Un racconto presentato da Alfred Hitchcock
Pubblicato in Italia nell'aprile 1961 sul giornale "La Domenica del Corriere"
La casa dei Daniels era come una sfinge. Acquattata sul fianco più scosceso della collina, aveva l’aspetto sornione e misterioso di tutte le case vuote. Ma anche la sua forma era un po’ arcana: costruita su quattro piani appoggiati ad una roccia, e sorretta su un lato da lunghe colonne bianche, era una casa un po’ eccentrica, ideata in era di abbondanza, da gente troppo rapidamente arricchita. Più tardi era stata abbandonata dai suoi proprietari che si erano trasferiti in località più vicina alla città, in una villa di forme più moderne.
Quando i fari della macchina illuminarono il viale del giardino, Betty Daniels rise e batté le mani per la gioia. Prima ancora che Robert fermasse, ella era già balzata a terra e correva verso la porta della villa. Robert la seguì correndo e la raggiunse proprio sul portone. Nella luce dei fari della macchina si abbracciarono e si baciarono. Poi Betty cercò le chiavi nella borsa e Robert andò a spegnere i fari. Anche la macchina apparve scura e silenziosa come la vecchia casa.
Nel frattempo Betty aveva aperto la porta.
- Aspettami! Entriamo insieme.
Betty cercò al buio gli interruttori e li trovò. Il grande salone al pianterreno si presentò alla loro vista… ma anche così il senso di arcano non fu dissipato. Troppe lampade erano guaste, troppi fili pendevano inutili; anche coi lampadari accesi l’abbandono e l’incuria erano fin troppo palesi.
Il viso magro e affusolato di Betty perse un po’ della primitiva gioia: era meno bella di come la ricordava, la sua vecchia casa; le tappezzerie erano gonfie e spezzate, i soffitti screpolati, i mobili coperti da teli polverosi. I ragni avevano tessuto un po’ dovunque le loro reti.
Robert, sentendo che la ragazza era delusa nelle sue care memorie, le mise un braccio attorno alle spalle per consolarla.
- È un po’ diversa da come te l’aspettavi, vero? - disse. - Da quanto tempo non venivi qui?
- Sono circa otto anni. Ne avevo undici quando papà è morto, e fu allora che andammo via.
UN MISTERO
Betty sospirò e sedette sull’orlo di un divano. Robert sorrise con la sua aria furbesca. Il sorriso gli produceva due fossette sulle guance. Aveva ventiquattro anni ed era il più bello fra i conoscenti di Betty. Ma ormai era più di un conoscente, più di un amico.
- Robert… - sussurrò la ragazza.
Egli le si avvicinò e le accarezzò i capelli.
Betty ritrovò il coraggio; prese Robert per mano ed insieme andarono ad esplorare la palazzina. Da una stanza all’altra, da un piano all’altro, percorrendo corridoi, fermandosi a ridere di fronte a vecchi ritratti di famiglia, giocando a rimpiattino nel labirinto delle stanze dei piani superiori… Con le loro risa e la loro giovanile esuberanza riportarono un fresco soffio di vita nella vecchia residenza.
Fu all’ultimo piano, il quarto che Robert si trovò di fronte a una porta che non voleva lasciarlo passare.
- Ehi, Betty! - gridò. - Questa porta è chiusa!
La ragazza lo raggiunse in silenzio e disse a voce bassa: - Sì, lo so: è sempre stata chiusa.
Robert ritentò con la maniglia ma la porta, solida e pesante, non si spostò di un millimetro.
- Che cosa c’è qui? - domandò.
- Non lo so: è sempre stata chiusa fin da quando ero bambina. Non ricordo di averla mai vista aperta. Una volta mio padre mi disse di non avvicinarmi alla porta e un giorno ho sentito mia madre parlarne come se ne avesse paura.
- Perbacco, c’è aria di mistero - commentò Robert. - Che ne dici? La scassiniamo?
- No, no, Robert! Non possiamo fare una cosa simile!
