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Bambine - Edizioni Fernandel


Da lungo tempo fuori catalogo, e a vent’anni dalla prima edizione, torna a gennaio in libreria il romanzo che ha reso famoso Eraldo Baldini.
Primi anni Novanta. Tre bambine, nel giro di poche settimane, spariscono come inghiottite dalla nebbia che spesso avvolge Ravenna, una città dove i paesaggi del porto, della marina e della zona industriale formano uno strano contrasto col tranquillo “salotto” del centro storico. All’improvviso una nube di paura scende a oscurare la vita di tutti i giorni, facendo serpeggiare apprensione, incredulità e senso di impotenza, che cresceranno quando la vicenda, in un incalzante susseguirsi di colpi di scena, assumerà contorni di puro orrore. Sarà Carlo Bertelli, cronista di provincia che trascina senza entusiasmi una vita in crisi, a doversi suo malgrado immergere in una storia terribile, spinto soprattutto dal bisogno di proteggere la piccola Chiara, figlia del suo migliore amico morto in mare.
Spietato e tenero, commovente e durissimo, Bambine è un noir pieno di suspense e di lucide disamine del Male, e nel contempo – come sottolinea Carlo Lucarelli nella sua Prefazione – «uno splendido racconto sull’amicizia, sull’amore e sulle delusioni di una generazione inquieta in una terra che è stata definita “sazia e disperata”».
Bambine, Anno: 2015, pagine: 128, Codice ISBN: 978-88-9860-529-3,
Collana: Fernandel, Editore: Fernandel Edizioni.    
   
LA PREFAZIONE DI CARLO LUCARELLI
Nessuno tranne Eraldo Baldini, attento osservatore della metà oscura di una terra contraddittoria e dai diversi volti come l’Emilia-Romagna, sarebbe riuscito a scrivere una storia come questa. Una storia che è allo stesso tempo spietata e tenera, commovente e durissima, proprio come la striscia di terra in cui si ambienta: quella della riviera adriatica. Una vicenda di bambine rapite e brutalmente uccise da un maniaco che si intreccia con quella, umana e toccante, dell’affetto tra un giornalista e la piccola Chiara, figlia del suo miglior amico, morto in un incidente di mare.
Sullo sfondo di una riviera e di una Ravenna dai diversi volti, spesso inediti e insospettati, un po’ nebbioso e sinistro borgo padano, un po’ sfavillante e insonne divertimentificio, un po’ porto di mare difficile e bizantino, si dipana, con la suspense e i colpi di scena tipici di un grande noir, una storia terribile di orrore e di morte che è insieme uno splendido racconto sull’amicizia, sull’amore e sulle delusioni di una generazione inquieta in una terra che è stata definita «sazia e disperata».
Perché Bambine è soprattutto questo: la storia della solitudine di una generazione che vive in un contesto umano diabolicamente ambiguo, che offre molto, forse troppo, ma a patto che lo si consumi in fretta. Ed è proprio lì, tra le nebbie della riviera, che si nasconde la metà oscura di ognuno di noi.
       
UN ASSAGGIO DEL LIBRO
I colpi del pallone e le urla delle giocatrici rimbombavano nella palestra. Cristiana aveva già lasciato il parquet e, seduta sulla panca, si tergeva il viso con l’asciugamano.
« Vai a fare la doccia, su! » le disse la signora Fabbri, l’allenatrice, passandole dietro e accarezzandole appena i lunghi capelli biondi fermati da elastici colorati. Era sempre armata di pazienza, la signora, ma quando diceva qualcosa bisognava ubbidirle. Pazienza e polso: doti indispensabili per gestire quel nugolo di piccole giocatrici di pallavolo.
Cristiana prese la borsa e si avviò lenta, guardando quelle che ancora continuavano ad allenarsi sotto rete. Nello spogliatoio, gettando a terra la tuta sudata che si appiccicò con un plac al pavimento, pensò che erano le sette e mezzo di sera e ancora non aveva fatto i compiti. Spesso li rimandava a un’esigua mezz’ora
prima di cena: tanto, era veloce a farli. Aveva undici anni, era in prima media, ed era la prima della classe. Una cosa, quest’ultima, che le riusciva facile, senza bisogno di secchioneria, senza dover faticare sui quaderni e sui libri. Amava più il volley della scuola, ma era brava in entrambe le cose.
Tolse gli elastici dai capelli con delicatezza, per non procurarsi dolore, poi mise la cuffia di plastica e aprì la doccia. Non riusciva a smettere di sudare, e il getto dell’acqua calda non avrebbe migliorato la situazione. Si lavò lentamente, a occhi chiusi, poi si asciugò, indossò le mutandine, una maglietta, la tuta pulita e calzò un altro paio di scarpe da ginnastica, simili a quelle con cui si era allenata; ficcò nella borsa alla rinfusa i panni bagnati, la bottiglia del bagnoschiuma, la cuffia, le scarpe, gli elastici, le ginocchiere e tutte le altre cose che aveva sparse intorno. A casa, poi, mamma le avrebbe dato una mano a mettere a posto. Da una tasca esterna della borsa prese un chewing-gum. Faticare le faceva non solo venire sete, ma le procurava in bocca un sapore cattivo.
Quando uscì dallo spogliatoio, trovò su di sé gli occhi attenti della signora Fabbri: « Metti il cappotto, e a casa di corsa, signorina! A mercoledì ».
Cristiana le sorrise, salutò le compagne che stavano riponendo i palloni, mentre una parte dei neon sul soffitto si spegneva e la palestra piombava nella semioscurità.
Quando uscì le arrivò sul viso l’aria fredda e nebbiosa di quella sera dei primi di marzo, e lei alzò bene il bavero del cappotto a proteggersi la gola. Il suo punto debole. Si beccava non meno di quattro o cinque faringiti ogni inverno, nonostante l’avessero liberata dalle tonsille già da molto tempo. Non era spiacevole
potersene stare ogni tanto lontana dalla scuola e dalle levatacce mattutine ma le mancava la pallavolo, quando era ammalata, le mancavano gli amici.
Casa sua non era lontana, duecento metri appena. Quando aveva iniziato a frequentare la palestra, mamma o papà venivano ad aspettarla all’uscita. Poi lei non li aveva voluti più: nessuna delle sue compagne che abitavano nei dintorni si faceva scortare, e lei non voleva fare la figura della cocca di mamma o della fifona. E poi, aver paura di cosa? La strada era zeppa di lampioni, passava tra due file di palazzine e c’era sempre gente in giro, a quell’ora.
Però a metà del percorso c’era lo spiazzo, che si apriva su entrambi i lati della via. Era un’area sterrata che veniva usata da appendice al parcheggio di un supermercato; a volte vi si fermava qualche roulotte di zingari, o vi veniva alzato il tendone di un piccolo circo. Spesso, di sera, c’erano ragazzini fermi sui loro ciclomotori, e qualche volta l’avevano apostrofata, le avevano detto qualcosa, quando lei era passata di lì. « Bella biondina », l’avevano chiamata una volta, e poi avevano riso. Lei aveva continuato a camminare e a masticare il suo chewing-gum senza girarsi. Di essere bella lo sapeva. E i suoi capelli colpivano tutti: così lunghi, biondi, sempre ornati – era una cosa a cui lei dedicava una cura divertita – di nastrini e fiocchetti.
Lo spiazzo. Non aveva mai avuto paura di passare di lì, e neppure adesso ne aveva; ma il ricordo dell’uomo-della-foto tornava ogni volta che doveva percorrere quelle poche decine di metri privi di case. Era successo qualche settimana prima: accanto al cassonetto dei rifiuti ai margini di quel largo non asfaltato, c’era un uomo strano; quando lei era passata, lui aveva detto: « Ehi! » Lei si era girata allungando il passo, e lui le aveva scattato una foto con una polaroid col flash, uguale a quella che aveva anche papà.
Aveva sentito, in quel momento, che le si arroventavano le guance. Aveva provato qualcosa di più simile all’imbarazzo che alla paura. Dopo qualche passo si era voltata per vedere se l’uomo la seguisse, ma era sparito; e non l’aveva incontrato più, nelle sere seguenti.
A casa non aveva parlato dell’accaduto: avrebbe fatto nascere un sacco di problemi, primo fra tutti quello di dover essere di nuovo scortata su quel tragitto. E poi, come nel momento della foto, provava quasi vergogna: si sentiva in qualche modo in colpa, senza sapere il perché, e c’era una sorta di strano pudore che le avrebbe reso difficile raccontare l’episodio. Solo con Elisa, la sua compagna di banco, l’aveva fatto, e avevano fantasticato che quello, forse, era un tizio che cercava volti nuovi per la tivù o per la pubblicità. Anche se a dire il vero non ne aveva proprio l’aspetto. Col passare dei giorni, prima ne avevano riso, poi non ne avevano parlato più.
Arrivò allo spiazzo ed ebbe la tentazione di affrettare il passo. Ma si costrinse a non farlo: non aveva paura, non c’era ragione di averne, e quindi neppure di correre.
Non c’era gente in giro a piedi, nella sera nebbiosa; passava qualche auto, e per il resto era quasi silenzio. Si sentiva, monotono, il ronzio di una linea di cavi elettrici nell’umidità. Cristiana guardò dalla parte dello spiazzo più ampia e più buia, tirando su meglio il bavero del cappotto e respirandovi attraverso fino a sentirlo caldo e umido sulle guance e a riceverne un senso di protezione.
Poi udì lo scatto di uno sportello che si apriva, e una voce d’uomo: « Ehi, bimba, aspetta, voglio darti la tua foto… »
Lei sentì una scarica di adrenalina esploderle dentro; ma non fece neppure in tempo a girarsi o a gridare, che due braccia forti l’avevano già tirata nell’abitacolo.
   
