La ragazza sul grattacielo di Bob Bristow

Un racconto presentato da Alfred Hitchcock

Pubblicato in Italia nell'agosto 1962 sul giornale "La Domenica del Corriere"

La vettura bianca e nera della squadra mobile guizzava velocissima attraverso il traffico pomeridiano. Prese una svolta in piena corsa, inclinandosi da un lato, ritornò sulle quattro ruote e continuò a filare accompagnata dal suono eccitante della sirena.
- Va più adagio... - disse l'uomo che sedeva dietro.
- Ma credevo...
- Sì, ma senza esagerare...
Il capitano John Kellogg vedeva la sua faccia nello specchietto della macchina: era una faccia lunga, brutta, con profonde rughe scavate nelle guance. Al momento esprimeva tensione e preoccupazione. Cercò di farsi coraggio e di rilassare i muscoli.
« Ci risiamo », pensò. Doveva esserci abituato, essere pronto. Ma non era pronto affatto... Praticamente non era mai pronto.
Quando lo avevano chiamato era seduto in ufficio, stava bevendo una tazza di caffè e discutendo sulle corse di cavalli.
La voce nasale dell'altoparlante aveva interrotto la discussione.
- Kellogg, c'e un lavoro per te - aveva detto la voce - La macchina è pronta.
Kellogg aveva lasciato tutto ed era sceso di corsa. Ogni minuto contava.
Si passò una mano sulla faccia come per concentrarsi sull'azione
- Quando siamo a mezzo miglio smorza le sirena, Bill - disse all'autista.
- Sì, capitano.
- Da quanto tempo e lassù?
- Il tenente diceva venti minuti. Forse sarà qualcosa di più.
- Già.
Venti minuti. Si avvicinava il momento critico. Cominciava ad avere dubbi, forse la paura interveniva, o forse la decisione si rafforzava, lo sapeva soltanto lei.
- Ma capitano - chiese l’autista – che cosa racconta lei a quella gente?
John Kellogg trasse dal pacchetto una sigaretta, l’accese con mano quasi ferma.
Tu che cosa diresti?
L’agente-autista scosse la testa: - Non so, non saprei neanche come incominciare.
La sirena urlava.
L’autista prese una svolta stretta: la sirena urlava. Arrivo, arrivo. Aspettami. Per favore, aspettami.
Forse avrebbe fallito. Forse questa sarebbe stata la volta...
John Kellogg non voleva pensare alla possibilità di un fallimento. Scacciò l’idea con energia.
L'automobile si avvicinava all'assembramento di gente.
Una radio aveva dato la notizia e una folla di curiosi era accorsa. Questa gente era la più fastidiosa.
- Chiudi la sirena, per favore - disse Kellogg.
La macchina rallentò e cercò una strada fra le altre vetture.
- Chissà perché.. .- disse Kellogg.
- Signore?
- Niente.
L'auto si fermò a cinquanta metri dalla casa.
Kellogg aprì la porta e scese.
- Ha ordini per me, capitano?
- Comincia a far sgombrare. Chiama la squadra. Voglio che sia tutto sgombro di gente e di macchine, al più presto possibile. Via tutti, piazza pulita per cento metri di raggio. Arrestino chi non vuole andarsene. Dico sul serio.
L'agente prese il microfono della radio di bordo per trasmettere gli ordini e Kellogg si avviò in mezzo alla confusione. Quando arrivò vicino alla casa vide la macchina dei pompieri, l'ambulanza e due altre macchine della polizia.
Gli agenti, come anche i curiosi, se ne stavano lì a testa all'indietro guardando verso il tetto.
Quando John Kellogg arrivò presso la macchina dei colleghi un fotografo gli fece scattare in faccia il suo « flash ».
Kellogg alzò nervosamente un pollice:
- Tu! - disse. - Adesso basta, vattene.
Sono del « Daily News » disse il fotografo con tono d'importanza.
- Fermate questo tizio.
- Ma non può...
- Via di qua! Allontanatelo!
Kellogg non aveva ancora guardato su, al quattordicesimo piano. Si rivolse ad uno degli ufficiali in uniforme:
- Il carro dei pompieri e l'ambulanza devono sparire dalla vista e aspettare oltre l'angolo della strada. Sgombrate tutta la zona qui sotto. D'urgenza. Capito??
