Glimpse At Eternity il nuovo videoclip dei Gates Of Eden

Il nuovo videoclip musicale ufficiale Glimpse At Eternity della progressive arabian folk metal band Gates Of Eden dell’artista, compositore, polistrumentista, cantante, scrittore, divulgatore storico e fotoreporter palermitano Tregor Russo  è stato girato nel monumentale centro storico arabo/normanno della città di Palermo, dal 22 al 26 novembre 2024.

Il brano “Glimpse At Eternity” è tratto dal primo disco del doppio album intitolato Passage To Babylon che è stato registrato e mixato presso l’Underground Music Recording Studio di Palermo, pubblicato a livello internazionale nel gennaio 2024 dalla Nero Corvino Records.

Produzione esecutiva e regia di Tregor Russo.

Tregor Russo: tutte le voci soliste, chitarre elettriche a 7 corde, oud, basso a 5 corde, batteria, darbuka, duff, campane tubolari, gong, scacciapensieri, maracas e percussioni a forma di uova.

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Bandcamp: https://www.gatesofeden.bandcamp.com/



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Disponibile Il dottor Phibes e i suoi fratelli di Pallotta e Pergolari

La Redazione GHoST presenta Il dottor Phibes e i suoi fratelli il primo dizionario italiano del cinema horror inglese degli anni Settanta, un’interessante saggio di Alberto Pallotta e Andrea Pergolari edito da Weird Book con la suggestiva copertina di Giorgio Finamore.

Gli anni Settanta segnano il declino della Hammer e della Amicus, le due case di produzione che, fino a quel momento, detenevano le maggiori quote di mercato dell’horror britannico. Mentre negli Stati Uniti (e anche in Italia) l’orrore gotico sta lasciando il posto a paure ben più quotidiane e feroci, in Inghilterra i vampiri e la creatura di Frankenstein imperversano ancora sul grande schermo, almeno agli inizi del decennio. Anche perché il paesaggio è sempre quello dei castelli, della nebbia nelle vallate e nella città, delle case disperse nella brughiera. Poi anche il cinema horror inglese si rinnova, si contamina con il thriller e l’erotismo, lo slasher e il film catastrofico.

Nell’horror inglese degli anni ’70 convivono due anime: quella che ha il volto, malefico e tormentato, di Christopher Lee e Peter Cushing e quella che raccontano i nuovi registi Robert Fuest e Pete Walker, gli sceneggiatori Brian Clemens e David McGillivray. Un terrore ancora un po’ astratto e compiaciuto, figlio di paure inconsce individuali anziché collettive, che questo libro racconta e analizza, minuziosamente con una panoramica che svaria dalla serie A alla serie B alle produzioni più improbabili. Sotto la forma classica di un dizionario, raccogliendo più di cento schede, Alberto Pallotta e Andrea Pergolari vi guidano in un viaggio nell’horror paradossalmente divertente e per certi versi ancora inesplorato.

SCHEDA TECNICA
Titolo: Il dottor Phibes e i suoi fratelli – Dizionario del cinema horror inglese anni Settanta
Autore:  A. Pallotta, A. Pergolari
Copertina: Giorgio Finamore
Editore: Weird Book
Collana: Insomnia
Genere: Saggio
Pagine: 240
Prezzo: 25,90 €
Formato: 15 x 22 cm
ISBN: 979-12-81603-21-9


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Into the Silence dei Perseus

PERSEUS – Into the Silence 

Full-length, Escape Music, 2024

Per questo nuovo lavoro, intitolato Into the Silence la band power metal pugliese fa una cosa particolare per ciò che concerne il reparto vocale, ovvero far duettare il cantante Antonio Abate in quasi tutti i brani con altri cantanti, tutti italiani. E il risultato è sicuramente apprezzabile!

