La Redazione Ghost segnala Quindici
Minuti (The Rewind Agency Vol. I) di Jill Cooper, pubblicato da
Dunwich Edizioni.
Il futuro può essere un luogo
pericoloso se hai cambiato il passato…
Quindici minuti. È tutto ciò che la
Rewind concede a una persona quando viaggia nel passato, ma per Lara
Crane è abbastanza per trovare sua madre e impedirne l’assassinio
nel corso di una rapina avvenuta dieci anni prima. Ma la storia che
le è stata raccontata per tutta la vita è una menzogna. Quando Lara
viene colpita dal proiettile che avrebbe dovuto uccidere sua madre,
il suo futuro cambia per sempre: nuova casa, nuovi amici e nuovo
ragazzo. E ora suo padre è in prigione. In una linea temporale che
non riesce a comprendere, Lara sta per commettere un errore fatale e
dovrà confrontarsi con un avversario che conosce molto bene…
perché fa parte della sua famiglia.
L’AUTRICE
Jill
Cooper ama il tè più del caffè ed è ossessionata dall’idea di
trovare la ricetta perfetta. È nata nel 1977 e ha diviso la
stanza con sua sorella per diciotto anni. Ha sempre amato i misteri
più oscuri ma anche le grandi commedie, così cerca di includere
entrambi gli aspetti in tutto ciò che scrive, in un modo o
nell’altro.
Vive
a Danvers, Massachusetts, con due gatti, un bambino, un marito e un
taxi giallo del 1964. La sua vita è caotica, ma divertente.
Potete contattarla all’indirizzo http://www.jillacooper.com
UN
ASSAGGIO
Sollevo
il borsone e sono sorpresa da quanto sia pesante. Apro la lampo e
all’interno trovo del denaro. Parecchio. Devono esserci migliaia di
dollari tenuti insieme in piccoli mucchi ordinati.
Il
cuore mi batte velocemente mentre mi domando da dove provenga e cosa
avessi intenzione di farci. Se mai c’è stato un momento buono per
un flashback, è ora. Un cellulare blu in fondo alla borsa attira la
mia attenzione. Lo afferro e vedo che ha un post-it attaccato. È
scritto a mano.
Nasconditi
nella doccia. Fa’ in fretta.
Con
gli occhi sgranati e il cardiopalma, richiudo lo sportello
dell’armadietto, afferro tutto e corro lungo il corridoio. Mi volto
verso le docce e mi infilo in una cabina. Tengo ferma la tendina di
plastica con dita tremanti, mentre sento dei passi pesanti nella
stanza degli armadietti.
Gli
sportelli di metallo vengono colpiti in rapida successione mentre i
passi si avvicinano. Non so neanche il motivo, ma ho paura. Potrebbe
essere solo un tizio che ha finito di allenarsi e ha il volume
dell’iPod troppo alto o una donna delle pulizie passata a ritirare
gli asciugamani, ma sono sicura che non è così. Chiunque sia, è
qui per me.
Mi
paralizzo quando vedo un’ombra strisciare dietro la tendina di
plastica.
Una
voce profonda e rabbiosa esclama: «È stata qui. Ha preso tutto.»
Qualcosa
cade a terra con un suono umido.
I
miei abiti da ospedale!
Li
avevo lasciati sulla panca. Mi darei una bella strigliata per essere
stata di nuovo tanto stupida ma, quando l’ombra comincia a farsi
indietro, capisco che quei vestiti potrebbero avermi salvato la vita.
Solo
dopo che la porta si richiude rilasso le spalle, ma non mi sento
ancora abbastanza al sicuro da uscire allo scoperto. La mia mente
torna a quell’appunto. Mi ha salvato la pelle, ma come facevo a
sapere che quegli uomini stavano arrivando per me?
Mi
faccio quella domanda un milione di volte e in un milione di modi
diversi, ma la risposta è sempre la stessa.
L’ho
scritto nel futuro.
E
l’ho portato nel passato.