- Sì, capitano.
- Si è mossa, negli ultimi minuti?
- No, signore... è rimasta lì immobile, come di pietra, con la faccia verso il cielo...
In quel momento John Kellogg cominciò lentamente a guardare la facciata della casa...
La donna, lassù, era una piccola chiazza rossa sul grigio delle pietre. Teneva le gambe allargate, la schiena appoggiata alla parete e la testa all'indietro.
- Che cosa farà capitano? - chiese un cronista.
- Non so, lasciateci in pace.
John Kellogg si avviò all'ingresso dell'edificio. Era un palazzo di lusso con camere ammobiliate, una specie di albergo distinto.
Se abita qui non è povera, pensò Kellogg. Non lo fa per denaro... Ma del resto non lo fanno mai per denaro...
Sei pronto John? Devi essere deciso, lo sai.
John Kellogg affrettò il passo e arrivò all'ascensore. Il direttore dell'albergo e un segretario lo seguirono.
- Da che parte è uscita? - chiese.
- Dalla finestra, signore: ha scavalcato il davanzale.
- Quanto è largo il cornicione?
- Circa trenta centimetri...
All'ingresso dell'ascensore c'era un poliziotto in uniforme. John mostrò la tessera poi si rivolse al direttore e al segretario:
- Venite su con me.
L'ascensore si avviò veloce.
- Chi è?
- Una certa signorina Hanson, Susan Hanson - disse il direttore.
- Quanti anni?
- Venticinque o ventisei...
- Che cosa fa?
- Disegnatrice... pittrice... fa sceneggiature per spettacoli... qualcosa del genere.
- Non è sposata?
- No... è...
- Che cos'è?
L'ascensore si fermò e la porta si aprì automaticamente.
- E' piuttosto bruttina... - disse il direttore con tono compassionevole.
John uscì e seguì il direttore lungo un corridoio coperto da una elegante passatoia.
- Su... mi dica, che fastidi ha la ragazza? Lo sa?
- No... disse il direttore.
- Sembrava a posto. Non sapevo che...
- Aveva un uomo?
- Come dice?
- Un uomo. C'era qualche uomo che veniva a trovarla?
- Ma... noi non...
- Risponda alla mia domanda. Lo sa che cosa sta succedendo...
Il direttore si voltò verso il segretario che li seguiva: - Che dice lei?
- Sì, per un po' c'è stato un uomo che veniva a trovarla. Ma negli ultimi tempi non lo abbiamo visto.
- Si fermava tutta la notte?
- Si fermava fin tardi, non tutta la notte.
Il direttore fece la faccia scura ma non parlò.
Arrivarono davanti alla porta della camera. Un poliziotto in uniforme era di sentinella.
- Come ti chiami, sergente? - chiese John.
- Devore.
- Bene, Devore: voglio che nessuno mi disturbi, che la camera sia tranquilla e vuota. C'è dentro qualcuno?
- Ci sono un paio di cronisti, un pastore, e il tenente Mason.
- Ma bene! - esclamò John di cattivo umore.
Aprì la porta, entrò e per prima cosa prese di mira i due cronisti: puntò il pollice verso la porta:
- Voi due - disse - fuori.
- Olà, capitano, come sta? - esclamò uno di questi che lo conosceva.
Come a una festicciola. Olà, capitano.
- Fuori, non ho tempo da perdere.
Il tenente Mason che era alla finestra si voltò e lo vide: aveva il faccione rosso e sudava.
Anche il pastore si staccò dalla finestra: era un giovanotto dalla pelle bianchissima e l'aria ingenua.
- Le ho parlato - disse. - Credo che mi abbia ascoltato.
- Certo che ha ascoltato - disse John. - E ha detto che rientra?
- Non vuol parlare.
- Se non le spiace, ci provo io.
- Ma stavamo dicendole...
- Permettete? - disse John con tono perentorio. - Io non voglio affacciarmi, voglio uscire...
- Ma certo... - disse il giovanotto, spaventato.