- Ma guarda! Non sei curiosa? Forse è piena di donne come nel castello di Barbablù. O forse ci sono nascosti i gioielli di famiglia…
- Lasciamola stare - disse Betty che era impallidita. - Ho sempre avuto paura di questa porta, non so perché.
Robert provò con una spallata.
- No, no. Robert! - gridò Betty allarmata.
- Ma insomma, perché è chiusa? Ci deve essere qualcosa di valore! - esclamò Robert eccitato. – Scommetto che c’è nascosta roba preziosa. Tuo padre l’ha lasciata a te questa casa, vero? E allora se c’è roba di valore appartiene a te!
- Robert, non essere avido! Mi hai promesso di non parlare mai di denaro.
- Ma io parlo del tuo denaro, non di quello di tua madre!
- Sì, ma la casa non è ancora mia: lo sarà soltanto quando compirò i ventuno anni. Mancano due anni.
- Non essere pedante.
- Robert!
Il giovanotto fece una smorfia di disappunto, ma si riprese. Mise un braccio attorno alle spalle di Betty e rise. - Va bene, cara - disse, - non è il caso di litigare. Del resto abbiamo tutto il tempo che vogliamo.
Tentò di baciarla ma Betty lo respinse.
- Scendiamo, Robert, te ne prego.
Scesero nel salone dove Robert, con gesti drammatici, tolse i teli polverosi che coprivano i mobili. Poi fece un giro d’ispezione e tornò con una bracciata di legna secca. Robert era cresciuto in città: accendere il fuoco sotto il camino era un’impresa per lui. Ma alla fine ci riuscì. Allora andò a cercare il più bel divano, lo spinse fin davanti al camino e invitò Betty s sedervi con lui.
Le fiamme del caminetto, nel vecchio salone, erano uno spettacolo per Robert.
- Micina - disse, - spengo le luci!
Si alzò dal divano per raggiungere l’interruttore. In quel momento udì uno scricchiolo di ruote sulla ghiaia del giardino e i riflettori gettarono lampi bianchi sulle pareti.
- Accidenti! - esclamò Robert. - Abbiamo compagnia.
COLPO DI SCENA
L’automobile si era fermata davanti all’ingresso. Si udì lo sbattere di una portiera.
Betty si era voltata di scatto aggiustandosi il vestito.
- La mamma! - gridò.
La porta dell’atrio si spalancò di colpo e una matrona apparve sulla soglia, fiera e solenne come una dea della vendetta. Con rapida occhiata esaminò la scena e si rese conto della situazione.
La signora Daniels era bassa e grassoccia. Soltanto la collera sembrava darle statura. Aveva l’aria di chi si è vestito in fretta e furia senza però dimenticare i simboli della ricchezza: gioielli ai polsi e al collo, e una volpe argentata sulle spalle. Quasi correndo raggiunse sua figlia e l’agguantò ad un braccio.
- No, mamma, lasciami! - piagnucolò Betty. - Non c’è niente di male.
- Ah, non c’è niente di male? – gridò la signora Daniels e, con gli occhi fuori delle orbite, si voltò verso il giovanotto che se ne stava in piedi impacciato davanti al caminetto.
- E lei, che cosa fa qui? Lei è Robert Snowden, se non sbaglio. Ho già sentito parlare di lei, giovanotto! Grazie al cielo ho avuto la buona ispirazione di correre qui quando ho visto che Betty non tornava a casa.
- Mamma, ti sbagli! Diglielo tu, Robert.
- Signora Daniels… - mormorò Robert.
- Stia zitto! – esclamò la matrona. - Capisco tutto. Me lo aspettavo che qualcosa sarebbe capitato! Fin da quando Betty ha cominciato a raccontare di lei nelle sue lettere dal collegio.
La signora Daniels riafferrò sua figlia per un braccio e la spinse davanti a sé.
- Cammina, tu! Prendi la tua roba e andiamo a casa.