Detto ciò, è da rimarcare come questa band era assente dalle scene da ben otto anni, ovvero dal buon A Tale Whispered in the Night del 2016. Cosa sarà cambiato in questi anni? Non molto, se non che la band cerca di mantenere alta la qualità della propria musica. E lo diciamo subito, ci riesce pienamente. Questo album è un vero gioiello di power metal, veloce, tecnico, atmosferico. Tutte le formazioni storiche del genere, soprattutto quelle europee come Hammerfall o Stratovarius emergono a più riprese in questo album.

Canzoni letteralmente indimenticabili come “Strange House” con Wild Steel (Shadows Of Steel), oppure “Defenders Of Light” che vede il duetto con Marco Pastorino (Temperance, Fallen Sanctuary, Serenity, Virtual Symmetry), sono staffilate veloci e tecnicamente eccelse che faranno la gioia di ogni amante di queste sonorità, mentre anche i cuori più teneri saranno accontentati con “Il Labirinto Delle Ombre”, pezzo lento, malinconico, dolce e che quasi sconfina in una ballata di pop italiano, ma comunque ben assemblata e mai banale.

Insomma un album che rappresenta questa band al suo meglio. Un arealtà italiana da seguire per gli appassionati di heavy e power metal, che non ha nulla da invidiare ai vari Rahpsody o Vision Divine. Super consigliati!

Tracklist:
1. The Clash of the Titans
2. Into the Silence
3. Strange House
4. The Kingdom
5. The Picture of My Time
6. Defenders of Light
7. Il labirinto delle ombre
8. Twilight
9. I Believe in Love
10. Warrior
11. Cruel Game

A cura di Knife




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The Substance di Coralie Fargeat

The Substance (Regno Unito 2024)

Regia, Sceneggiatura: Coralie Fargeat. Fotografia: Benjamin Kračun. Montaggio: Jérôme Eltabet, Coralie Fargeat, Valentin Féron. Effetti speciali: Pierre-Olivier Persin. Musiche: Raffertie. Scenografia: Stanislas Reydellet. Costumi: Emmanuelle Youchnovski. Produttore: Tim Bevan, Eric Fellner, Coralie Fargeat. Produttore Esecutivo: Alexandra Loewy, Nicolas Royer. Casa di Produzione: Working Title Films, A Good Story Productions. Distribuzione (Italia): I Wonder Pictures. Lingua Originale: Inglese. Paese di Produzione: Regno Unito. Anno: 2024. Durata. 142’. Genere: Horror, Drammatico, Fantascienza, Thriller. Interpreti: Demi Moore (Elisabeth Sparkle), Margaret Qualley (Sue), Dennis Quaid (Harvey), Edward Hamilton Clark (Fred), Gore Abrams (Oliver), Oscar Lesage (Troy), Yann Bean (Sostanza – voce).

Io volevo proprio vedere The Substance, il trailer era interessante, ma non avevo idea di cosa sarei andato a vedere. Le premesse erano solo “horror”.

Elisabeth Sparkle è una diva o meglio, lo è stata. Ormai ha cinquant’anni e il mondo quelle come lei se le mangia. Questo perché la gente (tutta?) vuole ragazze belle e giovani, da sessualizzare, non gli importa delle signore con le rughe. Per questo viene licenziata dal suo produttore, l’uomo apparentemente più viscido del pianeta. In piena crisi di identità, sentendosi vecchia, brutta ed inutile, Elisabeth scopre per caso una cura miracolosa. Le viene dato un indirizzo, un numero, una casella di posta. Lì dentro trova la sostanza e tutte le sue strane istruzioni. Usandola lei perderà i sensi e si risveglierà in un nuovo corpo, Sue.

Sue vivrà per una settimana, poi dovrà tornare ad essere la vecchia Elisabeth e così via in una possibile alternanza infinita di sette giorni. Ma questa nuova vita meravigliosa, questa giovinezza, è una tentazione troppo forte, riuscirà la nostra protagonista a bilanciarsi tra le due cose?