John arrivò alla finestra. Prima di guardare fuori si rivolse ancora al tenente:
- Faccia sgombrare questa camera, Mason, e che nessuno entri. Se ne occupi lei, la prego.
La stanza era vuota, finalmente. John si guardò intorno, pensoso. Esitava.
Ne sarai capace, John? Ti senti pronto? Non era sicuro di sé, gli sembrava di non essere all'altezza dell'impresa. Ma non aveva scelta. Doveva far così.
Si avvicinò alla finestra e guardò fuori. Sentiva come se un pugno gli stringesse lo stomaco.
Con mossa decisa scavalcò il davanzale e vi si sedette.
La donna era a tre metri di distanza. Teneva la testa rivolta in alto, ma gli occhi chiusi. Le sue labbra si muovevano, ma non usciva suono.
John scese dal davanzale sulla sporgenza esterna del grattacelo, tenendo d'occhio la ragazza e cercando di non far rumore per non spaventarla.
D'ora in poi ogni gesto, ogni parola sono importanti. Ogni gesto e ogni parola.
In piedi sul cornicione, ne misurò a occhio l'ampiezza: era largo poco più di trenta centimetri. Vide il tetto delle automobili a un centinaio di metri di distanza e si sentì mancare, come se i muscoli delle gambe si rifiutassero di reggere il corpo.
Non cercò di spostarsi verso la donna. Tirò una lunga boccata d'aria. Si sbottonò la giacca, e cercò una sigaretta. La brezza era tiepida e non troppo forte. Era piacevole.
Trovò la sigaretta e se la mise fra le labbra senza accenderla. Si appoggiò alla parete della casa senza dir niente, come se si fosse appoggiato ad un lampione e attendesse l'autobus.
Ecco, adesso siamo soli, io e lei, isolati dal mondo, senza l'aiuto di nessuno. E di fronte a noi abbiamo l'eternità.
Senza voltare la testa, disse sottovoce:
- Ha paura, signorina Susanna?
La ragazza si irrigidì contro la parete e voltò la testa. Era brutta, poverina, era proprio brutta. Un naso adunco sulla faccia stretta la faceva sembrare uno di quei mostri di pietra su una cattedrale gotica. Anche il collo lungo e magro contribuiva a dare questa impressione.
John cercò di sorridere: - Non abbia paura, signorina, la prego.
- Non si avvicini - disse la ragazza con una smorfia. - Voglio buttarmi...
La lasciò parlare prima di ritentare. Si sentiva emozionato: la poveretta era come una bambina sperduta ed eccitata, pronta a saltare in quell'abisso artificiale.
Se avesse saputo della terribile pena che gli procurava...
- Ho mandato via tutte le automobili: sono già partite quasi tutte. Ho pensato che avrebbe preferito così.
La ragazza guardò giù per un secondo e risollevò rapidamente la testa con un sospiro che era quasi un singhiozzo.
- Mi butto - disse. - Quando ho finito di pensare mi butto. Non mi faccia prediche.
- Va bene, però mi risponda, Susanna: ha paura?
- No - gridò la ragazza.
- Sia onesta, dica la verità, Susanna.
Voltò la testa verso di lui, le dita si aggrapparono alla pietra della parete. I suoi occhi erano disperati.
- Sì... sì... ma voglio buttarmi... voglio...
- Non abbia paura allora... perché quella è la cosa peggiore.
- Lo farò... lo farò...
- Ma non con la paura. Non vorrà morire con la paura...
La ragazza pronunciò qualche parola incomprensibile e per una frazione di secondo le ginocchia le si piegarono. Le sue labbra tremavano.
- Crede che abbia paura di saltare?
- Non di saltare. Paura dell'altro.
- Cosa ne sa lei!
Lo so... - mormorò John.
La donna voltò la testa dall'altra parte. Il suo equilibrio non era molto stabile. John pensò che stesse per cadere: chiuse gli occhi per non vederla. Staccò una mano dalla parete e cercò l'accendino. Si accese la sigaretta e guardò: era ancora là.
- Comunque sia... - mormorò - non vorrebbe parlare con me prima?
- Credo che... adesso mi butto...
- Non ancora... la prego...
La ragazza voltò la testa e lo guardò con attenzione: - Perché è uscito dalla finestra?
- Io non ho paura.