- Signora Daniels…
La matrona si voltò di scatto: - Che vuole lei? Se ne vada!
- Siamo sposati, signora Daniels.
La presa sul braccio di Betty si allentò, ma non del tutto. La donna guardò con stupore il giovanotto in piedi accanto al fuoco e la figlia accanto a lei.
Robert cominciava a riprendere coraggio. Betty si mordicchiava il labbro, impacciata.
- È vero… - mormorò Betty. - Ci siamo sposati stamattina a Elkton.
- Non è possibile, tu sei minorenne!
- A Elkton è permesso, mamma; il limite di età è di diciassette anni, a Elkton. Io e Robert siamo sposati e tu non puoi trattarci così - disse Betty, ma sembrò spaventata del proprio coraggio. Aggiunse: - Te ne prego, mamma, cerca di capire.
- Oh, capisco benissimo! - esclamò la matrona. Abbandonò il braccio della figlia e si voltò verso il giovanotto: - Campioni come questo ne ho incontrati una dozzina quando avevo la tua età. Bei campioni, che si illudevano di acchiappare la mia dote…
“MI UCCIDERÒ!”
Presa da sconforto, si lasciò cadere su una sedia e guardò sua figlia mentre gli occhi le si riempivano di lacrime. - Oh, Betty, mia povera Betty…
- Non è così, signora Daniels - disse Robert; - io amo sua figlia.
La signora lo guardò attraverso il velo del pianto: - Scommetto che è un disperato…
- Oh, mamma!
- Scommetto che non ha quattrini…
- Infatti, non ne ho - disse Robert. - I miei genitori sono immigrati dall’Europa. Mio padre faceva lo spedizioniere; mia madre è ancora viva ma non so nemmeno dove sia. Non ho niente e nessuno, signora Daniels, ma amo sua figlia.
- Perché?
Betty guardò lontano, con dispetto.
- Ha sentito la mia domanda, signor Snowden? Perché?
Robert esitò: - Non so che cosa voglia dire, signora: non si può rispondere alla sua domanda.
- Mia figlia non è bella - strillò la matrona. - Non ci vede? Non è bella. Perché mai un bel ragazzo come lei dovrebbe sposare una ragazza insipida come mia figlia? Crede forse che sia stupida?
Betty scoppiò a piangere e coprì con le mani la sua faccia insipida. Robert cercava le parole.
- Io le voglio bene - disse. - È la sola spiegazione che posso dare. Siamo sposati e lei non può più farci niente.
La signora si alzò. - Lei è un bel ragazzo, signor Snowden - disse, - ma non è molto furbo. Io posso fare ancora molto. E per prima cosa intendo far annullare il matrimonio. Subito!
- Non glielo permetteremo, signora Daniels.
- Ah, no? Staremo a vedere. Lei non può imporre niente finché mia figlia non avrà raggiunto la maggiore età. E nel frattempo possono succedere tante cose.
La matrona si alzò e, riprendendo l’atteggiamento solenne di quando era arrivata, esclamò: - Io vado a casa, Betty, e voglio che tu venga con me.
- No, non vengo!
- Non aggravare la situazione, Betty.
- Non vengo - singhiozzò la ragazza. - Robert, dille che voglio rimanere qui.
- Lo vede, signora Daniels.
- Sì, lo vedo - disse la madre, sospirò e guardò la porta. – Ma te ne pentirai, Betty, ricorda le mie parole.
- Mamma, non posso vivere senza Robert. Se ci costringi a lasciarci, non te lo perdonerò mai.
- Lo lascerai, Betty.
- Mi ucciderò! Hai sentito, mamma? Mi ucciderò se mi costringi a lasciarlo!
IN DUE STANZE
La signora Daniels sembrò turbata. Ma non si lasciò commuovere: - Non dire sciocchezze. Non sei matura, sei una bambina. Capirai da sola che ho ragione.
- Dico sul serio, mamma! – gridò Betty. - Mi ucciderò! Sul serio!