Questo film è terribile sia in senso buono che in senso cattivo. Ne scrivo prima due righe per chi non vuole spoiler, poi altre due con gli spoiler, perché li necessita. Tutto il film è una critica e alla “cultura di Instagram” (come la chiamo io) dove bisogna apparire sempre al massimo e conta solo la superficialità e poi al patriarcato in generale (questo perché l’apparenza è focalizzata sulla sessualizzazione della donna), in seconda chiave vi si legge anche una violenta critica alla non accettazione di sé, al rifiuto della vecchiaia e sì, anche della morte. Tutte cose che, vi shockerà scoprire, fanno invece parte della vita di ognuno.

Demi Moore è una attrice che ho sempre gradito sin dagli esordi quando, appunto, era perlopiù una donna molto sexy. Però fece quel Soldato Jane che con tutti i suoi difetti non era malaccio e con il quale lei cercava già di dimostrare che sapeva recitare. Perché sì, Demi Moore sa recitare e in questo film si vede proprio tanto. Ho quasi pensato che mirasse all’oscar, ma con questo film non può. Dopo vi spiego perché.

Margaret Qualley, che interpreta Sue è già nota sia per essere brava che per essere bella da C’era una volta ad Hollywood in poi (Che gran film quello).

Dennis Quaid devo presentarvelo? Qui è una sorta di antagonista, è l’avatar del male della società, vorresti fargli male non appena lo vedi.

La regista, Coralie Fargeat, è francese (se non si fosse capito), ma lo si noterà anche molto dalla sua regia capace e dall’uso del nudo in modo efficace (e non come fanno gli americani, per intendersi). Non ha girato un granché, ma il suo Revenge già diceva tutto e, a suo modo, parlava quasi dello stesso tema di The Substance.

Ma il film com’è? È bello, tanto. Un’ora e cinque minuti di bellazza su due ore e dieci di film, del resto ne parlo dopo. Colpisce duro, colpisce al cuore, allo stomaco e alle palle. Dovrebbero vederlo tutti, ma purtoppo non tutti riuscirebbero.

Questo perché, spoiler












…perché questo film è un body horror violentissimo che soddisferebbe i palati più disgustosi, come quelli di Raimi. Era dal tempo di Drag me to Hell che non vedevo un uso così sconsiderato di fluidi corporei sparsi, altrimenti bisogna cercare nel bidone dei B-movie splatter senza senso. Ma The Substance non è un B-Movie. Dove il mistero non viene mai svelato, la trasformazione è il fulcro della narrativa. La regia è magistrale coi suoi zoom sui dettagli, sulla ruga, sul labbro, sulla goccia d’acqua per scatenarti sensazioni così opposte come repulsione e attrazione. Le scenografie e la fotografia rendono bene le emozioni dovute, tutto sembra un quadro metaforico, le scene claustrofobiche nel bagno sono, davvero, da premio. L’orrore fisico è sempre più grande, sempre più disgustoso. Elisabeth diventa progressivamente più deforme e con lei il pus, le piaghe, la decadenza e infine la deformità. Ogni scena è accompagnata da un montaggio audio che non fa altro che esaltare quello che si vede con suoni scrocchianti o mollicci. Inoltre la colonna sonora stessa è disturbante, c’è una sinergia di reparti davvero notevole in questo film. Il tutto giunge ad un esplosivo finale, letteralmente, dove quasi si scimmiotta Carrie e il sangue è un fiume in piena innaturale. Come dicevo questo film è duro da venire perché vuole disgustarti e ci riesce, ti fa stare male e lo fa di proposito. È un pregio, ma uno che non tutti possono notare, chi cerca il bello è solo come quelli che vogliono solo Sue, eppure sono loro che creano la sostanza.

Non do voti, ma se li dessi sarebbero altissimi, non massimi perché la trama si capisce tutta nei primi tre minuti (e spesso è didascalico, vuole, anzi brama di, essere capito). Un filmone a tutti gli effetti, ma per stomaci forti.

