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Knock Knock di Eli Roth

Evan Webber è un affermato architetto, sposato con una scultrice e padre di due bambini. Il giorno della festa del papà, rimasto a casa per completare un lavoro mentre la famiglia è partita per il week-end, Evan riceve, nel cuore della notte, la visita di due belle ragazze, Genesis e Bel, che chiedono il suo aiuto.
Girato da Eli Roth nel 2014, Knock Knock pone, innanzitutto, una questione: troverà un distributore che lo faccia uscire nei cinema italiani? A dire il vero ci sarebbe già una data prevista, 31 marzo 2016, ma sarà davvero così? Sia chiaro, non sarebbe scandaloso se restasse inedito o, com’è probabile, uscisse direttamente per l’home video, capita ad altri autori, ben più importanti, può succedere tranquillamente anche al regista di Hostel. Senza scomodare titoli coreani e giapponesi, che quasi certamente vengono ritenuti troppo ostici, persino The Harvest di John McNaughton è stato colpevolmente ignorato. E però sarebbe l’ulteriore dimostrazione che Roth non gode di grande considerazione, nonostante l’ultimo film confermi quanto di buono (poco, tanto?) aveva fatto intravedere The Green Inferno (arrivato nelle sale con quasi due anni di ritardo, non dimentichiamolo). Con cui condivide produttore (Nicholas Lopez) e parte del cast (Aaron Burns, Ignacia Allamand e, last but not least: Lorenza Izzo). Knock Knock è un piccolo thriller per nulla pretenzioso ma di buona fattura, senza gridarlo ai quattro venti e con un budget si presume modesto, Roth (che non sembra ambire alla nomea di Grande Regista, di Maestro, coerenza da B-director) è riuscito a realizzarlo alla vecchia maniera, teso e del tutto privo di spargimenti di sangue, modernizzato quel tanto che basta (pc, cellulari e ipad hanno un ruolo decisivo). Trattasi del remake di un film del 1977, Death Game, diretto da Peter S. Traynor ma che ricorda anche, per certi versi, un film diretto da Clint Eastwood negli anni Settanta, Brivido nella notte (Play Misty for Me, 1971), non a caso, forse, tra i produttori figura Sondra Locke (protagonista tra l’altro anche di Death Game), ex-compagna e attrice di Eastwood (e a sua volta regista: che Knock Knock fosse dunque un suo progetto? Vai a saperlo). In Brivido nella notte il protagonista è un disc-jockey perseguitato da una donna con cui ha avuto un'avventura, qui Evan Webber (interpretato da Keanu Reeves) è stato un dj in passato, ora fa l'architetto. Proprio la sua professione rimanda a un'opera dalla matrice completamente diversa ma che inizia nella stessa maniera, ci riferiamo all'episodio Il cavalluccio svedese, contenuto in Quelle strane occasioni, diretto da Luigi Magni e scritto da Rodolfo Sonego. Nel quale il personaggio principale è appunto un architetto che, come Evan, resta a casa per lavorare mentre moglie e figlia partono per il mare e deve anche accogliere una bella ragazza, figlia di un suo vecchio amico. Lo sviluppo, trattandosi di una commedia, è del tutto diverso, ma la sensazione è che lo spunto venga proprio da questa pellicola italiana: e non sarebbe la prima volta, per Roth. Girato in un solo ambiente (la villa di Evan), cosa che già di per sé rappresenta una bella sfida, specie quando bisogna creare della suspense, Knock Knock dimostra di avere un buon numero di frecce al proprio arco. A cominciare dall'idea di non prendere le parti di nessun personaggio. Perché se è vero che nella prima parte le ragazze sono tratteggiate prima come disinibite e assatanate e poi via via assumono i contorni di due psicopatiche (più o meno insomma come si aspetta lo spettatore e per il giudizio comune condannabili senza appello), col passare dei minuti si comprende che a Roth interessa mettere a nudo l'ipocrisia del buon padre di famiglia e marito fedele (o far emergere la sua vera natura, quella animale). Un altro pregio del film è la feroce, sadica, triviale ironia che costringe chi guarda ad accettare le regole del gioco (più di una volta le ragazze parlano di “regole” e “gioco”), senza nessuna morale a cui appigliarsi, un gioco che, oltretutto, non esplode mai in vera e propria violenza (come in realtà ci si aspetterebbe). Non vogliamo rivelare troppo, ma l'unica morte in fin dei conti è causata da un incidente. Non c'è catarsi nemmeno nella conclusione, semmai un surplus di humour corr(os)ivo, ai limiti del geniale. Sia chiaro, non abbiamo intenzione di gridare al capolavoro (lo facciamo tutti troppo spesso, salvo ricrederci due mesi dopo), però è un film sorprendente. Per i collegamenti testuali interni (ad esempio, a un certo punto si pensa che possa trattarsi di un sogno, e le ragazze scrivono “non è stato un sogno”), le citazioni, una volta tanto oculate, quella di Fuori orario (di Scorsese, questo sì un capolavoro) e i riferimenti più o meno metaforici (i due bambini, il padre/mostro e la festa del papà, il cane chiamato Monkey e l'amico nero preso in giro razzisticamente dalle ragazze) ed extra-cinematografici (“l'arte non esiste”, i nomi delle ragazze: Genesis, che rimanda alla creazione e al peccato originale, e Bel, dea della mitologia sumera). Insomma, se mai uscirà (ribadiamo) nelle sale italiane, ci sentiamo di consigliarlo proprio come facevano i veri recensori di una volta, perlomeno a chi apprezza il genere.
Per un confronto con Death Game vi invitiamo a leggere l'articolo: Knock Knock vs. Death Game
      
a cura di Roberto Frini