   
L'AUTORE
Eraldo Baldini è nato a Russi (Ra) e vive a Ravenna. Nei suoi romanzi ha saputo coniugare “gotico rurale”, noir e horror in una vena originale. Fra i suoi libri più recenti ricordiamo: Nebbia e cenere (2004), L’uomo nero e la bicicletta blu (2011), Gotico rurale (2012), Nevicava sangue (2013), tutti pubblicati da Einaudi e tradotti in diverse lingue. Per Fernandel nel 2015 ha pubblicato la raccolta di racconti umoristici Fra l'Adriatico e il West.
      

Knock Knock di Eli Roth

Evan Webber è un affermato architetto, sposato con una scultrice e padre di due bambini. Il giorno della festa del papà, rimasto a casa per completare un lavoro mentre la famiglia è partita per il week-end, Evan riceve, nel cuore della notte, la visita di due belle ragazze, Genesis e Bel, che chiedono il suo aiuto.
Girato da Eli Roth nel 2014, Knock Knock pone, innanzitutto, una questione: troverà un distributore che lo faccia uscire nei cinema italiani? A dire il vero ci sarebbe già una data prevista, 31 marzo 2016, ma sarà davvero così? Sia chiaro, non sarebbe scandaloso se restasse inedito o, com’è probabile, uscisse direttamente per l’home video, capita ad altri autori, ben più importanti, può succedere tranquillamente anche al regista di Hostel. Senza scomodare titoli coreani e giapponesi, che quasi certamente vengono ritenuti troppo ostici, persino The Harvest di John McNaughton è stato colpevolmente ignorato. E però sarebbe l’ulteriore dimostrazione che Roth non gode di grande considerazione, nonostante l’ultimo film confermi quanto di buono (poco, tanto?) aveva fatto intravedere The Green Inferno (arrivato nelle sale con quasi due anni di ritardo, non dimentichiamolo). Con cui condivide produttore (Nicholas Lopez) e parte del cast (Aaron Burns, Ignacia Allamand e, last but not least: Lorenza Izzo). Knock Knock è un piccolo thriller per nulla pretenzioso ma di buona fattura, senza gridarlo ai quattro venti e con un budget si presume modesto, Roth (che non sembra ambire alla nomea di Grande Regista, di Maestro, coerenza da B-director) è riuscito a realizzarlo alla vecchia maniera, teso e del tutto privo di spargimenti di sangue, modernizzato quel tanto che basta (pc, cellulari e ipad hanno un ruolo decisivo). Trattasi del remake di un film del 1977, Death Game, diretto da Peter S. Traynor ma che ricorda anche, per certi versi, un film diretto da Clint Eastwood negli anni Settanta, Brivido nella notte (Play Misty for Me, 1971), non a caso, forse, tra i produttori figura Sondra Locke (protagonista tra l’altro anche di Death Game), ex-compagna e attrice di Eastwood (e a sua volta regista: che Knock Knock fosse dunque un suo progetto? Vai a saperlo). In Brivido nella notte il protagonista è un disc-jockey perseguitato da una donna con cui ha avuto un'avventura, qui Evan Webber (interpretato da Keanu Reeves) è stato un dj in passato, ora fa l'architetto. Proprio la sua professione rimanda a un'opera dalla matrice completamente diversa ma che inizia nella stessa maniera, ci riferiamo all'episodio Il cavalluccio svedese, contenuto in Quelle strane occasioni, diretto da Luigi Magni e scritto da Rodolfo Sonego. Nel quale il personaggio principale è appunto un architetto che, come Evan, resta a casa per lavorare mentre moglie e figlia partono per il mare e deve anche accogliere una bella ragazza, figlia di un suo vecchio amico. Lo sviluppo, trattandosi di una commedia, è del tutto diverso, ma la sensazione è che lo spunto venga proprio da questa pellicola italiana: e non sarebbe la prima volta, per Roth. Girato in un solo ambiente (la villa di Evan), cosa che già di per sé rappresenta una bella sfida, specie quando bisogna creare della suspense, Knock Knock dimostra di avere un buon numero di frecce al proprio arco. A cominciare dall'idea di non prendere le parti di nessun personaggio. Perché se è vero che nella prima parte le ragazze sono tratteggiate prima come disinibite e assatanate e poi via via assumono i contorni di due psicopatiche (più o meno insomma come si aspetta lo spettatore e per il giudizio comune condannabili senza appello), col passare dei minuti si comprende che a Roth interessa mettere a nudo l'ipocrisia del buon padre di famiglia e marito fedele (o far emergere la sua vera natura, quella animale). Un altro pregio del film è la feroce, sadica, triviale ironia che costringe chi guarda ad accettare le regole del gioco (più di una volta le ragazze parlano di “regole” e “gioco”), senza nessuna morale a cui appigliarsi, un gioco che, oltretutto, non esplode mai in vera e propria violenza (come in realtà ci si aspetterebbe). Non vogliamo rivelare troppo, ma l'unica morte in fin dei conti è causata da un incidente. Non c'è catarsi nemmeno nella conclusione, semmai un surplus di humour corr(os)ivo, ai limiti del geniale. Sia chiaro, non abbiamo intenzione di gridare al capolavoro (lo facciamo tutti troppo spesso, salvo ricrederci due mesi dopo), però è un film sorprendente. Per i collegamenti testuali interni (ad esempio, a un certo punto si pensa che possa trattarsi di un sogno, e le ragazze scrivono “non è stato un sogno”), le citazioni, una volta tanto oculate, quella di Fuori orario (di Scorsese, questo sì un capolavoro) e i riferimenti più o meno metaforici (i due bambini, il padre/mostro e la festa del papà, il cane chiamato Monkey e l'amico nero preso in giro razzisticamente dalle ragazze) ed extra-cinematografici (“l'arte non esiste”, i nomi delle ragazze: Genesis, che rimanda alla creazione e al peccato originale, e Bel, dea della mitologia sumera). Insomma, se mai uscirà (ribadiamo) nelle sale italiane, ci sentiamo di consigliarlo proprio come facevano i veri recensori di una volta, perlomeno a chi apprezza il genere.
Per un confronto con Death Game vi invitiamo a leggere l'articolo: Knock Knock vs. Death Game
      
