La villa dell’aviatore di Alda Teodorani

Per Anna

La vampira ogni sera dava una festa e ogni sera nella villa migliaia di lampade si accendevano, le pietanze più pregiate ed esotiche riempivano l’enorme tavolo ellittico della sala, l’orchestra iniziava a suonare e gli invitati ballavano tutta la notte, fino allo sfinimento; le lunghe tende bianche ondeggiavano nell’aria notturna e a volte, verso mattina, si sentiva il suono di un biplano che sorvolava la casa. Era l’aviatore che aveva fatto costruire la villa: tornava dall’oltretomba per rivedere i luoghi che aveva tanto amato.
Ogni sera, quando la musica stava per iniziare, gli studenti del quartiere si mettevano in fila fuori dalla villa per poter entrare.
La vampira si affacciava al suo balcone e lanciava una rosa rossa tra di loro: chi la recuperava poteva passare la notte con lei e se fosse stato fortunato, o abbastanza bravo, la vampira gli avrebbe concesso il dono della vita eterna nutrendosi di lui e dandogli un po’ del proprio sangue. Si sarebbe tagliata un polso e lo avrebbe avvicinato alle labbra del giovane morente che da quel momento in poi sarebbe diventato il suo schiavo.
Alcuni non ce l’avrebbero fatta. Di altri lei si sarebbe nutrita e poi ne avrebbe fatto gettare i corpi in cantina, dove si diceva che nelle lunghe notti di noia, lei giocasse con i loro cadaveri. Oppure avrebbe aperto la porta della stanza ai suoi cani, lasciando che si nutrissero dei loro corpi.
Era una donna bella, di alta statura, aveva quel fascino sottile, indefinibile, che poche donne posseggono e che ti fa invaghire di loro qualunque età o aspetto abbiano.

Robert una sera era entrato nella villa della vampira ma diversamente dagli altri non era morto, né lei si era nutrita di lui. Lo aveva semplicemente introdotto nella camera della sorella, Angela, immortale come lei ma che soffriva di un’insanabile malinconia da quando l’uomo che amava, il giovane aviatore che aveva fatto costruire la villa, era morto precocemente di tubercolosi negli anni Venti; Angela dormiva quasi sempre, anche di notte, quando avrebbe dovuto nutrirsi.
Quando il suo sposo era morto, lei aveva pianto talmente a lungo, urlando giorno e notte frasi sconnesse, che s’era danneggiata le corde vocali e la sua voce era cambiata per sempre.
Quando era ancora in vita, all’aviatore piaceva decollare la mattina, subito prima dell’alba, sorvolare le colline dolci che attorniavano la sua casa. Ogni stagione aveva i suoi colori, ogni stagione portava una diversa pennellata al suolo: in primavera tutto era verde, d’un verde che pareva penetrare dentro il cuore, aprirlo e succhiarne ogni goccia di sangue. Poi arrivavano i papaveri, rosseggiavano come un’onda che si frastagliava su se stessa quando il vento la colpiva ripetutamente, e poi ancora altri fiori gialli, e poi quelli azzurri. La gran calura estiva spazzava via tutto con il suo alito rovente: restava l’erba secca e gialla, che lentamente si decomponeva nell’autunno, fino a seppellirsi da sé nelle zolle ghiacciate dell’inverno. La mattina, l’aviatore volava sul suo aereo finché vedeva il sole spuntare e la meraviglia, ogni giorno rinnovata, della luce che accendeva il cielo. E poi la malattia lo aveva rinchiuso in un luogo dove non avrebbe mai più visto alcun colore, solo una notte profonda e nera.
Dopo la sua morte, Angela aveva preso a guidare il piccolo biplano dell’aviatore. Conosceva i comandi e le rotte perché aveva volato spesso con lui, e lui l’aveva addestrata a pilotare. Sul biplano dell’uomo che aveva amato, si chiedeva se stava volando nello stesso esatto punto, pensava che, se ci fosse riuscita, avrebbe ritrovato un po’ di lui, della sua essenza.
Ma poi, lentamente, s’era rassegnata e sul suo volto era calato un velo nero, la disperazione aveva lasciato tracce tangibili, e improvvisamente era diventata adulta, e immortale: il dono gliel’aveva fatto sua sorella, convinta di strapparla via al dolore. E invece l’aveva condannata a soffrire per sempre.
Non aveva più volato. Non fino a quella notte.
La vampira sperava di riuscire a guarire Angela dalla sua malinconia procurandole un uomo che la potesse amare quanto aveva fatto l’aviatore e, su invito della vampira, Robert si era steso sul letto bianco, sotto il baldacchino decorato di veli. Non aveva nessuna intenzione di insidiare la donna, della quale intravedeva la sagoma sotto le coperte. Eppure quella notte si erano baciati. Avevano fatto l’amore. Probabilmente s’erano ritrovati vicini nel sonno, in quello strano momento in cui il respiro è come se s’acquietasse, come se al centro della notte perdesse la pesantezza per cominciare a volare.
Lei aveva risposto al suo bacio quasi lo aspettasse e in quel momento lui s’era reso conto che era come se lei ricordasse. Come se rivivesse i loro baci, il modo lento, profondo, di fare l’amore. Quella notte era stato come se avessero ripetuto un rituale, s’erano allacciati quasi sanguinando da quelle ferite che entrambi s’erano procurati vivendo, ferite mai richiuse. La luna arguta infiltrava i suoi raggi dalla finestra, pennellava argento sui loro corpi e nella stanza dalle grandi vetrate aperte. Settembre faceva incalzare l’autunno, la loro pelle s’increspava di freddo nel dormiveglia ma non avevano voluto coprirsi.
Più tardi Robert s’era svegliato. Una luce lattiginosa colmava la stanza, era solo nel grande letto. Fuori, un suono sovrastava tutto. Inizialmente non aveva compreso cos’era quel rumore, poi, quando s’era affacciato alla finestra, aveva visto il biplano dell’aviatore rullare sulla pista ai piedi della collina e aveva capito: aveva capito molto di più di quel che era in suo potere.