A cura di Marco Molendi





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Il figlio di Chucky di Don Mancini

Il figlio di Chucky (Usa, Regno Unito, Romania 2004)

Regia, Soggetto, Sceneggiatura: Don Mancini. Fotografia: Vernon Layton. Montaggio: Chris Dickens. Musiche: Pino Donaggio. Scenografia: Judy Farr. Costumi: Oana Paunescu. Produttore: David Kirschner. Produttore Esecutivo: Guy J. Louthan. Casa di Produzione: Rogue Pictures. Distribuzione (Italia). Universal Pictures. Titolo Originale: Seed of Chucky. Lingua Originale: Inglese. Paese di Produzione: Stati Uniti d’America, Regno Unito, Romania. Anno: 2004. Durata. 87’. Genere: Horror comico. Interpreti: Jennifer Tilly (se stessa), Redman (se stesso), Hannah Spearritt (Joan), John Waters (Pete Peters), Steve Lawton (Stan), Beans El-Balawi (Glen), Kristina Hewitt (Glenda), Nadia Dina Ariqat (Britney Spears).

La saga di Chucky comincia nel 1988, tutto parte da un’idea di Don Mancini – per la regia di Tom Holland – che s’inventa la storia di un serial killer capace di trasferire la sua anima assassina in un orribile pupazzo. Una sorta di slasher-movie con un pupazzo che agisce in maniera grottesca insieme ad attori in carne e ossa, la bambola che segue un bambino e miete vittime a più non posso. Il grande successo del primo film genera diversi sequel, persino una recente serie televisiva e un reebot nel 2019, oltre a un merchandising infinito. I titoli: La bambola assassina (1988), La bambola assassina 2 (1990), La bambola assassina 3 (1991), La sposa di Chucky (1998), Il figlio di Chucky (2004), La maledizione di Chucky (2013), Il culto di Chucky (2017), La bambola assassina (2019, il reebot).

Abbiamo visto Il figlio di Chucky, film scritto e – per la prima volta – diretto dal creatore del personaggio, che in seguito dirige anche La maledizione e Il culto, oltre alla serie TV (2021 – 2024). Da regista Mancini si è occupato solo di film legati al personaggio ideato, così come da sceneggiatore quasi sempre ha pensato a sviluppare la sua intuizione di successo. In questo quinto capitolo Chucky è sposato con Tiffany, il loro figlio (Glen / Glenda) è indeciso sul fatto di essere maschio o femmina, anticipando le tematiche odierne legate alla disforia di genere. Il figlio di Chucky viene chiamato Faccia di Merda ed è usato come pupazzo da un ventriloquo, ma quando viene a sapere che stanno girando un film sui suoi genitori scappa a Hollywood e li resuscita, per conoscerli meglio. Il film ha un taglio horror trash, molto black comedy, vero e proprio cinema dell’orrore comico, a tratti persino farsesco, nonostante tutti gli schizzi di sangue tipici dello slasher. Il figlio di Chucky ha un’indole molto buona, nonostante sia tormentato da incubi che gli fanno vedere scene orribili di uccisioni, così quando conosce i genitori non comprende perché siano così perfidi. Tiffany cerca di smettere con gli omicidi – come se fossero una dipendenza – ma non ci riesce; Chucky, invece, è orgoglioso di essere un bambolotto assassino, non vorrebbe diventare umano, cosa che a suo parere porterebbe solo problemi. Al tempo stesso il genitore è sconvolto dal fatto che il figlio non abbia alcuna attitudine al crimine, cerca di portarlo con sé e vorrebbe trasmettere la sua arte scellerata, pare non riuscire nello scopo, ma alla fine resterà sorpreso. Un film che si guarda più come una commedia, resta un lavoro divertente una volta superato lo scoglio degli sbudellamenti e delle violenze gratuite, pensato soprattutto per un pubblico di teenager. Due citazioni restano memorabili: la scena della doccia con l’omicidio dietro la tenda che riporta a Psycho e la porta abbattuta a colpi d’ascia che suggerisce Shining, anche se a Chucky non viene la battuta a effetto. Fotografia cupa e angosciante di Vernon Layton; montaggio rapido ed essenziale di Chris Dickens che ha il gusto della suspense e condivide con il regista la voglia di spaventare lo spettatore e di disturbarlo. Inutile dire che la tecnica di regia prediletta è la soggettiva dell’assassino (in questo caso del bambolotto) capace di mostrare gli omicidi in primissimo piano e dal punto di vista di chi li compie. Pino Donaggio (Io che non vivo senza te, proprio lui!), grande compositore per il cinema, è l’autore della colonna sonora, non invasiva, coordinata al genere. Girato tra Los Angeles e la Romania (Castel Film Studios). Il figlio di Chucky è un horror comico dotato di tensione narrativa e di trovate a effetto, consigliato per chi ama il genere. Il film produce due sequel (La maledizione e Il culto) e tutta la serie televisiva del 2021 – 2024, diretti da Don Mancini. Rivisto grazie al canale Horror Mediaset 2.

