Inizialmente è la suspense a reggere la trama che
quasi si deve costruire in pagine intrise da intrighi e drammi
dicotomici. Alcune sottili sfumature accompagnano una lettura scorrevole
che accoglie forti dialoghi. L’autore descrive personaggi reali
incastonati però in un mondo introspettivo, annebbiato dalla delusione
di un non arrivo; “Il leggendario pianista sulla terra ferma” apre una
nota cinematografica, come se dovesse avvenire una collisione tra
l’ardita regia di un giovane Kubrick (che l’autore, attraverso alcune
interpretazioni, svela istintivamente il legame nei riguardi di questo
regista) e l’intensa nostalgia di ricercare la propria infanzia, come H.
Hesse farebbe in Demian. Riordinare l’anagramma di parole non scritte
ma sottintese, arresta il logistico ritrovamento d’indizi mentre la
rindondante cadenza è riorganizzata come a sottolineare l’inevitabile
esistenza della cruda realtà. Il pensiero percorre un varco-temporale
aprendo un impatto visivo, amalgamato poi in un contesto volutamente
rivisitato come “la casa in montagna” una metafora trafugata dai tesori
poetici di un eremita in cerca del suo ruolo. Si ha quasi l’impressione
di vivere il romanzo per ritrovarsi nuovamente al punto di partenza,
Fabio Morìci gioca bene con il tempo riuscendo ad avvalorare la teoria
di A. Einstein. L’impatto emotivo trasloca nei confini di un’etica
psicologica, custodita tra le pagine di un romanzo di genere fantastico
che svela immagini, suoni e sapori di un Qualsiasi giorno di ordinaria
follia.
Fabio Morici - Appena il tempo di andar via - Edizioni Il Filo
a cura di Iolanda La Carrubba