S’era alzato, era corso giù, alla pista, per intercettarla, per fermarla. Ma lei era già sopra di lui. Troppo lontana. Andava incontro al sole.
Pareva passata un’eternità quando il suono era ricomparso, era spuntato il biplano, rombando, e Robert nemmeno aveva fatto in tempo a rendersi conto di cosa stava succedendo che l’apparecchio s’era avvitato e poi s’era schiantato sul grande tetto a terrazzo della villa con un boato insospettabile per un velivolo così piccolo, così fragile, sollevando una nuvola di polvere fitta e oscura.
Robert era corso dentro, aveva salito le scale, s’era precipitato ad aprire la porta del tetto, subito dalla soglia erano caduti mattoni e calcinacci, l’aereo aveva distrutto parte del terrazzo ma la cabina di guida era là, a pochi passi da lui.
Lui ansante si era precipitato ad aprirla. Ma dentro c’era solo cenere.

L’AUTRICE
Alda Teodorani, autrice di culto dell’horror-noir italiano, ha al suo attivo più di duecento pubblicazioni tra romanzi, racconti, fumetti, audiolibri, traduzioni, soggetti e sceneggiature di film. I suoi libri e racconti sono tradotti in francese, inglese, tedesco, spagnolo e georgiano. Con Carlo Lucarelli e Loriano Macchiavelli ha fondato il Gruppo 13 composto da scrittori e illustratori dell’area emiliano-romagnola. Il suo primo libro, Giù, nel delirio, è pubblicato nel 1991 da Granata Press.
Ha fatto parte della famigerata antologia Gioventù cannibale (1996) ed è inserita dalla critica nella generazione letteraria dei cosiddetti Cannibali.
I suoi racconti hanno ispirato i film di Appuntamenti Letali (2006), DVD realizzato con il patrocinio del portale Filmhorror, comunità di film-maker indipendenti.
Le sue opere sono depositate nel fondo Alda Teodorani custodito nel centro culturale Carlo Venturini di Massa Lombarda (Ravenna) che raccoglie anche bibliografia critica, foto, video, corrispondenze con altri scrittori e lettori, articoli su riviste e quotidiani, tesi di laurea a lei dedicate, materiali video e sonori. La sua intera bibliografia è pubblicata nel volume di Giulio Ciancamerla Scritture e percorsi letterari: L’archivio Alda Teodorani edito da Future Fiction.



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