a cura di Roberto Frini
    

Star Wars: Episodio VII - Il risveglio della forza di J.J. Abrams

Un nuovo pericolo minaccia la Galassia: è il Primo Ordine, generato dal lato oscuro della Forza. La giovane Rey salva il droide BB-8 e scopre che in esso vi è memorizzata una parte della mappa che può rivelare dove si è rifugiato Luke Skywalker, l'ultimo degli Jedi. Alleatasi con un disertore, Finn, decide di condurre BB-8 dalla principessa Leia, che guida la Resistenza. Durante il viaggio, incontra Han Solo e Chewbacca. Insieme, si scontrano con il potente e misterioso Kylo Reno, comandante del Primo Ordine. 
Una premessa: se si va a vedere Star Wars – Il risveglio della forza spinti dall'effetto nostalgia, tanto vale lasciar perdere. Il cinema (americano/d'avventura/fantasy/di fantascienza, ma anche mainstream e d'autore), dal 1977 (anno in cui uscì Guerre stellari) a oggi,  è cambiato in maniera esponenziale (se in meglio o in peggio non sta a chi scrive stabilirlo), e probabilmente proprio con il film di Lucas ebbe inizio il mutamento. Non si può quindi mettere a confronto il prototipo, che resta sempre il migliore, seguito a breve distanza da L'impero colpisce ancora, con il film attualmente nelle sale (in quasi tutte le sale, cosa che ha fatto infuriare anche Tarantino: da quale pulpito). D'altra parte non siamo di fronte a un (qualsiasi) remake, di quelli realizzati un tanto al chilo, ma a un sequel che riprende trent'anni dopo la vicenda della Trilogia Originale, interrotta alla fine de Il ritorno dello Jedi (i film successivi, per chi non lo sapesse, raccontano in realtà l'antefatto). Sarebbe da capire quanto Lucas sia stato effettivamente coinvolto in prima persona: l'acquisizione da parte della Disney della sua casa di produzione, la Lucasfilm, potrebbe aver tolto al grande regista e produttore (tanto per dire, consacrato da Camille Paglia con l'iperbolico giudizio di “ultimo grande artista americano”) voce in capitolo nella progettazione del film. Ammettiamo in questo senso la nostra ignoranza: la questione ci appare onestamente più indecifrabile del lato oscuro della Forza. In ogni caso, la designazione di J.J. Abrams come regista non può essere equiparata alle scelte di Irvin Kershner (L'impero colpisce ancora) e Richard Marquand (Il ritorno dello Jedi), poiché l'attuale peso specifico dell'autore di Lost è senza dubbio superiore a quello dei suoi pur bravi predecessori - non a caso è anche co-sceneggiatore e co-produttore. Però va nella stessa direzione. Insomma, la sensazione è che Lucas non se la sentisse di tornare dietro la macchina da presa (per vari motivi, tra cui uno, forse decisivo, che potremmo definire affettivo) e avesse bisogno di un giovane regista specializzato in film d'azione e avventura (suoi sono Star Trek del 2009 e Into Darkness – Star Trek del 2013) che modernizzasse il tutto ma seguendo lo schema base su cui sono stati creati non solo i primi film della saga ma quasi tutte le produzioni della Lucasfilm (risultano abbastanza evidenti i rimandi a titoli come Labyrinth – Dove tutto è possibile e Willow). E bisogna ammettere che Abrams ha svolto il compito in maniera precisa, riuscendo persino ad armonizzare l'alternanza ritmi veloci/ritmi lenti, azione/introspezione (cosa non facile considerati i limiti dei cineasti d'oggigiorno). Ovviamente a un tale risultato è giunto anche grazie all'apporto in sede di sceneggiatura del maestro Lawrence Kasdan, autore degli script di L'impero colpisce ancora e Il ritorno dello Jedi (nonché collaboratore di Spielberg per I predatori dell'arca perduta e regista di film epocali come Brivido caldo, Il grande freddo, Silverado e Turista per caso), sapiente elaboratore di complesse strutture cinematografiche che utilizzano materiali alti e bassi con uguale disinvoltura. Certo, la direzione degli attori non è delle migliori, Harrison Ford e soprattutto Carrie Fisher paiono spaesati, e questo rende meno efficace il pathos che dovrebbe emergere nelle scene di maggiore impatto emotivo (quelle in particolare nelle quali più evidenti risultano gli agganci con la Trilogia Originale: relazione sentimentale tra Han Solo e la principessa Leia eccetera). Manca, inoltre, il tocco esoterico/mistico/filosofico di Lucas, e manca l'apporto dei tanti grandi artisti che mossero i primi passi con Guerre Stellari e hanno fatto poi la storia del cinema; rileggersi i crediti e i non accreditati, please: Richard Edlund, Dennis Muren, Joe Johnston, Dan O'Bannon, Phil Tippett, Bob Keen, Ron Cobb, Rick Baker, Rob Bottin, Doug Beswick, Roger Christian, Paul Hirsch, John Dykstra, Tak Fujimoto, Ronnie Taylor, Lionel Newma, Carroll Ballard: bastano? Siamo di fronte, in conclusione, a uno spettacolo gradevole ma che vive un po' di rendita, senza cadute di tono (ed è già molto) ma anche senza particolari picchi di genialità (se non forse in quella che può essere considerata la sequenza clou, vale a dire l'incontro tra Han Solo e Kylo Ren o nel finale). Ricorda, in questo, l'altro kolossal campione d'incassi dell'anno, Jurassik World. Il cui regista, Colin Trevorrow, dirigerà non a caso il terzo capitolo della Trilogia Sequel.
     
a cura di Roberto Frini
     

Emanuelle e gli ultimi cannibali di Joe D'Amato

Emanuelle, giornalista di un periodico scandalistico di New York, va in Amazzonia, con l'etnologo Mark Lester, alla ricerca di una tribù di indios antropofagi, che si riteneva estinta. Alla spedizione, organizzata dal giornale, si aggregano la figlia di un "fazendero", una suora diretta alla missione e due coniugi, che si fingono cacciatori mentre in realtà vogliono ritrovare due sacchetti di diamanti nascosti in un aereo da turismo precipitato nella giungla. Finiranno tutti, tranne Emanuelle, Lester e una ragazza da loro fortunosamente salvata, in pasto ai cannibali. (Fonte: Comingsoon)
All’inizio vediamo Emanuelle, celebre fotoreporter sempre impegnata in servizi sensazionali, ricoverata sotto mentite spoglie in un manicomio femminile. Si porta appresso una bambola, che le serve per scattare fotografie senza essere scoperta. Un’infermiera viene aggredita da una paziente, che le stacca a morsi un seno. Emanuelle scopre un tatuaggio vicino al pube della ragazza, e capisce che appartiene a una tribù di cannibali. Insieme a un antropologo, Mark Lester, organizza una spedizione in Amazzonia, dove è segnalata una delle ultime tribù antropofaghe. Il gruppo dovrebbe raggiungere una missione ma prima d’arrivarci vengono a sapere che la missione è stata attaccata dai cannibali e che non vi sono superstiti. A Emanuelle e a Mark si unisce la figlia di un amico di Mark e, avanzando nella foresta, incontrano un cacciatore e sua moglie. I due in realtà stanno cercando un tesoro. Aggrediti e catturati dai cannibali, i membri della spedizione vengono trucidati uno ad uno, ma Emanuelle, Lester e la ragazza riusciranno a salvarsi, grazie alla reporter che fa credere ai cannibali d’essere la dea del fiume.
In Emanuelle e gli ultimi cannibali i generi sono talmente mischiati che alla fine non si sa bene come definire il film, se un horror, un soft-core, un film d’avventura o un cannibal-movies. Eppure affascina sin dalla prima (scioccante) sequenza. Joe d’Amato era un regista che prendeva sul serio anche la vicenda più assurda. Nel senso che cercava sempre di dirigerla al meglio. Non aveva tantissimi soldi (più di quanti potesse spenderne negli ultimi tempi, comunque), era obbligato a inserire una scena erotica ogni dieci minuti, e andava quasi sempre a ruota di qualche successo altrui. In questo caso i cannibalici di Deodato e i mondo-movies, oltre naturalmente alla Emanuelle nera di Bitto Albertini. Da tutto ciò tira fuori un film che lascia il segno, ben girato, indubbiamente influenzato dallo stile ruvido di registi d’oltreoceano come Romero, Cronenberg e Hooper. Curato, con alcune scene costruite su una buona intuizione narrativa, ad esempio l’uso del montaggio alternato quando Emanuelle ricorda la notte d’amore trascorsa insieme a Lester, tecnica con cui D’Amato trasforma un’esigenza produttiva in grande cinema; e va sottolineata la bravura del Massaccesi direttore della fotografia. Come non mancano le scene erotiche, comprese quelle saffiche (un classico dell’epoca), D’Amato non lesina certo sui particolari raccapriccianti. Resta impressa la colonna sonora di Nico Fidenco, con alcune canzoni che sembrano anticipare la struggente nostalgia postuma per un cinema ormai morto e sepolto.
     