A cura di Gordiano Lupi



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L’impero in catene di Norbert Zsivicz

[…] La bocca e la testa del mostro si vedevano brillare sempre più anche nell’acqua scura. E stava nuotando freneticamente, scalando la nave e all’ultimo minuto riuscì a issarsi sul relitto che stava affondando. Sentì un forte rumore sfrigolante e vide un caldo geyser di vapore eruttare dal mare. I fulmini rossi vorticavano nell’acqua, bruciando tutto sul loro cammino. […]

L’impero in catene è un romanzo di Norbert Zsivicz che l’Indipendent Legions Publishing ci ha donato da terre straniere. Si tratta infatti della prima edizione italiana del romanzo The Sealed Empire (2022), vincitore dell’Hungarian Best Fantasy Choice Award. Custodito all’interno della collana Zero Confini, diretta da Cristiano Saccoccia, la traduzione è ad opera di Sanda Jelcic.

Edward, un cavaliere e marinaio, si trova coinvolto in una missione per trasportare una reliquia sacra verso un luogo leggendario, descritto come la terra degli dèi. La narrazione si apre con una scena di tempesta che amplifica il senso di pericolo e incertezza, mentre la nave viene attaccata da un mostro marino gigantesco che mescola elementi sovrannaturali e ignoti.

La tensione tra Edward e il reverendo Sven, leader spirituale della missione, è uno dei cardini della storia. Edward, motivato in parte dall’amore per Emma, figlia di Sven, deve affrontare la fede rigida e intransigente del reverendo, mentre si confronta con il peso di scelte difficili. Questo conflitto introduce dinamiche profonde tra i personaggi, esplorando il contrasto tra fede e logica, promessa e speranza. L’inizio del romanzo si rivela così intenso e intrigante.

La narrazione è suddivisa in Atti (Prologo, Atto I, Atto II, Atto III ed Epilogo), arricchiti da interludi dedicati ai protagonisti principali e da balzi temporali che riportano il lettore fino a diciotto anni prima. L’autore riesce a intrecciare questi elementi con maestria, mantenendo alta l’attenzione del lettore senza far disperdere il filo della trama.

Il testo fonde temi classici del fantasy epico con un’attenzione particolare ai dettagli psicologici e alla tensione narrativa. La struttura promette un’esplorazione approfondita sia dei personaggi sia del worldbuilding, trascinando il lettore in un viaggio ricco di pericoli e rivelazioni. L’incursione del Dark Fantasy è la primizia di quest’opera. L’atmosfera è cupa, caratterizzata da descrizioni di orrore e morte, sia fisica che psicologica. Man mano che la storia prosegue, si intensifica il senso di decadenza e oscurità, intrecciato a conflitti interpersonali e dinamiche di potere. Inoltre, lo sviluppo della trama sovrannaturale, con l’introduzione di un mostro di metallo e accenni a tecnologie avanzate o antiche magie, suggerisce l’influenza di forze superiori; un assaggio di fantascientifico in un’ambientazione retrò.