La signora Daniels la guardò con compassione. Aprì la porta senza aggiungere altro, ed uscì.
Betty e Robert lasciarono la vecchia casa alle dieci dell’indomani, e raggiunsero il modesto appartamentino di due camere che il giovanotto aveva in affitto in città. Robert si vergognava un po’ di mostrare la sua miseria dopo la vecchia magnificenza della casa dei Daniels. Betty cercò di rincuorarlo e di mostrarsi allegra: si diede da fare in casa per mostrargli che la misera abitazione non le spiaceva, ma i suoi sforzi non furono molto convincenti.
- Che cosa sarà di noi? - gli chiese ad un tratto. - Dimmi, Robert, credi che mia madre potrà veramente fare quello che ha minacciato?
- Non lo so. Parlerò con un avvocato.
- Ma… e se ci riesce? Non saprei resistere, Robert…
- Non temere, micina. Tu hai un punto importante a tuo favore, ed è che tua madre ti vuol bene e non vorrà mai farti del male.
- Robert, dimmi la verità: mi trovi insipida?
- Ti trovo bella, micina.
STRANA PROPOSTA
Quando Betty si fu addormentata, Robert accese una sigaretta e rimase ancora parecchio tempo sveglio a pensare e a guardare nel vuoto. Il giorno dopo si alzò presto e andò a far visita a un legale che era stato amico di suo padre. Rimase con lui tutta la mattina a discutere della situazione, e quando tornò trovò Betty in ansia. Le sue notizie non erano incoraggianti.
- Non si mette troppo bene - disse, - l’avvocato è del parere che tua madre può farci guerra. Se fa sul serio, può farmi arrestare per corruzione di minorenne e rapimento oltre i confini dello Stato. È un guaio, micina.
- Non è possibile, Robert. Forse, se tu parlassi con mia madre…
- Non mi lascia parlare. Si è messa in mente che io voglio soltanto il tuo denaro.
- Va bene! E allora rinunceremo al denaro! Che ne dici? Se io firmassi una rinuncia a tutti i soldi che mio padre mi ha lasciato? Forse allora ci crederebbe non ti pare?
Robert si alzò e camminò su e giù per la stanza.
- Mi pare un sistema un po’ drastico, Betty. Il denaro è tuo. Lo avrai quando sarai maggiorenne; ti spetta di diritto.
- A me non interessa il denaro, Robert.
- Certo, certo. Ma ci deve pur essere qualche altro mezzo…
- Robert…
- Dimmi.
- A te non interessa il mio denaro, vero?
Il giovanotto non rispose. Si avvicino con aria ispirata.
- Ascolta, Betty: mi è venuta un’idea. È un’idea un po’ matta e se non ti piace puoi rifiutare.
- Che cos’è?
- Ti ricordi quello che hai detto alla vecchia… quel che hai detto alla mamma, ieri? Che volevi ucciderti?
- Sì… - Betty lo guardò spaventata. - Perché?... Che cosa pensi?
- Tua madre non ti ha creduto. Nessuno crede a discorsi simili. Ma se capitasse qualche cosa in modo da convertire tua madre che tu fai sul serio… che mi vuoi veramente… insomma che questo matrimonio è veramente importante per te…
Betty continuava a fissarlo terrorizzata.
- Non spaventarti, micina, cerca di comprendermi. Io ho in mente un piano… un piccolo trucco e niente più. Se riuscissimo a convincere tua madre che tu intendi veramente commettere un suicidio, non credi che cambierebbe parere?
- Forse sì. Ma credo che capirebbe il trucco.
- Se noi siamo furbi non capirà. Pensaci un momento, Betty: se tu tentassi davvero di commettere suicidio, però lo facessi in maniera blanda, in modo da non farti troppo male… giusto quel tanto da farlo sembrare una cosa seria...
- Ma come? Come potrei fare?
- Ci sarebbero due o tre maniere - disse Robert. - Il gas, per esempio. Potresti aprire il gas e far finta di voler ucciderti così...