- Non vorrà tentare di prendermi?
- Lo desidera?
- No.
- Non lo farò. Io la capisco, Susanna, la capisco veramente. Lo so che non è il buttarsi che conta. Tutta quella gente lo crede, ma si sbaglia. Si sbagliano tutti perché non sanno.
Era proprio bruttina. Però, ora che il terrore si era un po' placato, i suoi occhi erano dolci e profondi...
- Lei non capisce! - disse, ostinata ma non più tanto convinta.
- Sì invece - ribatté John. - E' per questo che ho mandato via tutti quanti: non hanno diritto a questo attimo. E' il nostro.
Il nostro... - ripeté la ragazza. Scoppiò a ridere e il riso finì in un singhiozzo.
Poveretta, è così triste, così disperata.
- Susanna, vorrebbe una sigaretta?
- No, non cerchi di avvicinarsi!
Era tornata ai suoi pensieri. Severa. Attenta.
Nella casa di fronte, che era più bassa, c'era gente alla finestra. Una donna grassa puntava l'indice in alto.
- Chissà quante donne dimenticano l'arrosto nel forno - disse John. - Se vediamo fumo sappiamo che cos'è.
Ci fu un principio di un sorriso ma si trasformò in una smorfia di odio.
Forse odiava con la stessa intensità con la quale aveva amato...
- Mi chiamo John Kellogg - egli disse. - Sono ufficiale con incarichi speciali.
- Che cosa tenta di fare?
Strano, pareva più calma. Forse la curiosità...
- Quello che cerco di fare è di capire ciò che succede e per così dire di prendervi parte. Sa come faccio?
- No...
- Ma per prima cosa desidero che lei sia calma.
- Sì, sto cercando di essere calma.
- Vuol sapere come faccio?
La donna gli lanciò una rapida occhiata. John non si era mosso. Appoggiato alla parete, con la sigaretta in un angolo della bocca aspettava la risposta. Quando si accorse che la risposta non veniva, cominciò lentamente a parlare.
- Io penso ai momenti felici della vita. Ognuno ne ha avuti.
- Crede di convincermi a non saltare... - disse Susanna in tono di sfida.
- No... soltanto se e quando sarà il momento desidero che non abbia paura.
La ragazza non rispose. John abbassò il tono della voce come se parlasse da solo.
- Penso ai tempi lontani, prima che cominciassero tutti i guai. Una volta, molto tempo fa, ero un ragazzo di campagna... Le pare di vedermi vestito da contadinello?...
John spense la sigaretta schiacciandola contro la parete della casa, e si mise il mozzicone in tasca perché non doveva vedere cose... cadere...
- Qualche volta... - continuò. - Mi fermavo a giocare sulle rive dello stagno, ai margini della nostra campagna, e poi mi stendevo sull'erba e stavo ad ascoltare i rumori. Lasciavo che il sole mi riscaldasse, buttavo via le scarpe e ridevo di felicità... così senza ragione... forse le sembrerà sciocco...
Guardò la ragazza: scuoteva la testa.
- Ha mai provato queste sensazioni?
- Sì... ma non ridevo...
John si morse il labbro nervosamente. Si sentiva triste come lei. Cercava di farsi capire, cercava di trovare un punto di contatto prima del disastro.
- E la musica... - disse. La sua voce era così densa di emozione che Susanna voltò la testa a guardarlo.
- Mi ricordo certe melodie... certe canzoni d'amore che fischiettavo di notte per la strada... E mi sentivo così pieno di desideri, così innamorato... anche se poi tutto finiva in una delusione... in tante delusioni, Susanna. Ma lo strano era che anche in queste delusioni provavo una specie di amara felicità... Mi capisce, Susanna?
La ragazza scosse la testa.
- C'è una specie di compensazione - proseguì John. - Più profonda è la tristezza che uno prova, più grande è la gioia quando tutto è in ordine. Insomma bisogna sapere che cos'è l'infelicità per apprezzare meglio la gioia di vivere. Non le sembra vero?
Susanna annui e disse parlando a fatica: - Sì... è una cosa tanto opprimente che non vale la pena di parlarne.
- Già... - ammise John.