Lo stile di scrittura si distingue per il ritmo incalzante, arricchito da descrizioni evocative che danno vita alle ambientazioni e ai personaggi. L’alternanza tra scene d’azione frenetiche e momenti di introspezione bilancia la tensione narrativa, approfondendo il lato psicologico dei protagonisti. Tuttavia, in alcuni casi, le descrizioni dettagliate rischiano di appesantire la narrazione, specialmente quando si concentrano su elementi secondari, e potrebbero stancare alcuni lettori.

In definitiva, il romanzo si presenta come un’opera coinvolgente e ambiziosa, capace di intrecciare elementi classici del fantasy con un’ambientazione ricca e una narrazione emotivamente intensa; dall’est Europa tira un vento dark fantasy decisamente promettente.

L’AUTORE
Norbert Szivicz è un autore di dark fantasy e fantascienza di origini ungheresi che vive a Londra. Questo suo primo romanzo (Sealed
Empire) ha vinto in Ungheria il premio Best Fantasy Choice nel 2022. Al momento Szivicz sta lavorando a un sequel del romanzo e a sceneggiature di fantascienza, fantasy e horror per la TV e il cinema. La presente traduzione si basa sul testo dell’opera tradotto in lingua inglese da Tamás Pétersz.

L’impero in catene
Autore: Norbert Zsivicz
Editore: Indipendent Legions Publishing
Pagine: 312
ISBN: 9791280713704
Costo: 18.90 € cartaceo 5,99 € e-book

A cura di Flavio Deri



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Astro Boy di David Bowers

Astro Boy (Usa, Giappone, Hong Kong, 2009)

Regia: David Bowers. Soggetto: Osamu Tezuka (manga e personaggio omonimo). Sceneggiatura: Timothy Harris. Fotografia: Pepe Valencia. Montaggio: Robert Anich Cole. Musiche: John Ottman. Casa di produzione: Imagi Animation Studios, Imagi Crystal, Tezuka Production Company Ltd., Saturn Films. Paese di Produzione: Usa, Giappone, Hong Kong, 2009. Durata: 93’. Genere: Fantascienza, Animazione.

In un futuro prossimo il pianeta Terra è completamente invaso dai rifiuti e dagli scarti tossici, in un perenne stato d’inquinamento. A causa di questa situazione la città di Metro City, con l’aiuto del genio del Dottor Tenma, diventa una metropoli volante distaccata dal suolo, pulita e tranquilla, grazie anche ai robot lavoratori che favoriscono l’armonia tra i suoi abitanti. Nel frattempo l’assistente di Tenma, il vecchio Dottor Elefun, riesce a scoprire il Nucleo Blu Positivo, una fonte d’energia addirittura più potente di quella nucleare che ha un polo opposto chiamato Nucleo Rosso Negativo, molto potente, ma pericolosissimo e quindi giudicato quasi intoccabile. L’implacabile presidente Stone, in piena campagna elettorale, è disposto a qualsiasi cosa pur di farsi rieleggere: venuto a conoscenza del potere del Nucleo Rosso Negativo decide di sperimentarlo su un robot cavia (detto Il Pacificatore) al fine di prendersi il merito della nuova scoperta e farsi pubblicità in vista delle elezioni. Nonostante i tentativi di Tenma ed Elefun di bloccarlo (è un esperimento estremamente rischioso) il pazzo presidente riesce ad applicare il nucleo sul gigantesco robot che perde quasi subito il controllo e inizia a distruggere il laboratorio. Elefun riesce a bloccare la furia metallica del Pacificatore, ma non riesce ad impedire che questi, nel pieno della foga, uccida Tobio, il figlio del Dottor Tenma, che aveva assistito alla scena di nascosto nonostante il divieto del padre.