Betty non sembrava entusiasta. Lo fissava con occhi stralunati.
- Non guardarmi così, micina, sarà soltanto una messa in scena. Io... Guarda, se non vuoi lasciamo perdere e non parliamone più.
- No, no, continua Robert. Che altro pensi...
- Ecco... forse il mezzo più convincente è ancora il veleno. Che so, tintura di iodio per esempio. In questo modo il risultato sarebbe sicuro perché dovrei chiamare il dottore che ti farebbe una lavatura gastrica.
- No, no! Ho paura!
- Va bene, lasciamo perdere. Non è necessario adoperare un veleno. Possiamo prendere qualcos’altro: magari sonnifero, pillole per dormire. Anzi, per caso ne ho già un flaconcino. Non fanno male, e basta che tu ne prenda un paio...
Betty tremava di paura. Robert le mise un braccio attorno alle spalle e la strinse a sé, mentre continuava a parlare: - Potresti scrivere una lettera a tua madre, una lettera di addio in cui diresti che io non ne so niente, capisci? Le diresti che stai per inghiottire tutto il contenuto di un flacone, ma poi in realtà prenderesti soltanto un paio di pillole. Poi quando tua madre arriverà...
- Ho paura, Robert! Tutta questa cosa mi mette paura!
- Ti garantisco che non succederà niente di male. Anzi, tua madre si convincerà che fai sul serio, che mi ami davvero. Fallo per amor mio, Betty. E’ vero che mi ami?
- Sì, sì - disse Betty con passione.
QUATTRO PILLOLE
Quel pomeriggio Betty, aiutata da Robert, scrisse la lettera d’addio per sua madre. Una letterina breve, drammatica e decisa. In un primo momento Betty voleva metterci frasi di rimprovero, ma Robert suggerì un tono di malinconica rinuncia, di perdono. Tanto per salvare le apparenze scrisse una letterina di addio anche per Robert.
Quando il lavoretto fu terminato, il giovanotto chiuse le buste e filò via ad impostarle.
Aspettarono fino all’indomani prima di mettere in atto il progetto. Alle tre del pomeriggio del giorno seguente il telefono squillò ma Robert impedì alla ragazza di rispondere.
- Lascia stare! Forse è tua madre. Avrà ricevuto la lettera e ti chiama. Meglio non farsi sentire.
Lasciarono trillare il campanello una dozzina di volte. Poi Betty, con mani tremanti andò a prendere il sonnifero e lo portò nel salotto. Robert preferì non toccare il flacone.
- Coraggio, micina, prendine tre... no meglio, quattro...
- Robert, sei sicuro che non mi faranno male?
- Ma certo! Sono innocue in così piccola quantità. Ce ne vogliono almeno una dozzina perché facciano male. E poi farò venire un dottore appena tua madre darà l’allarme. Fidati di me, micina.
- Mi fido, Robert!
Il flacone conteneva in tutto sei capsule. Betty ne fece uscire quattro, andò a prendere un bicchiere d’acqua e se lo portò accanto al divano.
- Robert.
- Micina.
- Baciami, Robert.
Egli la baciò. Betty prese una capsula dal tavolino e l’inghiottì, poi, una alla volta, fece seguire le altre tre.
“SVEGLIATI, BETTY!”
Passò una buona mezz’ora prima che cominciasse a sentire un po’ di sonnolenza. Robert le suggerì di stendersi sul letto, ed ella obbedì: prese con sé il flacone quasi vuoto e il bicchiere dell’acqua e andò in camera da letto. Dieci minuti dopo si addormentò.
Robert provò a chiamarla per nome, ma Betty non rispose, Allora prese soprabito e cappello e uscì: andò al negozio all’angolo e comprò latte, pane e sigarette. Da dietro la vetrina stette in osservazione sperando di vedere la madre di Betty. Ma la signora Daniels non arrivò. Robert tornò nell’appartamento e chiamò Betty ad alta voce: la ragazza dormiva profondamente. Rimase un po’ in dubbio se cambiare il piano, telefonare alla signora Daniels, mostrarsi preoccupato, pregarla di venire a vedere che cosa aveva combinato con la sua ostinazione. Chissà... forse non aveva ricevuto la lettera. O non l’aveva presa sul serio?