- Mi sento meglio - disse Susanna. - Torni indietro, lei. Adesso sono pronta a buttarmi.
- Lo amava molto... - sussurrò John.
- Sì.
- Susanna... ti ha presa in giro, vero?
La ragazza singhiozzò. Staccò una mano dalla parete e si coprì la faccia.
John si appoggiò alla parete e aspettò senza fiatare, coi nervi tesi, finché la ragazza voltò la testa dalla sua parte e lo vide.
Non sapeva. Susanna non sapeva ancora, ma presto glielo avrebbe detto. Temeva quel momento.
- Ti capisco, Susanna. So che cos'è il ridicolo. Non è per questo che io mi sono arreso. Ma ho provato anch'io queste pene. Non c'è molta differenza fra noi...
- Ha detto cose terribili... - mormorò la ragazza.
- E' un povero di spirito... E' forse un attore? E' vanitoso?
- Mi ha ingannata e mi ha buttata via...
- Raccontami, Susanna.
- Ha detto che mi amava e gli ho creduto. Sembrava vero, sembrava impossibile che fosse una finzione. Sembrava una cosa tanto profonda e genuina. Mi ripeteva continuamente che mi amava... Lo ripeteva sempre... come un disco...
- E tu gli hai creduto.
- Gli ho chiesto di sposarmi... mi ha detto cose crudeli... mi ha derisa... Non sapeva che lo amavo sul serio. Non sapeva quanto, non lo sospettava nemmeno.
- Non sapeva apprezzare il tuo valore, Susanna.
-  Non voglio commiserazioni. Non voglio niente... non voglio più vivere...
Era arrivato per John il momento di decidere il da farsi. La donna non era pazza. Quindi non aveva scelta, doveva agire.
- La mia storia è diversa - disse John - ma il risultato è press'a poco lo stesso.
- Come sarebbe a dire?
- Mi sono trovato anch'io sulla soglia di una decisione tragica come la tua, Susanna. E' per questo che ti capisco. Vuoi sapere com'è andata?
Susanna lo guardò ma non rispose.
- Avevo ventidue anni. Una notte un ragazzo mise una rivoltella sotto il naso di un distributore di benzina. Qualcuno lo vide attraverso i vetri e chiamò la polizia. Io ero nella zona: arrivai con la macchina, balzai fuori, vidi la scena ed estrassi la rivoltella. Il ragazzo si voltò, mi vide e prese paura. La rivoltella gli tremava nelle mani, ricordo bene, fece un movimento, io credetti che volesse sparare, e sparai per primo e lo ammazzai. L'ho visto morire, piangeva come un bambino... era un bambino... e la sua rivoltella non era neppure carica... era una vecchia arma arrugginita che non avrebbe potuto sparare... Suo padre era stato ucciso pochi mesi prima da un automobilista che non si era fermato...
John si passò una mano sul viso. La ragazza non disse niente.
- Erano sette fratelli in famiglia... e il ragazzo lavorava tutto il giorno a scaricare sacchi. Ma non guadagnava abbastanza e aveva tentato di bluffare... e io l'avevo ucciso... Vedi, Susanna, avevo avuto altre delusioni, altri dispiaceri, ma quella è stata la cosa che mi ha messo a terra.
Aveva capito? Era riuscita a comprendere ciò che gli era accaduto?
Continuò con voce rotta dalla emozione: - E' stato un colpo tremendo per me, Susanna. Era come se il mio mondo fosse andato in pezzi. Un giorno me ne andai in campagna con la mia macchina, scesi, mi appoggiai ad un albero, estrassi la rivoltella e stavo per spararmi alla tempia quando... devi credermi Susanna... quando apparve un contadino che portava a tracolla un fucile: si fermò, stette a guardarmi e mi disse: « Hai paura? ». Capisci, Susanna, non mi ha fatto prediche, non ha tentato di dissuadermi. Era uno che aveva fatto la guerra e aveva visto tanta gente morire. Mi capì e mi chiese soltanto: « Hai paura? ».
- Questi discorsi non hanno importanza - disse Susanna. - Adesso mi butto.
- Ma hanno importanza per me, Susanna, quello che tu fai ha importanza per me.
- Mi butto! - esclamò Susanna.