a cura di Roberto Frini
   

Il Grande Libro dei Misteri Irrisolti di Colin e Damon Wilson

Il 21 dicembre 2012 è stato sfatato uno dei più famosi e famigerati misteri (o presunti tali) dell’umanità. Film, libri, e trasmissioni ci hanno riempito fino alla nausea, tanto che il giorno dopo ho tirato un sospiro di sollievo, non per lo scampato pericolo e la sfumata fine del mondo, ma per la dolce  prospettiva della fine di un’ossessione che aveva contagiato migliaia di persone.
A tre anni ormai di distanza dalla chiusura di quel calendario Maya che aveva suscitato tanto clamore, mi sono imbattuto in un “librone” che ha stuzzicato la mia curiosità, vuoi per la copertina, dove sono raffigurati nell’ordine la Sacra Sindone, un disco volante, il mostro di Lock Ness e un cerchio nel grano, vuoi per il titolo, intrigante, oscuro, da colossal hollywoodiano: Il Grande Libro dei Misteri Irrisolti.
Scritto da Colin e Damon Wilson, il libro di 670 e passa pagine fornisce il resoconto dettagliato degli studi di ricercatori, accreditati e non, sui più intriganti enigmi dell’umanità, toccando argomenti noti, come il mito di Atlantide, gli UFO, il triangolo delle Bermuda e alcuni meno conosciuti, ma che hanno una cospicua dose d’inesplicabilità: il “popolo segreto”, il mistero di Glozel, l’Uomo Grigio del Ben MacDhui.
Addentrandosi nella lettura, è possibile trovare nomi e storie note: vampiri, fate, Re Artù e Merlino, Jack lo squartatore, la Monna Lisa, niente di meno che Agatha Christie, Glenn Miller e William Shakespeare. C’è poi la cometa di Velikosky con la quale si spiega in un colpo solo la nascita del pianeta Venere, la fine di Marte come probabile “pianeta verde” e, giusto per rendere più densa la storia, le devastazioni che hanno sconvolto la Terra nel 3.500 avanti Cristo.
Gli appassionati di Voyager troveranno un capitolo dedicato ai misteri di Rennes-le-Château e dell’oscuro Béranger Saunière, un racconto che va a scomodare uno degli ordini dei monaci combattenti più noti di sempre, i Templari.
La lista è lunga e colorita, che si adatta agli interessi e alla curiosità di un pubblico vasto ed eterogeneo, peculiarità che fa capire come il libro sia stato concepito per cavalcare quell’onda letteraria che unisce mistero e catastrofismo, con un pizzico di sensazionalismo che, in genere, garantisce lauti guadagni ai fortunati scrittori.
Tuffarsi in questa folta carrellata di eventi, persone e luoghi che spesso richiamano un tempo lontano, dove la nostra civiltà stava muovendo i primi, timidissimi passi, può essere un modo divertente per passare una serata, anzi, più di una vista la quantità di carta che si ha tra le mani.
Quello che però mi ha lasciato perplesso, e a conti fatti deluso, è la mancanza di un richiamo al calendario Maya: il 21 dicembre scorso non c’è stata nessuna nuova e rapidissima deriva dei continenti, non c’è stata nessuna invasione aliena e nessuna presa di consapevolezza da parte dell’umanità, quindi mi sarei aspettato un capitolo dedicato a questo nuovo mistero: perché i Maya hanno sbagliato?
Bé, nel frattempo il “mondo è andato avanti”, i Maya hanno bruciato i loro “quindici minuti di gloria” e questo libro si può leggere in tutta tranquillità, senza pretese d’illuminazione, magari con un bel sorriso incuriosito e/o divertito sulle labbra.
 
SCHEDA
Il Grande Libro dei Misteri Irrisolti
Autori: Colin e Damon Wilson
Editore: Newton Compton Editori
Edizione: 2012, pagine 670
Codice ISBN: 978-88-541-3754-7
       
a cura di Stefano Milighetti
     

L'amore ai tempi dell'apocalisse - Edizioni Galaad

La redazione GHoST segnala L'amore ai tempi dell'apocalisse, antologia di ventidue racconti da un futuro prossimo edita da Galaad Edizioni e curata di Paolo Zardi.
La fine del mondo è vicina: lo è sempre stata, a dar retta ai catastrofisti della prima e dell’ultima ora. Per qualcuno, forse, è già arrivata, perfino passata, trascinando via con sé i peccati e lavando le coscienze. Per altri è adesso, l’ora di questo tempo frastornato, vile, dove bussole impazzite indicano una rotta inesistente e i fiumi sembrano a un passo dallo scorrere al contrario. Ventidue autori hanno provato a raccontare, sullo sfondo di questi scenari apocalittici, l’essenza di un sentimento che sopravvive nonostante tutto, l’amore, declinandolo in storie tenere e folli, malinconiche e sensuali. Che fiorisca in un quartiere a luci rosse o in un desolato mondo lontano, che si consumi tra umani, entità aliene o macchine, l’amore appare come l’unico potente legame in grado di ancorarci alla nostra vera natura. Tra muri che crollano e certezze che si sbriciolano al doppio sole di universi paralleli, questi racconti da un futuro prossimo ripropongono il vecchio leitmotiv di Eros e Thanatos, quell’infinito ed eterno abbraccio tra amore e morte capace di farsi beffe di qualunque apocalisse.
Hanno partecipato all’antologia:
Francesca Bonafini, Denise Bresci, Simona Castiglione, Piergiuseppe Cavalli, Francesco Coscioni, Federica De Paolis, Caterina Falconi, Dario Falconi, Valentina Ferri, Emanuele Kraushaar, Roberta Lepri, Nicola Manuppelli, Matteo Moscarda, Nicola Pezzoli, Marco Piazza, Ugo Polli, Michele Ruol, Marina Sangiorgi, Ilaria Vajngerl, Carlo Vanin, Silvia Zagolin e Paolo Zardi.
L'amore ai tempi dell'apocalisse, Anno: 2015, pagine: 300, Editore: Galaad Edizioni.
    

Ritratto in rosso di Bert I. Gordon

Nel 1989 Bert I. Gordon realizza un film che seppur modesto perlomeno si rende guardabile visto il pubblico di riferimento a cui è destinato e cioè quello televisivo.
Satan's Princess titolo originale e più azzeccato del discutibile titolo italiano, rimane un mix calibrato di tensione, sesso e sangue senza particolari eccessi.
La storia narra la vicenda di un poliziotto in pensione che è perseguitato da un'antica maledizione mentre indaga sulla sparizione di una ragazza che si presume affiliata ad una setta dedita alla magia nera.
Nonostante i personaggi stereotipati e la sceneggiatura lineare e senza fronzoli di Stephen Katz non ci si annoia merito anche di una regia corretta e senza sbavature che riesce ad imprimere alla pellicola un'atmosfera continuamente minacciosa.
Finale che scade nel trash con il look della strega che ricorda non poco quello del killer alieno di Predator di John McTiernan (1987) e che penalizza un po' la conclusione di un prodotto senza infamia e senza lode.
   
a cura di Andy Effendi
    

La leggenda della Giubiana - Edizioni Il Ciliegio

La redazione GHoST segnala l'uscita, nella collana Le mie prime letture, pubblicato dalle Edizioni Il Ciliegio, una nuova versione, che racconta appunto La leggenda della Giubiana. A scriverla e a illustrarla ci ha pensato Chiara Civati che è un’autrice e un’illustratrice di libri per l’infanzia. Chiara Civati vive e lavora a Montorfano, in provincia di Como. Per la Brianza, regione che unisce appunto le provincie di Como, Lecco e Monza, la festa delle Giubiana è un’antica tradizione contadina ancora viva e celebrata. Sono tante le storie che ammantano di mistero la vicenda di questa strega e del perché, in suo onore, si cucina il risotto con la luganega, la Civati non si scosta dalla tradizione popolare pur riuscendo a essere originale.
Un agile libricino che, attraverso l’intreccio di un testo scorrevolissimo con dei giochi finali ammantati di colore e divertimento, rispolvera il ricordo di storie passate ed esorcizza la paura dell’ignoto e delle creature misteriose, evidenziando come la furbizia e il coraggio possano aiutare a sconfiggere anche il male più oscuro.
Nei boschi dell’Italia settentrionale, viveva una strega chiamata Giubiana. Cattiva a più non posso e sempre pronta a proiettare i suoi scherzi contro chiunque incrociasse lungo il cammino, si nutriva di bambini. Fino a quando, un giorno di gennaio, mentre era alla ricerca di cibo, si ritrovò davanti alla finestra di una casetta. Qui, in una stanza illuminata, stavano una mamma e il suo bambino.
La strega, felicissima per quella visione, pregustava con ansia il momento in cui avrebbe agguantato il piccolo. Ma la sua si rivelò una vana speranza. La mamma, infatti, era assai astuta e avendo visto la Giubiana dalla finestra, per riuscire a sconfiggerla pensò di attirarla in un tranello.
Dopo aver portato il figlio “nella stanza accanto”, cominciò a cucinare un buonissimo risotto con la salsiccia, sicura che la strega ne sarebbe stata attratta. E così fu. La Giubiana, affamata, prese a mangiarlo e quanto più mangiava tanto più diventava incapace di fermarsi.
Era così presa da quella pietanza che dimenticò l’avvento dell’alba e quando i primi raggi di sole apparirono all’orizzonte, scomparve, uccisa dalla luce. Ancora oggi, in alcuni borghi, si festeggia la sua sconfitta, bruciando un fantoccio che ne ha le sembianze e mangiando il risotto che l’ha vinta, come auspicio di prosperità e serenità per il nuovo anno.
La leggenda della Giubiana, Anno: 2015, pagine: 36, Codice ISBN: 978-88-6771-243-4,
Collana: Le prime letture, Editore: Il Ciliegio Edizioni. 
 