Stava per prendere il telefono quando sentì rumore di passi sulle scale, e il campanello trillò, accompagnato da colpi febbrili alla porta. L’apri e la madre di Betty, agitata, spettinata, spaventata, entrò come una furia.
- Dov’è? - gridò. - Dov’è mia figlia?
- Betty? - egli disse con aria ingenua. - E’ di là che dorme, mi pare. Sono rientrato pochi minuti fa.
La donna scattò verso la camera da letto. Robert la trattenne per un braccio.
- Che c’è? - disse. - Che cosa succede?
La signora Daniels lo guardò con occhi spiritati. Tirò fuori un foglio di carta, glielo gettò, poi corse in camera da letto.
Un momento dopo un urlò di angoscia riempì la casa. Robert si aspettava una scena drammatica, ma quell’urlo fu così terribile che anch’egli se ne allarmò: corse in camera da letto e vide Betty mezza sollevata sul letto, fra le braccia di sua madre; la ragazza aveva gli occhi chiusi ed era pallidissima; sua madre le reggeva la testa e la chiamava per nome e gridava, e piangeva.
- E’ morta! - gridava. - Betty è morta! La mia bambina, la mia povera bambina...
- Ma no! Non è possibile! - esclamò Robert. Si avvicinò, prese il flacone quasi vuoto, fece finta di guardare l’etichetta.
- Un dottore! - gridò.
- Vado a chiamare un dottore!
La donna appoggiò la testa sul petto di sua figlia e cominciò a singhiozzare. Robert andò al telefono, compose febbrilmente il numero e con voce rotta per l’emozione chiamò un’autoambulanza. In fondo, dentro di sé, era soddisfatto: il suo piano funzionava a meraviglia ed egli aveva recitato bene la sua parte.
In quel momento la madre di Betty comparve sulla soglia. - E’ troppo tardi - disse con voce rotta dal pianto. - E’ troppo tardi.
- E’ colpa sua! - esclamò Robert con sincera collera. - E’ stata lei a spingerla alla disperazione. Se non l’avesse tormentata.
- Non è mia la colpa. Lo ha fatto per causa sua... Si è uccisa per amore.
- Ma non è morta! - esclamò Robert preso da improvvisa inquietudine. Corse in camera da letto, sollevò Betty fra le braccia e le accarezzò il volto. - Svegliati, micina! - sussurrò. - Svegliati! Tutto è a posto, tutto è in ordine, micina, svegliati!
La ragazza rimase inerte fra le sue braccia.
- Su, svegliati, Betty - disse. Ma la testa della ragazza ricadde sulle spalle. - Svegliati! - gridò spaventato. - Su! Su! E’ tutto finito! Devi svegliarti!
Tentò di sollevare un ciglio di Betty, ma la pupilla si rovesciò all’indietro. La vista di quell’occhio bianco lo terrorizzò. Cercò di baciarla, ma le labbra di lei rimasero inerti, senza calore, senza respiro.
- Betty! - Urlò. -Vuoi svegliarti? Svegliati, Betty!
- La lasci in pace - disse la madre. - Non può lasciarla in pace nemmeno adesso?
- Ma non può essere morta, c’erano poche pillole nella boccetta... non può averne prese molte.
- Non ne aveva bisogno di molte... col cuore di Betty poche sono bastate.
- Ma che cosa dice?
- Betty ha sofferto di febbri reumatiche a quattordici anni. Da allora il suo cuore è rimasto debole.
Robert guardò il viso pallido della ragazza. Per la prima volta si sentì sinceramente commosso.
- Betty - mormorò scuotendola. - Betty, svegliati, devi svegliarti!
