, ovvero non nasce dal bisogno incontenibile di esplicitare, mostrare e sfruttare quanto nel primo film veniva solo evocato (per precise ragioni il più delle volte). In effetti si potrebbero distinguere due tipi di sequel: il primo tipo è quello appena menzionato, che non capisce o poco gli importa di capire che molto spesso l’inespresso di un film deve restare tale (penso al seguito di opere come The Ring o di Blair witch project). Questo tipo sfrutta i pruriti degli spettatori più morbosetti, quelli per intenderci che vogliono “vedere” il più possibile, quelli che proprio per questo hanno detestato Blair witch, che a loro dire troppo lasciava intendere e troppo poco vedere. Il secondo tipo è quello più fertile e più interessante, perché più umilmente continua a raccontare, non disturbando il primo film, i cui misteri resteranno tali. Ci possono essere ovviamente incroci interessanti, anzi formidabili, tra i due tipi - gli alieni di Cameron per esempio - ma credo che la distinzione possa essere mantenuta.
Veniamo al nostro. L’opera di Boyle è un piccolo capolavoro della fantascienza cinematografica contemporanea, uno dei film più suggestivi degli ultimi anni. Il merito di Fresnadillo risiede nel sapiente equilibrio che riesce a creare tra continuità e discontinuità rispetto al primo film.
  
Vedendolo riconosci e non riconosci, ritrovi e non ritrovi il tratto di Boyle, che in effetti c’è e non c’è. Mi sentirei quasi di dire che Boyle prima e Fresnadillo poi hanno creato una sorta di poetica della desolazione urbana. Mai vista una città inquietante come la Londra del lungometraggio di Fresnadillo, una città familiare ed al tempo stesso assolutamente irriconoscibile. Per non parlare di altre perle visive, che non voglio anticipare. Una città, quella deserta, tutta per te, ma insostenibile nella sua vastità priva di vita.
  
Una città che sembra ormai incapace di ospitare di nuovo la civiltà, malgrado il tentativo di ripopolazione, di cui il film è la cronaca e il racconto. Vorrei dire il meno possibile su questo film, che non presenta novità di rilievo sul piano del motore narrativo (il virus della rabbia che trasforma gli esseri umani in bestie feroci). La sua bellezza risiede nell’affresco di Londra, inospitale e al tempo stesso abitabile come mai lo è stata, vuota e al tempo stesso minacciosa, orribile e al tempo stesso affascinante. Il film di Fresnadillo merita di essere annoverato tra i lavori che hanno cantato lo splendore sinistro della megalopoli contemporanea.

a cura di Michele Alessandrelli
Fonte: Offscreen