Black Cat di Lucio Fulci

Black cat (Il gatto nero), girato da Lucio Fulci nel 1981 e scritto da Biagio Proietti, è ispirato molto liberamente al celebre racconto di Poe. Chissà perché tra gli horror del “periodo d’oro” fulciano è il meno considerato dagli studiosi ma anche dallo stesso Fulci, che in un’intervista rilasciata a Marcello Garofalo (pubblicata su un Nocturno Dossier) lo definiva un film “debole”. Racconta di un parapsicologo che studia le voci dei morti e che per vendicarsi degli abitanti del paese che lo considerano un profanatore di tombe e lo emarginano, ipnotizza un gatto nero e lo spinge a uccidere, tra gli altri, la figlia della donna che lo ha lasciato, la donna stessa e un ubriacone che sparla di lui. Il gatto però sembra posseduto da un’entità diabolica (o dalle anime dei morti?), tanto che Miles non riesce più a controllarlo e temendo che voglia ucciderlo lo sopprime impiccandolo. Ma il gatto resuscita e alla fine, quando Miles cerca di liberarsi della fotografa che ha scoperto le sue responsabilità murandola viva (senza accorgersi che ha murato anche il felino) ne rivela il luogo alla polizia miagolando (finale simile a quello di Sette note in nero). Nonostante la figura del gatto domini la vicenda portando Black cat sui generi mostri e belve feroci, si tratta comunque di un film che potrebbe tranquillamente rientrare nel sottogenere degli assassini o in quello del sovrannaturale, poiché Fulci inserisce nella vicenda spunti che rimandano ai suoi film sui morti viventi. Questa creatività registica, l’atmosfera misteriosa e alcune sequenze ben costruite rendono Black cat un film del terrore di notevole interesse, tra l’altro meno cruento e sanguinoso dei coevi fulciani, più thriller sovrannaturale che gore puro.
   
a cura di Roberto Frini
    

Write for Paris - Contest letterario

"Ultimo minuto. Cosa stavo facendo prima che mi uccidessero": è questo il titolo del contest letterario indetto dalla Scuola Internazionale di Comics a seguito dei tragici avvenimenti avvenuti a Parigi lo scorso 13 novembre. 
La Scuola invita tutti a cimentarsi in questa difficile tematica per scuotere le coscienze anestetizzate dai filtri degli schermi televisivi. Il contest è aperto a tutti (esclusi gli iscritti alla Scuola Internazionale di Comics). Il racconto deve essere di massimo 1800 caratteri (spazi inclusi) e dovrà essere inviato entro il 20 dicembre 2015.
L’autore del migliore racconto potrà partecipare gratuitamente al corso di Scrittura Creativa anno accademico 2015-2016 presso la sede di Roma.
Sempre pensando ai fatti di Parigi, nella sede di Roma della Scuola è stata allestita la mostra di fumetti e illustrazioni dal titolo “Oriente e Occidente” che rappresenta un monito all’unione e alla solidarietà fra territori che anche se separati dai mari e da diverse culture condividono lo stesso cielo.
La mostra è ad ingresso libero e durerà sino al 22 dicembre. Si potrà visitare presso i locali della Scuola Internazionale di Comics all’indirizzo Circonvallazione Ostiense 80 (metro Garbatella) nei seguenti orari 10:30-12:30 e 15:30-18:30.
  
  

Zombie Lake di Jean Rollin


Nel 1981 Jean Rollin con la collaborazione di Jess Franco alla sceneggiatura realizza questa pellicola priva di mordente e abbastanza noiosa, prendendosi una pausa dai suoi lisergici films a base di lesbo-vampire e catapultate in contesti onirici.
Pur non rinunciando al consueto erotismo, Zombie Lake (Le lac des morts vivants) è in verità un melodramma camuffato da horror con un ritmo decisamente lento e soporifero che narra di un gruppo di militari delle SS e col volto verdastro che risorgono dalle profondità di un lago dopo che un'affascinante fanciulla dalle nudità sensuali vi si è immersa per un bagno rigenerante.
Non ci metteranno poi molto a raggiungere un villaggio di contadini seminando terrore e morte ovunque.
Ma la messa in scena poveristica e di maniera e lo script assai stereotipato non aiutano di certo a risollevare le sorti di un prodotto che inizia male e finisce pure peggio.
Mancano infatti quei guizzi visionari che caratterizzano lo stile onirico di Rollin, e il tutto si perde in un pastrocchio di rara sciatteria che solamente gli amanti del trash potranno gradire.
  
a cura di Andy Effendi
  

Altrisogni Vol. 2 - Edizioni Dbooks

La redazione GHoST segnala l'uscita del volume due di Altrisogni, la rivista digitale di narrativa fantastica trasformatasi di recente in una collana di antologie.
A pochi mesi dall’uscita del volume precedente, ecco pronta per il download una nuova selezione di racconti inediti: sette opere di autori italiani noti, meno noti ed esordienti, che spaziano dal fantasy tecnologico alla fantascienza ironica, passando per l’horror gotico e quello più cupo.
In questo secondo volume del "nuovo corso" di Altrisogni si inizia a intravedere - pur con una forte presenza di horror, a partire dalla copertina - quella varietà di sfaccettature del fantastico che i curatori del progetto mirano a far diventare uno dei tratti distintivi della loro collana.
Viene ospitato infatti un racconto Fantasy di ambientazione medio-orientale, a opera di Francesca Angelinelli; un Techno-fantasy di ambientazione giapponese, grazie alla penna esperta di Stefano Di Marino; un Horror gotico, offerto da Lia Tomasich; un Horror contemporaneo, di Mirko Dadich; un ironico e sveltissimo racconto Sci-fi, di Roberto Guarnieri; un Horror/Weird "on the road", dell'esordiente Luca Guiso e una inaspettata horror/black-comedy firmata da Matteo Pisaneschi, autore che con questo racconto ha vinto il Premio Speciale Altrisogni 2014 (all'interno del Premio Crawford 2014).
Un mix di generi e suggestioni insomma in grado di soddisfare ogni gusto.
La potente immagine di copertina è opera di Paolo Lamanna, illustratore professionista che già aveva arricchito Altrisogni Vol. 1 e che qui arriva a giocare con le decise atmosfere horror di una inquietante apocalisse zombie.
La rivista è acquistabile sul sito dell’editore dbooks.it al prezzo di 2,99 euro 
(http://www.dbooks.it/libreria/scheda/180/6/narrativa/altrisogni-vol.-2.html) e su Amazon.it (http://www.amazon.it/Altrisogni-Vol-Antologia-narrativa-fantastica-ebook/dp/B016H6ZY06) nei formati ePub e Mobi. Ideatori e curatori del progetto sono Christian Antonini e Vito Di Domenico.
      
Per informazioni e approfondimenti:
Sito dell’editore: www.dbooks.it; Blog Altrisogni: http://altrisogni.blogspot.com.
La redazione di Altrisogni è presente inoltre sui maggiori social network: Facebook, Twitter, GooglePlus, YouTube.
         

La notte dei diavoli di Giorgio Ferroni

Capitato casualmente in casa di una famiglia di contadini, un giovane entra in contatto con degli zombi. Il trauma lo conduce in una clinica psichiatrica. (Fonte: Ibs)
Il film che Giorgio Ferroni diresse nel 1972 è tratto dal racconto “I Wurdalak” di Aleksej Tolstoj. Non è la prima volta che il cinema italiano prende spunto da questo racconto. Lo fece già Mario Bava nell’episodio omonimo di I tre volti della paura, con Boris Karloff. Le differenze tra le due versioni saltano all’occhio e la dicono lunga sull’originalità con cui Ferroni affronta il genere. Diversamente da Bava, Ferroni dà poca importanza all’eleganza visiva del suo film, che anzi in certi momenti sembra addirittura scialbo e tirato via. Ma bisogna tener conto dell’epoca in cui è realizzato, e dell’influenza che sul genere (sia dal punto di vista stilistico che tematico) aveva avuto il capolavoro di Romero La notte dei morti viventi, tra l’altro citato apertamente da Ferroni nella scena della madre e della bambina. Anche qui si parla di morti che ritornano, d’altra parte, anche se è del tutto assente la motivazione scientifica e la lettura sociologica e politica di Romero. Prevale invece la dimensione allucinatoria e, se vogliamo, psicologica. Prevale, soprattutto, una luminosità pallida, più importante del buio e delle ombre, una luce fredda che sembra simbolizzare l’aridità e la crudeltà umana. Il protagonista, interpretato da un ottimo Gabriel Garko, giunge in una sperduta fattoria e scopre il mistero dei Wurdalak, morti che hanno paura della solitudine e che tornano per uccidere i propri cari e condurli nell’oltretomba. Ma è tutto vero o è soltanto frutto della sua follia? Il finale, raggelante, in cui l’uomo uccide la ragazza che lo ama (Agostina Belli), mantiene l’ambiguità. Come detto, ne La notte dei diavoli è evidente l’influenza romeriana ma anche quella de L’invasione degli ultracorpi ed è altrettanto evidente che il film di Ferroni ha poi a sua volta ispirato una gran quantità di pellicole del terrore, da L’ululato di Joe Dante a La casa di Sam Raimi. Gli effetti speciali, non proprio raffinati, non fanno che accentuare l’atmosfera angosciante, che raggiunge l’apice nell’insistita, pre-fulciana attenzione con cui Ferroni segue la decomposizione dei Wurdalak.
    