Poco dopo il medico dell’ambulanza pronunciò il verdetto: come previsto.
Un mese dopo la tragedia, Robert ricevette dalla signora Daniels una lettera assolutamente inattesa. Diceva: « Egregio signor Snowden, la prego di voler intervenire ad una riunione nell’ufficio dei miei avvocati, Hallman & Wilcox, 70, Wall Street, alle 10,30 del 3 aprile ».
NELLO STUDIO LEGALE
Sulle prime egli pensò che volessero danneggiarlo. Chissà, qualche tranello legale... Ma che cosa poteva fare la vecchia? Forse voleva avvertirlo che del patrimonio di Betty non gli spettava nulla? Questo lo sapeva già: ne aveva parlato al suo amico ed aveva sentito che non c’era nulla da pretendere.
Il mercoledì 3 aprile egli indossò il suo vestito più bello e andò a trovare gli avvocati della signora Daniels. Fu ricevuto cortesemente.
- Venga, signor Snowden - disse l’avvocato Hallman. - La signora Daniels l’aspetta nel mio ufficio.
- Di che cosa si tratta? - chiese Robert inquieto e impaziente. - Vuol farmi causa?
- Causa? - ripeté Hallman sorridendo. - Ma no, niente affatto!
L’avvocato lo introdusse nel suo ufficio. Seduta in una poltrona di pelle, la madre di Betty, vestita a lutto, lo aspettava. - Entri, signor Snowden - disse con voce mesta e senza guardarlo in faccia. - Sarà una seduta breve.
L’ avvocato sedette alla scrivania e Robert impacciato e inquieto prese posto su una sedia.
- Forse lei si sarà domandato a quanto ammontasse il patrimonio di mia figlia...
- Ma io... - balbettò Robert.
- …se non lo sa - continuò la signora Daniels - la sua parte di eredità le sarebbe toccata al compimento del ventunesimo anno. Ora, poiché è morta, la sua sostanza spetta automaticamente a me. Quindi, ritengo che lei non speri nulla di questo patrimonio.
- Non ci pensavo neppure, signora! - esclamò Robert riprendendo coraggio.
- Molto corretto da parte sua. Comunque, signor Snowden, il fatto che lei è stato legalmente il marito della mia povera bambina, mi impone un certo obbligo morale nei suoi riguardi. Lei è mio genero, mi piaccia o no la cosa. Quindi anche per rendere omaggio alla memoria della mia figliola, desidero fare qualche cosa in suo favore.
UNA DONAZIONE
Robert sentì il suo cuore accelerare i battiti. - Non so, signora...
- Stia calmo - ribatté secca la matrona. - Non intendo certo darle un premio per quello che ha fatto per mia figlia e per me. Faccio soltanto una piccola donazione in memoria di Betty.
- Sono certo - disse l’avvocato - che la generosità della signora Daniels...
- Sta’ zitto, Walter, gliela do io la notizia.
Si degnò di alzare lo sguardo su Robert e proseguì: - Signor Snowden, se non sbaglio le piaceva molto la vecchia casa nella quale si è rifugiato con mia figlia dopo le nozze, dico bene?
- Sì... - balbettò Robert. - Sì..
- Una volta era stata valutata un capitale ma non credo che oggi valga molto. Comunque, la casa è sua, signor Snowden.
Robert stentava a credere.
- Dice davvero, signora Daniels? Vuol veramente cedermi la casa?
- Avrebbe appartenuto a Betty fra qualche anno. Io non so che cosa farne: può prendere possesso della casa, del terreno e di quel che c’è dentro.
- Oh, signora, non so come ringraziarla.
- Lasci perdere. Il signor Hallman, il mio avvocato, penserà alle formalità.
La signora Daniels si alzò e salutò il giovanotto con un burbero cenno della testa.
- Non mi ringrazi. Chiusa questa pratica, i nostri rapporti sono cessati, signor Snowden. Spero dì non rivederla più.