Con voce tonante John annunciò:
- E allora mi butto anch'io!
La ragazza voltò di scatto la faccia: - Come?
- Sì, Susanna, è una cosa che è capitata anche a me: perché quel giorno quel contadino col fucile mi disse che se mi fossi sparato avrebbe fatto altrettanto, si sarebbe ucciso anche lui col suo fucile. Io dovevo decidere per entrambi.
John fece un passo verso la ragazza:
- Susanna, quel contadino diceva sul serio. E io pure lo dico sul serio. Se tu te ne vai vengo immediatamente con te. Se vuoi possiamo darci la mano... Ma insisto che non facciamo le cose con terrore.
- Ma lei non... lei non vuole...
- No, Susanna, mi sono riconciliato con la vita. Ci sono tante cose per cui vale la pena di vivere...
- Non ci credo...
- C'è l'amore, Susanna, c'è la tristezza, c'è la gioia, e il dolore... Sono passati otto anni da quel giorno, Susanna, e sono stati come un regalo per me, perché ho creduto a quel contadino, come tu credi a me. Siamo legati da questa esperienza, Susanna. Il più debole dei fili che ti trattiene in vita è anche il più debole dei miei fili... E il mio coraggio... è il tuo coraggio.
La strada era vuota, giù in basso. Nel silenzio egli si spostò sullo stretto sentiero di pietra e si avvicinò alla ragazza. Le si mise a fianco ma senza toccarla. La ragazza alzò la testa e lo guardò.
- Sono pronto, Susanna. Lo sai che cosa voglio da te. Non ho paura di vivere, ma non ho nemmeno paura di morire. Tu devi decidere per noi.
- Lo farebbe davvero? - chiese Susanna con voce bassa, incredula.
John non rispose. Lasciò che vedesse nei suoi occhi la tragica decisione.
Susanna capì allora che faceva sul serio. Chiuse gli occhi e per più di un minuto non disse una parola.
Poi scosse lentamente la testa.
- Per piacere - disse - mi aiuti...
- Sì - disse John toccandole i capelli.
Alzò il viso a guardarlo. Con la speranza che tornava quella povera faccia sofferente non era più tanto brutta.
- Nella gioia o nel dolore - disse John - ti aiuterò a riconciliarti con la vita...
- Non so se riuscirò a camminare...
- Ti aiuterò Susanna, appoggiati al mio braccio.
John si spostò lentamente verso il davanzale della finestra seguito dalla ragazza. Quando riuscì ad avere un appiglio sicuro le passò un braccio attorno alla vita, la sollevò e la portò oltre la finestra, al sicuro.
La ragazza si era lasciata cadere su una sedia. John accese due sigarette, una per sé e una per lei. Le sollevò il viso finché ella alzò gli occhi a guardarlo.
- Ti manderò all'ospedale - le disse. - Forse potrai evitare del tutto i cronisti e le loro interviste. Ma se qualcuno riuscisse ad arrivare fino a te, non dire niente del nostro segreto. Capito? Non dire niente. Neanche una parola.
- Sì.
- Ti darò mie notizie. Mi farò vivo spesso.
- Ha corso un bel rischio - disse la ragazza con labbra tremanti.
- Non potevo fare altro - disse John.
Quando arrivarono i medici per portarla via, John si curvò e la baciò sull'angolo della bocca.
- Verrò a trovarti - disse.
Quando la ragazza fu uscita John Kellogg rimase solo e tirò un lungo sospiro di soddisfazione. Per il  coraggio e la dignità di cui aveva dato prova la ragazza, e per il piacere che aveva provato nel salvarle la vita.
Poi spense la sigaretta e uscì lentamente nel corridoio.


NOTE
Racconti rari riscoperti da Sergio BissoliLa ragazza sul grattacielo di Bob Bristow è apparso sulla Domenica del Corriere nell’agosto 1962. Robert O’ Neil Bob Bristow autore americano (1926-2018). Ne La ragazza sul grattacielo c’è suspense, c’è brivido, c’è originalità. Il racconto si snoda con sempre maggior terrore e può entrare di diritto nella nostra collezione di racconti rari e introvabili. Racconto pubblicato per la prima volta su Club GHoST.


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