Se mai sono esistiti compassione e fratellanza nel vecchio West, l’occhio che inquadra le vicende di Meridiano di sangue sceglie consapevolmente di rivolgersi altrove. Si direbbe un compito semplice: ogni roccia del deserto, ogni lembo di cielo, ogni angolo di villaggio racconta una realtà fatta di violenza e morte. Siamo a metà del XIX secolo, durante l’espansione verso ovest degli Stati Uniti. Un ragazzo di quattordici anni abbandona la casa del padre e inizia a vagare senza meta; finisce per unirsi a un gruppo di fuorilegge, ma il loro tentativo di attraversare il confine con il Messico viene interrotto da un attacco dei Comanche, che lascia il ragazzo tra i pochi sopravvissuti. Viene arrestato dalle autorità messicane e, una volta in prigione, trova il modo di aggregarsi a una nuova banda in cerca di nuovi innesti, quella del capitano John Glanton; ufficialmente si tratta di cacciatori di scalpi, ma di fatto si rivela un gruppo di sanguinari senza scopo che semina morte e distruzione lungo la frontiera tra Messico e Stati Uniti. Li guida il giudice Holden, un gigantesco profeta glabro che esercita sui seguaci un connubio di fascino mistico e terrore viscerale. L’obiettivo primario che si pone il romanzo è quello di esplorare la violenza come elemento costitutivo dell’umanità. La scrittura di McCarthy rappresenta la brutalità in modo crudo, il conflitto quale colonna portante della condizione umana. La violenza viene spesso intrecciata con simbolismi religiosi e apocalittici, conferendo all’opera un carattere epico e universale.
Il ragazzo – il cui nome non viene mai menzionato – è tanto protagonista quanto osservatore degli eventi, che lo trascinano più che conquistarlo. Impotente eppure maestro di sopravvivenza, attraversa fasi di passivo asservimento al gruppo di Glanton e momenti in cui viene sopraffatto dalla paura e dalle prese di coscienza; i suoi allontanamenti, tuttavia, finiranno sempre per ricondurlo sul sentiero battuto dal mastodontico giudice-filosofo, anche a distanza di decenni. Non del tutto innocente, non del tutto corrotto dalla violenza che lo circonda. L’ambiguità del personaggio trova il suo culmine nell’atto conclusivo del romanzo: il ballo di Fort Griffin. Un rituale al di fuori dello spazio e del tempo che incarna il perpetrarsi della violenza e del caos, la consacrazione a un potere immortale radicato nell’esistenza umana. È il trionfo del nichilismo, di cui il romanzo è intriso, che nega e calpesta con scientifica puntualità speranza e redenzione.
Con il Giudice non si ha a che fare con un semplice antagonista, piuttosto con una personificazione del male e del dominio assoluti. McCarthy lo eleva a dio pagano che celebra la violenza come forza creatrice e distruttrice del mondo. Il suo controllo indiscusso sul ballo di Fort Griffin simboleggia la supremazia sulle leggi morali. Perché Holden “ballerà sempre”– usando le sue stesse parole – e non morirà mai, a conferma ulteriore di una natura eterna e inscalfibile, una forza primordiale che sovrasta ogni tentativo di resistenza.
La narrazione si avvale di uno stile solenne, di ispirazione biblica, volto a forzare il distacco dalla crudezza degli avvenimenti raffigurati. Non c’è traccia di morale: il narratore riporta i fatti senza sforzi di interpretazione, un puro narratore esterno che delega al lettore il compito di tirare le fila. Se questo è vero per i temi portanti, lo è altrettanto per la mera successione dei fatti della trama, che viene presentata come una sequenza di azioni, battute di dialogo e descrizioni senza che ne venga evidenziato il filo conduttore. Tale impostazione, unitamente alle vicende narrate, mette in discussione il ruolo di chi legge: siamo complici, come il ragazzo, semplici testimoni o parte attiva nel perpetuare le dinamiche rappresentate?
Meridiano di sangue si pone anche obiettivi di carattere meno universale, calati nel contesto specifico in cui è stato scritto: quello degli Stati Uniti. Il romanzo, infatti, smonta il mito fondatore degli USA come terra di libertà e opportunità, mostrando invece una storia fondata sull’oppressione e sul genocidio, dopo decenni di mitizzazione portata avanti dalle pellicole che celebrano il Far West. Un messaggio mai vecchio, mai superato, come pare raccontare la realtà contemporanea, in preda a una deriva di violenza diversa nel manifestarsi, ma unitaria nella sua natura primigenia. Il Giudice danza. E con lui danzano i destini del mondo.
Meridiano di sangue
Autore: Cormac McCarthy
Editore: Einaudi
Pagine: 306 pagine
ISBN: 9788806223229
Prezzo: 13,50 €
A cura di Adriano Calvanese Strinati
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