a cura di Roberto Frini
    

Nemesi di Donatella Perullo

Una subdola invasione aliena che trasforma gli esseri umani in antropofagi, uno scienziato, Grimm Reaper, che scopre un siero miracoloso, la Spes, in grado di generare una nuova razza di immortali.
L’apocalisse, e pochi sopravvissuti che cercano disperatamente di aver salva la vita.
Nemesi è un romanzo dalle tinte forti, con scene violente e raccapriccianti, capaci di far breccia nell’immaginazione del lettore: “… il giovane allora perse ogni freno, la paura gli annebbiò i sensi. La colpì di nuovo, più forte di prima e la colpì ancora e ancora, fin quando la sua testa non fu ridotta a un ammasso informe e sanguinolento ed ella non si accasciò al suolo, immobile …”.
Persone comuni che si ritrovano catapultate in un nuovo mondo dove il male avanza alla ricerca di carne umana, dove faranno di tutto per restare se stessi. Il barista Mario ed Erika, il poliziotto Thiago, Miriam, veterinaria figlia di Grimm Reaper, colui che diventerà il dittatore assoluto a capo delle nuove divinità che dispensano morte e si innalzano a giudici implacabili e spietati del destino dell’umanità.
L’autrice, Donatella Perullo, ha dato vita a un nuovo genocidio dove gli esseri umani diventano bestie d’allevamento, passando da predatori a prede: “… e il modo di marciare dei militi le riportò alla memoria storie d’orrori d’altri tempi, narrazioni di stermini e genocidi che il presente riusciva assurdamente a sminuire …” e ancora:
“…«Sono la nostra fonte di sostentamento. Non possiamo permetterne l’estinzione, il tuo compito sarà quello di catturarli e radunarli in un ghetto. In cattività potranno continuare a vivere e a riprodursi.» …”.
Scene d’azione adrenaliniche, un orrore e una brutalità che si percepiscono pagina dopo pagina, un romanzo, Nemesi, che ha iniettato nuova linfa in un genere nel quale si sono cimentati in tanti, il più delle volte con scorso successo. È invece questo l’esempio opposto: è una storia ben concepita, ben strutturata e che, grazie a uno stile snello e a un ritmo al cardiopalma, si fa leggere con piacere, trascinando il lettore in un incubo a occhi aperti che difficilmente potrà dimenticare.
Il finale è aperto quindi, si può sperare, che presto ci sarà un seguito e ritroveremo così Thiago e Miriam a combattere contro gli dei creati da Grimm Reaper.

SCHEDA
Nemesi
Autrice: Donatella Perullo
Editore: auto-produzione
Edizione: 2015, pagine 89
in formato Ebook Kindle Amazon
Codice ASIN: B00YBB9RLM

a cura di Stefano Milighetti
   

Come una crisalide di Luigi Pastore

Esordio alla regia per Luigi Pastore dopo una manciata di cortometraggi horror per un thriller sanguinolento dalla forte matrice argentiana.
Coadiuvato dall'estro creativo di Antonio Tentori alla sceneggiatura che ne realizza una assolutamente criptica e si vede fin da come è impostato l'incipit: totalmente incentrato sulla figura dell'assassino che videocamera alla mano inizia la sua personale e feroce vendetta verso quella società (il finale del film è emblematico in proposito) che lo ha abbandonato e rifiutato a cominciare proprio dalla sua analista che massacrerà senza pietà alcuna.
Ossessionato dai propri tormenti interiori questo lucido psicopatico si confronta più spesso col suo lato oscuro e ponendo domande di natura etico-filosofica alle sue vittime (la scena del prete pedofilo è palese) prima di trucidarle nei modi più selvaggi.
La regia di Pastore è ben ritmata, complice anche il montaggio rapido che amplifica il senso di smarrimento nello spettatore immerso in un clima surreale e onirico allo stesso tempo senza rinunciare alle morbosità di un erotismo torbido che si concede in più di un'occasione e a quella sensualità dell'omicidio che è sempre stata una costante di certo thriller all'italiana e (l'omicidio della ballerina nel locale di lap-dance che è anche una splendida citazione al Tenebre di Dario Argento, e quello di una prostituta e di un suo cliente) senza dimenticare il sadismo dei coevi torture-porn americani.
Gli effetti speciali delle coltellate e di altri feroci delitti con gran spreco di sangue sono curati da Sergio Stivaletti e la sua equipe Apocalipsys e risultano assai efficaci e disturbanti.
Quello che però non mi ha convinto è sicuramente la fotografia fin troppo fredda da rendere la pellicola artificiosa e stemperando quella tensione emotiva che in questo tipo di prodotti è fondamentale.
Nel complesso Come una crisalide è un discreto film con una sua personalità ben precisa e realizzato con un budget irrisorio che pur non offrendo una storia particolarmente originale ha il pregio di incuriosire lo spettatore con una sapiente dose di citazioni cinematografiche e sottile black humour che traspare qua e là come nelle migliori pellicole dei bei tempi andati.
  
a cura di Andy Effendi
  

iL Lepidrurno - Kindle Amazon

La redazione GHoST segnala iL Lepidrurno, la nuova opera di Francesco Basso.
Vi siete mai chiesti perché il più delle volte dietro a una sparizione c'è un delitto?
In una società distopica gli omicidi vengono pianificati. Le vittime e i carnefici diventano i veri protagonisti dei palinsesti televisivi.
Alpha è un ragazzo tormentato, ama Beltà ma lei sta per essere promessa definitivamente a Ontex. Bernadeath d'altro canto è innamorata di Alpha, ma lui non lo sa. Al party organizzato dalle famiglie dei fidanzati accorrono tutti gli amici del liceo, ma accade l'inspiegabile. Il tempo e lo spazio diventano un ricordo lontano. Bernadeath nauseata dal party esce a fumarsi una sigaretta viene sorpresa da due amici di Ontex, Jin e Natan. I giovani vogliono stuprarla. Nel mentre, Alpha bacia Beltà e viene sorpreso da Ontex che, furente, lo insegue per picchiarlo. Alpha scappa e assiste al tentativo di stupro. Bernadeath per sfuggire ai suoi aggressori si trasforma in farfalla, Gin riesce a prendere l'insetto e lo fa ingoiare a Alpha. Il ragazzo è vittima di una trasformazione straordinaria, diventa il Lepidrurno.
In un mondo ossessionato dalla tecnologia, dai media, dalla tv, i ragazzi per sfuggire ricorrono a droghe sempre più forti mentre sono vittime sacrificali della società. In questo mondo guidato dai Druidi, un nuovo essere grida vendetta: il Lepidrurno...
iL Lepidrurno, Anno: 2015, pagine: 129, Codice ASIN: B0178F38IA, Autoprodotto. 
   
Un assaggio dell'opera
Bernadeath è all'aria aperta, sull'attico, in mezzo alla spiaggia. Curve, contorni, diramazioni, non esiste più niente. E' triste, si sente sola. Alpha l'ha delusa profondamente, non si sarebbe mai immaginata una simile improvvisata. Se ne accende una, nervosa, la fuma tutta d'un fiato, se ne accende un'altra.
“Ciao Berny, nervosa?”.
Una voce davanti a lei, nell'oscurità data da certe nuvole, è Gin, accompagnato da Natan. Anche loro si sono defilati, erano lì sopra chissà da quanto tempo, oppure l'hanno seguita.
Comunque Berny si spaventa.
“Che c'è? Ti abbiamo messo paura? - borbotta Natan.
“Sì”.
“Ci spiace” - osserva Gin.
Avanzano in modo veloce. Cattive intenzioni. Lei lo nota. Cerca di scappare ma Natan l'afferra per i capelli, la fa inginocchiare. Un urlo unico, inafferrabile.
Vogliono stuprarla.
Lei vorrebbe essere altrove, vorrebbe scappare, volare via.
Le braccia si contorcono, si fanno violacee, si spaccano, liquido giallo fuoriesce dalle vene, si miscela di azzurrino.
Le gambe si sfaldano, si fanno più piccole, ali fuoriescono dalla porpora schiena, la testa si snatura, Bernadeath è altrove.
Sta mutando.
Le grida, Alpha ha sentito qualcosa, si ridesta. In lontananza Camma e Samma che cercano di far placare l'ira di Ontex. Corre.
Terrazza sgomenta, vede un corpo grande come uno sgabello mutare, è una farfalla blu, con le zampette che oscillano sul pavimento, le gambe bagnate che sbraitano tra le ringhiere.
Gin e Natan addosso all'insetto.
E' cambiata.
“Cosa le state facendo bastardi” - strepita Alpha.
La botta di prima l'ha reso senza forze, è incredulo, una farfalla vestita e riconducibile per mistificazione a Bernadeath. E' lei, ne è sicuro.
“Sei arrivato stronzo. La faremo pagare a te che hai baciato chi non dovevi e alla stronzetta della tua amica che fa la difficile” - sentenzia con ghigni Gin. Immobilizza Alpha.
Natan prende fra le mani Bernadeath.
Da bruco a farfalla.
Infinito irrealizzabile.
L'insetto nel pugno.
L'urlo muto di Alpha, Natan lo fa piegare in ginocchio, la bocca aperta, Gin gli tende l'esserino, cerca di chiuderla, non ce la fa, Natan gli tiene la bocca aperta, Gin cerca di inserirgli a fatica il corpo bluastro.
In bocca.
Le zampe che fuoriescono, gli massaggiano la faccia, poi agonizzano sulle guance. Fluido celeste sulle gote. Raggi vermigli negli occhi, la testa insettivora si squaglia fra i denti del ragazzo.
Alpha soffoca.