Tenma è ovviamente distrutto per l’accaduto e, in preda alla disperazione e ai sensi di colpa, decide di creare una copia robot esatta del figlioletto morto, fondendo il suo DNA con gli elementi meccanici ed applicandovi il Nucleo Blu Positivo. Il risultato è sorprendente: la nuova creatura è intelligente quanto il vero Tobio e, grazie al Nucleo Blu, possiede anche il suo stesso carattere gentile e generoso. Ma purtroppo rimane sempre e solo una copia e, nonostante il Dottor Tenma tenti in tutti i modi di non pensarci, l’evidenza prende il sopravvento spingendo lo scienziato, in un momento di disperazione, a cacciare di casa l’automa. Il robottino, che nel frattempo si è accorto di non essere l’umano che pensava, vola via in cerca di un posto in cui rifugiarsi. Una volta giunto sulla terraferma Tobio fa la conoscenza di una ragazza, Cora, e, fingendosi un ragazzo in carne ed ossa, la segue nel rifugio di Hammegg, uno strano individuo che ripara robot abbandonati per poi farli combattere tra loro. Apparentemente la vita del giovane sembra essersi stabilizzata.

Nel frattempo il presidente Stone scende sulla terraferma durante uno dei combattimenti che Tobio è stato costretto a tenere e rapisce il giovane robottino sotto gli occhi di tutti. Il presidente ordina a Tenma di staccare il nucleo blu da Atroboy, ma lo scienziato si rifiuta categoricamente. A questo punto il pazzo presidente, infuriato, decide nuovamente di attivare il nucleo rosso sul Pacificatore, mettendo in serio pericolo le sorti di Metro City…

Uscito nell’ottobre del 2009 in USA e poi a dicembre dello stesso anno nelle sale italiane, Astro Boy, il film diretto da David Bowers (già regista di Giù per il tubo – Flushed Away, 2006) ha soddisfatto appieno le aspettative di chi sapeva che si sarebbe trovato di fronte a un mezzo flop (me compreso). Tratto dal manga e dalle successive serie animate (omonimi in Italia e Usa – Tetsuwan Atom in Giappone) del Dio dei manga Osamu Tezuka, il film distribuito dalla Eagle Pictures è un prodotto che non solo non regge il confronto con i suoi antenati nipponici, ma che mostra senza imbarazzo la sua mediocrità sia dal punto di vista estetico che contenutistico. Animazione digitale vista e rivista (qui sì che sarebbe servito il 3D per attenuare il senso di noia dovuto alla mancanza di attenzione a elementi importanti come la fotografia); tipi al posto di personaggi, con caratterizzazioni psicologiche spicce e frettolose, quasi per soddisfare un’esigenza impellente di semplificazione-a-tutti-i-costi. Del capolavoro di Tezuka rimane quindi solo una specie di guscio esterno, un lieve sapore che si avverte solo sulla punta della lingua, con la netta consapevolezza di trovarsi di fronte all’ennesima occasione mancata. Ne viene fuori un prodotto, sì, carino, ma terribilmente buonista, sentimentale e ostinatamente aggrappato alla necessità di dover dimostrare qualcosa, di dover per forza trarre una morale da ogni singola scena rappresentata (dall’amore al di sopra di tutto alla denuncia della politica senza scrupoli – un film “attuale”… wow!): insomma, quanto di più lontano ci sia da un prodotto animato giapponese. Si resiste fino alla fine, insomma, non smettendo mai di pensare che quello che si vede è comunque un prodotto onesto, mai sopra le righe e dannatamente funzionante. Adesso sì che la differenza tra Astro Boy e Tetsuwan Atom si sente…

A cura di Giorgio Mazzola



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Nuovi delitti di Paolo Di Orazio

Paolo Di Orazio: I suoi Nuovi Delitti sono un ritorno tra i labirinti della mente umana.

A distanza di trentacinque anni dal suo controverso esordio con Primi delittiPaolo Di Orazio torna a scuotere le fondamenta dell’horror italiano con Nuovi delitti. Un titolo che non è semplicemente un seguito, ma un’affermazione radicale di come il genere splatterpunk, da lui così influenzato, possa evolversi in modo sorprendente, mantenendo intatta quella brutalità che ha definito il suo stile, ma arricchendolo di nuove sfumature, riflessioni e simbolismi.