E fiera, impettita, la signora Daniels uscì dallo studio, ossequiata dall’avvocato e salutata da Robert con un buffo, impacciato inchino.
L’avvocato aveva preparato i documenti, glieli aveva fatti firmare e gli aveva consegnato le chiavi della casa.
LA STANZA PROIBITA
Il sole stava per tramontare quando Robert al volante della sua macchina prese la strada della campagna verso i suoi nuovi possedimenti. Si sentiva nei panni di chi ha vinto una lotteria: non ne poteva più di calpestare il suolo della sua proprietà. Fermò la macchina sulla ghiaia del viale e prese la busta piena di chiavi che l’avvocato gli aveva dato: ne scelse una e se la mise in tasca. Poi, tenendo la busta in una mano, si avviò alla porta principale.
Non era cambiato nulla da quando vi era stato l’ultima volta con Betty: guardò il caminetto freddo e spento, il divano sul quale si erano seduti... Ma la sua mente era altrove: la sua mente era rivolta alla misteriosa camera del quarto piano. Finalmente avrebbe potuto sapere che cosa conteneva! Ormai la casa era sua!
Salì le scale di corsa e arrivò in alto col fiato pesante. Cercò tra le chiavi, nella semi oscurità: una sola lampada brillava in fondo al corridoio. Trovò la chiave e con mano tremante la mise nella toppa; per farsi coraggio, pensò che dopo tutto forse non c’era proprio niente in quella camera, né tesori né nascondigli. Certo se c’era stato qualcosa, ne era stato tolto da un pezzo.
Girò la chiave, aprì la porta ed entrò deciso.
Era buio all’interno. Accese un fiammifero, fece due passi avanti... Tutto era silenzio. La camera sembrava vuota. Ma forse là in fondo... Fece un altro passo avanti.
Il silenzio fu rotto all’improvviso da un orribile scricchiolio seguito da un urlo disperato, agghiacciante, un urlo che si perdette nella profondità di un abisso e si concluse con un tonfo.
Poi tornò il silenzio.
“LO SAPEVO”
L’avvocato Hallman era rimasto tranquillamente seduto durante la visita dell’ispettore di polizia ma, non appena questi se ne fu andato, si alzò e si mise di fronte alla sua cliente: incrociò le braccia e la guardò con cipiglio severo.
- Gli hai mentito. - disse alla signora Daniels che sedeva nella poltrona. - Non gli hai detto la verità: sapevi benissimo che cosa facevi quando hai donato la casa a Robert Snowden.
- Lo sapevo? Forse... E con ciò? Che cosa sapevo, del resto? Sapevo soltanto che dietro quella porta non c’era niente di prezioso. L’abbiamo chiusa quindici anni fa perché il pavimento minacciava di cedere. La camera era costruita su una sporgenza, come una terrazza: l’avevo detto tante volte a mio marito di far riparare il pavimento, ma quel poveretto era così avaro; aveva preferito chiudere la porta e tenere nascosta la chiave. Da quel giorno non c’era entrato più nessuno.
NOTE
Racconti rari riscoperti da Sergio Bissoli. Dalle informazioni di Tiziano Agnelli risulta che questi Autori sono scrittori minori inglesi o americani. Hanno pubblicato alcuni racconti in varie antologie negli anni ’50.
I racconti che presentiamo qui invece sono stati pubblicati esclusivamente sulle Domeniche del Corriere degli anni ’60. Qui mancano sempre i dati biografici. Manca sempre il titolo originale e il nome del traduttore.
Nella testata appare una foto di Hitchcock con la scritta: “Hitchcock presenta”.
Dietro la porta chiusa di O. H. Leslie è apparso sulla Domenica del Corriere nell’aprile 1961.
Per questo breve e originale capolavoro non è necessario nessun commento.
Questo, e gli altri racconti che presentiamo qui, non sono mai stati pubblicati in antologie inglesi e neanche italiane. Pubblicato per la prima volta su Club GHoST.
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