   
L'AUTORE
Francesco Basso nasce il 20.06.1985 a Sanremo
Vicedirettore de L'ECO DELLA RIVIERA, testata giornalistica fondata a Sanremo nel 1915, collabora con la televisione PRIMOCANALE GENOVA,  pubblica la tesi di laurea in Scienze dello Spettacolo della facoltà di Lettere e Filosofia di Genova dal titolo Lucio Fulci le origini dell'horror per il Foglio Letterario di Piombino.
Il racconto il "Cacciatore di Cuori" è stato pubblicato per l'antologia Dritto al Cuore promossa dall'Ospedale Bambin Gesù di Roma insieme a scrittori del calibro di Carlo Lucarelli e Andrea G. Pinketts
Il racconto "Venerdì Santo" fa parte dell'antologia Savona in Giallo pubblicata da De Ferrari.
Il racconto "Il Boia" fa parte dell'antologia Parole Per Strada Rovereto.
  

I sotterranei della cattedrale di Marcello Simoni

Nell’inverno del 1789 la monotona vita universitaria della città di Urbino è sconvolta da una serie di morti misteriose, il cui unico, apparente legame, è il dedalo di gallerie e cunicoli scoperto sotto la cattedrale dopo il crollo della cupola.
Vitale Federici, dottorando in filosofia, andrà a fondo della vicenda, scoprendo così una verità che in molti vogliono tenere nascosta: l’esistenza, nel sottosuolo di Urbino, di un antico tempio romano consacrato alla Ninfe e custodito dall’Ombroso, creatura innominabile temuta da tutti gli urbinati, il coinvolgimento di un ordine segreto che annovera nelle sue fila alti e insospettabili prelati.
Il thriller I sotterranei della cattedrale di Marcello Simoni ha due evidenti punti di forza. Il primo è la meticolosa ricostruzione storica: grazie a una dovizia di particolari, dai tappeti alle pipe, dall’abbigliamento alla città stessa, il lettore riesce a vedere e a percepire in maniera nitida non soltanto il “quando”, ma anche la vita intellettuale di una delle più antiche e prestigiose università d’Europa.
Secondo elemento vincete è il ritmo: serrato, tesissimo. Con l’incalzare dei fatti che trasforma la storia in una lunga concatenazione di eventi che avvinghia il lettore fino alle battute finali. Un’esposizione martellante e senza troppi fronzoli che, a differenza de I custodi della biblioteca di Glenn Cooper, si adatta perfettamente al romanzo e non fa percepire al lettore nessuna carenza narrativa.
Condito infine con una punta di romanticismo, frutto del legame d’amore appena tratteggiato che unisce Vitale alla bella Lucrezia, I sotterranei della cattedrale si rivelata un libro vincente e avvincente, che ben si adatta a tutti gli appassionati sia di romanzi storici che di gialli per così dire “nostrani”: mentre le pagine scorrevano sotto ai miei occhi e il protagonista compiva le sue incredibili deduzioni con l’uso della sola ragione (siamo infatti ben lontani delle indagini in stile CSI dove la tecnologia fa la parte del leone!), ho avuto l’impressione di trovarmi davanti a un don Matteo di fine ‘700 impegnato in una delle suo avventure all’ombra della croce. Mancava soltanto la bicicletta.
         
SCHEDA
I sotterranei della cattedrale
Autore: Marcello Simoni
Editore: Newton Compton Editori
Collana: Narrativa n. 225
Edizione: 2013, pagine 128
Codice ISBN: 978-88-541-5245-8
       
a cura di Stefano Milighetti
         

Pensiero del giorno - Donald Pleasence 31/10/2015

L'ho incontrato quindici anni fa era... come svuotato. Non capiva, non aveva coscienza non sentiva anche nel senso più rudimentale né gioia né dolore, né male né bene, né caldo né freddo... spaventoso. Un ragazzo di sei anni con una faccia atona, bianca, completamente spenta e gli occhi neri... gli occhi del diavolo. (Donald Pleasence in Halloween - La notte delle streghe)
 
   

Macabro, I mostri non muoiono - Edizioni Kimerik

La redazione GHoST segnala Macabro - I mostri non muoiono, opera horror di Fabrizio Maceroni, un libro con un percorso che vuole introdurci nella quintessenza del sentimento del macabro. Il lettore è condotto fin dalle prime righe in un’atmosfera di mistero e di rivelazione che fa di queste pagine un racconto iniziatico in prima persona attraverso le parole e le esperienze del protagonista. Non si lasci intimorire il lettore dal sapore criptico e oscuro della prosa dell’autore, prosa che si alterna tra periodi difficili ad altri di gradevolissima e scorrevole lettura; non si lasci sconcertare dalla bassezza efferata di certe scene, che servono semmai ancor di più a marcare l’elemento del macabro nella narrazione, a indagare il lato corrotto dell’animo umano, perché fra queste pagine si aprono, a volte inaspettate, immagini vivissime che catturano l’immaginazione di chi vi si imbatte per una prima lettura, storie di così forte inventiva da lasciare turbata la mente del lettore, e se il turbamento è il sentimento che l’autore vuol suscitare nella narrazione di questo particolarissimo racconto nero, c’è da dire che ci è riuscito senz’altro. Macabro è la storia della curiosità e dell’impertinenza di alcuni ragazzi della provincia toscana che sfidano i limiti imposti dalle circostanze e dalla consuetudine.
Il libro edito da Kimerik Edizioni, disponibile anche in versione ebook, sarà presentato dall'autore il 13 novembre alle ore 18:00 presso la libreria "Nuova libreria di Bernardini e Bersotti snc" a Grosseto in via dei mille 6/A.
Macabro, I mostri non muoiono, Anno: 2015, pagine: 176
Codice ISBN: 978-88-68845-59-9, Editore: Kimerik Edizioni
   
      
L'AUTORE
Fabrizio Maceroni nasce a Pisa il 22 febbraio del 1983. Fin da giovanissimo dimostra un notevole interesse per la scrittura e la lettura. Apolitico, cristiano, dalla personalità introversa, crede nel potere della parola e della filosofia; attivo in ambito sociale, frequenta diverse associazioni. Ha già pubblicato con una piccola casa editrice, la Aletti Editore, la sua prima opera, dal titolo Adventus, in cui parla e affronta le problematiche della dipendenza e altre questioni sociali.
    

Anche il fuoco ha paura di me - Edizioni Fernandel

La redazione GHoST segnala l'uscita dal 5 novembre in tutte le librerie di Anche il fuoco ha paura di me, il nuovo romanzo di Gianluca Morozzi. dove si narra di un uomo di cui conosciamo solo il nome, Theo, è legato a una sedia. Di fronte a lui, con una pistola in mano, Metello gli spiega perché sta per ucciderlo. E gli racconta la sua storia.
Metello è nato e cresciuto a Lemuria, un singolare paese della Bassa emiliana reso celebre da un famosissimo poeta e da un cantante rock di successo. Metello è cresciuto deciso a diventare famoso a sua volta, per arricchirsi e conquistare Alice, fidanzata con Ulisse fin dal primo giorno delle elementari. C’è solo un problema: non ha nessun talento artistico. Ma la fortuna gli sorride quando scopre di essere il sosia di un attore hollywoodiano emergente, il volto nuovo del cinema mondiale, il grande Lando Krol.
Metello inizia così una carriera come sosia di Lando Krol: ospitate televisive, una parte in una fiction, incontri con le sosia ufficiali di Rihanna ed Emma Stone. Fino a un’imprevista svolta del destino...
Un'opera coinvolgente dove la mano felice dello scrittore bolognese Morozzi reinventa miti e archetipi della narrativa padana in un romanzo che ha la struttura di un thriller
Il romanzo edito da Fernandel Edizioni è disponibile anche in versione ebook.
Anche il fuoco ha paura di me, Anno: 2015, pagine: 144, Collana: Fernandel
Codice ISBN: 978-88-98605-26-2, Editore: Fernandel Edizioni
 
Un assaggio del libro
....No, Theo, mi dispiace. Non ti allenterò il bavaglio.
Le domande che vuoi farmi te le leggo negli occhi. E a quelle domande, stai tranquillo, risponderò.
Le risposte sono queste.
No.
Sì.
No.
Sì.
Nell’ordine.
No: ahimè, la pistola non è finta.
Sì: la userò per ucciderti. Mi dispiace anche per questo. Sono sincero: mi dispiace.
No: non sono pazzo. Non sono un malato di mente, un maniaco, e non cerco vendetta per le azioni di cui ti hanno accusato. Tra poco capirai.
Sì: prima di spararti, ti racconterò la mia storia. Voglio che tu capisca perché mi trovo qui, davanti a te, con un’arma tra le mani. Perché ti ho legato a una sedia, perché ti ho imbavagliato, e perché questa follia non poteva finire che così.
Non ti ammazzerò finché non ti avrò spiegato ogni cosa fino in fondo, Theo, stai tranquillo. Con tutti i dettagli. Come è giusto.
Nessuno verrà a disturbarci fino a domattina. Ho tutta la notte per parlare, dunque.
Le corde sono troppo strette?
No?
Allora mettiti comodo...
 
     
L'AUTORE
Gianluca Morozzi è nato nel 1971 a Bologna, dove vive. Per Fernandel ha pubblicato il romanzo d’esordio Despero (2001), le raccolte Luglio, agosto, settembre nero (2002), Dieci cose che ho fatto ma che non posso credere di aver fatto, però le ho fatte (2003), il libro springsteeniano Accecati dalla luce (2004) e, in collaborazione con il disegnatore Squaz, il suo primo fumetto, Pandemonio (2006). Nello stesso anno insieme a Paolo Alberti ha scritto il libro calcistico Le avventure di zio Savoldi, a cui sono seguiti il romanzo L’abisso (2007), la serie a fumetti FactorY (2008-2010, in collaborazione con Michele Petrucci) e le raccolte Spargere il sale (2011), Niente fiori per gli scrittori (2013), L’amore ai tempi del telefono fisso (2015).
   

The Martian di Ridley Scott

Un astronauta, impegnato in una missione su Marte, dopo una forte tempesta viene creduto morto e abbandonato. Ma l'uomo è ancora vivo e deve ingegnarsi per riuscire a sopravvivere.
Non è una novita che i film di Ridley Scott vengano accolti con eccessivo entusiasmo e ritenuti dei capolavori, andando ben oltre i loro meriti effettivi. Basta pensare a due tra i film più sopravvalutati degli ultimi trent'anni, Thelma & Louise e Il gladiatore. Accade anche con Sopravvissuto - The Martian. In questo caso però le stellette distribuite a mano bassa stupiscono meno. Non tanto perchè il film sia migliore dei precedenti, casomai per il semplice motivo che siamo ormai abituati a ogni iperbole critica (un altro caso incomprensibile riguarda l'unanime consenso nei confronti di un film italiano appena uscito di cui preferiamo omettere il titolo). Per quanto ci riguarda, continuiamo a pensarla come il compianto Enzo Ungari, che nel 1978 tacciò di "formalismo informe" I duellanti nel suo breve saggio «Settecento» (in «Schermo delle mie brame», Vallecchi 1978). Da allora il cinema del regista inglese non è cambiato molto, anche se Sopravvissuto poteva far ben sperare, dal momento che il meglio (Prometheus a parte) Scott l'ha dato proprio quando si è occupato di fantascienza (ma anche il fantasy Legend e i polizieschi/noir Chi protegge il testimone e Black Rain - Pioggia sporca sono da rivedere con occhio attento). Il problema è che non è più tempo di Alien e tantomeno di uno sceneggiatore anarchico come Dan O'Bannon (e di un produttore come Walter Hill eccetera). Qui l'autore dello script (tratto dal romanzo L'uomo di Marte di Andy Weir) è Drew Goddard, responsabile di varie serie televisive. Quindi tutto deve concludersi per il meglio. L'idelogia di base è quella dello slogan Yes We Can, con cui l'ottimismo iper-lucido e high-tech del regista può andare a nozze. Va bene che le riflessioni filosofiche alla Tarkovskij non vanno più di moda, però da un film su un uomo rimasto solo su Marte ci si aspettava qualcosa di più coraggioso e meno allineato. Invece si vira su una presunta commedia fantascientifica: lo era anche Il Dottor Stranamore, attraversato però da uno spirito corrosivo che Sopravvissuto nemmeno riesce a sfiorare. Purtroppo la formazione pubblicitaria (e televisiva, dopotutto) di Ridley Scott è sempre lì, in agguato. Se ne desume l'imprinting in ogni inquadratura, in ogni situazione (sintomatica, seppur apparentemente marginale rispetto all'evolversi della narrazione, l'abitudine del protagonista di mangiare le patate con il ketchup). Il linguaggio pubblicitario, che deve essere sempre rassicurante e coinvolgente (oltre che visivamente suadente, ovvio), determina tutta una serie di scelte. A cominciare da quella che dà il tono all'intero film: raccontare la solitudine (non solo metaforica, ma reale) con così tanti personaggi (la maggior parte fastidiosi, tra l'altro) da non far mai sentire davvero solo il protagonista, e con lui lo spettatore. Se ci si fa caso, varie inquadrature della parte ambientata alla Nasa sono sature di figure, in evidente contrasto con le immagini marziane. Ciò non toglie che alcune sequenze siano memorabili. Una in particolare è girata e montata (da Pietro Scalia) straordinariamente bene. Ed è curioso che ricordi quella dell'arrivo di Floyd sulla base lunare in 2001: odissea nello spazio (ma sia chiaro, Kubrick è lontano anni luce). Si può persino pensare che Scott abbia voluto omaggiarla e nello stesso tempo dissacrarla concettualmente: infatti al posto del nobile valzer di Strauss c'è una hit della disco-music, Don't Leave me This Way (un segno dei tempi? il tentativo - abbastanza patetico - di rendere ancor più digeribile un'opera che, nella sua essenza, avrebbe potuto non essere facilmente fruibile o addirittura ostica?). In sostanza, sfrondandolo di personaggi e situazioni inutili, avrebbe potuto sfiorare il capolavoro. Così, è solo un'occasione mancata.   
    
a cura di Roberto Frini
   

La casa dalle finestre che ridono di Pupi Avati

Stefano Rossi è un pittore che viene chiamato da Antonio, un suo amico in un paesino della Pianura Padana, più precisamente nei dintorni di Ferrara, per restaurare un affresco di Buono Legnani che si trova in una chiesa e che rappresenta San Sebastiano pugnalato da due orribili figure femminili. Mentre il suo lavoro procede iniziano a succedere cose strane: Antonio si suicida proprio dopo avergli detto che aveva scoperto delle cose molto importanti. Da quel momento incubi e misteri orribili invadono la vita di Stefano che viene perseguitato da fatti inquietanti e morti violente legate alla casa del pittore. (Fonte: Ibs)
Nel 1976 Pupi Avati realizza uno dei suoi pochi film riusciti, La casa dalle finestre che ridono. Dario Argento, nel libro Mostri & C., scrisse: «Pupi Avati ha costruito un horror semi-naif, con le atmosfere grasse e sanguigne della campagna padana, inserendovi un plot zeppo di intricati contraccolpi narrativi». La figura centrale del film è infatti un pittore naif morto suicida, Buono Legnani, che dipingeva sulla propria pelle, era malato di sifilide e non avendo alcuna donna che posasse per lui, faceva egli stesso da modello anche per le figure femminili. Il giovane artista Stefano (Lino Capolicchio) arriva in un paesino della provincia di Ferrara (in una zona non meglio precisata, ma comunque vicino al Polesine e a Rovigo) per restaurare un affresco di Legnani, raffigurante il Martirio di San Sebastiano e trovato nella chiesa locale. La figura del pittore è circondata dal mistero, che avvolge sia le sue opere (viene chiamato il pittore delle agonie perché amava dipingere gli esseri umani nell’atto del trapasso) che la sua vita e, soprattutto, la sua morte (si è suicidato vent’anni prima dandosi fuoco). Un amico di Stefano, il chimico Mazza, che sembra sapere qualcosa di più su Legnani, muore anch’egli misteriosamente. Stefano è convinto che qualcuno l’abbia ucciso e comincia a indagare. Scopre che le sorelle del pittore, completamente folli, conservano il cadavere del fratello nella formaldeide, continuando a procurargli i soggetti perché il pittore possa dipingerli. Inutile dire che il finale aperto (non si sa se Stefano viene ucciso dalle sorelle) contribuisce a fare di La casa dalle finestre che ridono uno dei film più inquietanti e (nel vero senso della parola) paurosi dell’intera storia del cinema dell’orrore. Avati in più di un’intervista afferma che il soggetto gli è stato ispirato da una storia udita da bambino che riguardava un prete-donna. La sceneggiatura, scritta insieme al fratello Antonio, a Gianni Cavina (che interpreta benissimo l’alcolizzato Coppola) e a Maurizio Costanzo, sviluppa la vicenda ambientandola in una zona non usuale per il cinema del terrore eppure, grazie all’utilizzo di figure grottesche e tipiche della provincia, mantiene un'atmosfera angosciante e ossessiva. Anche disseminando il film di indizi che non vengono spiegati (i fiori, la polvere bianca, l’accendino di Francesca con le iniziali B. L., le bocche dipinte intorno alle finestre).
   
a cura di Roberto Frini