L’evoluzione dell’orrore: dalle viscere alla psiche.

Nuovi delitti si apre con la promessa di un orrore che non si limita alla superficie della carne martoriata, ma che si addentra nei recessi più oscuri della psiche umana. Se Primi delitti era un fiume in piena di violenza fisica e psicologica, questa nuova raccolta sposta l’attenzione sui traumi più sottili e pervasivi. I protagonisti, ormai adulti e segnati da un passato che non li lascia in pace, sembrano vittime di un circolo vizioso, in cui le loro azioni sono inevitabilmente dirette da forze che non comprendono, ma che non possono evitare. Questo non è solo un horror corporale, ma un’analisi del disagio umano che risuona molto più profondamente.

I racconti come frammenti di un incubo collettivo.

Di Orazio non si limita a raccontare storie individuali, ma costruisce una sorta di mosaico del male, dove ogni pezzo contribuisce a formare un quadro più ampio e disturbante. I racconti sono separati e indipendenti, ma si intrecciano in una rete di temi ricorrenti: l’alienazione, la violenza ereditata, la consapevolezza del proprio lato oscuro. La scrittura di Di Orazio è ferocemente onesta, senza cedere mai alla tentazione di edulcorare l’orrore che descrive. Ogni storia è un viaggio nell’abisso, eppure non si ha mai la sensazione di essere semplicemente spettatori. L’autore ci invita a immergerci, a far parte di quella follia che caratterizza il suo universo narrativo.

Il libro non è solo un ritorno ai temi che hanno reso Primi delitti un’opera di culto, ma anche un tentativo di riaggiornare e rinnovare il linguaggio dell’orrore sempre in maniera viscerale. La violenza non è mai gratuita, ma è sempre il risultato di dinamiche psicologiche complesse. Il corpo martoriato diventa, in Di Orazio, una sorta di metafora della mente, che si scompone e si frantuma sotto il peso dei ricordi e delle emozioni represse.

Nuovi lettori, vecchi incubi.

Pur essendo un seguito, Nuovi delitti non richiede la lettura del libro precedente per essere apprezzato. Ogni racconto è una storia a sé, con i suoi demoni e le sue paure. Tuttavia, il legame con Primi delitti è inevitabile, e per chi ha già familiarità con l’universo creato da Di Orazio, la lettura si arricchisce di nuove sfumature. È come tornare a un sogno ricorrente, dove le immagini familiari si mescolano a nuove e inquietanti rivelazioni.

L’AUTORE
Pioniere dello splatterpunk Italiano con l’antologia Primi Delitti (pubblicata per la prima volta nel 1989), Paolo Di Orazio ha pubblicato innumerevoli racconti, romanzi e fumetti con alcune delle più prestigiose case editrici underground e mainstream italiane, nonché è stato creatore ed editor della rivista cult Splatter. Siede alla batteria di diverse band, tra cui quella dei Latte e i suoi derivati, ed è Active Member della Horror Writers Association.

NUOVI DELITTI
Dopo trentacinque anni, l’orrore è pronto a tornare. Ediz. illustrata
Autore: Paolo Di Orazio
Illustratore: Alessio Villotti
Editore: D Editore
Formato: Brossura
Anno: 2024
Pagine: 190
Codice ISBN: 9791281842991
Prezzo: 17,90 €

A cura di Cesare Buttaboni



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Giustizia riparativa di Carlo Salvoni

Personaggi (in ordine di apparizione)

Marino: studente, ex vittima di Gianni
Gianni: studente, ex bullo
Teresa: bidella
Sig.ra Capelli: mamma di Tibullo
Preside
Tibullo: studente
Dott.ssa Sinisgalli: psicologa d’istituto
Prof. Lunardi
Sig.ra D’Amato: mamma di Gianni
Una professoressa
Fausto: bidello

I

Ricreazione in cortile, vociare indistinto di alunni. Gianni e Marino sono appartati in un angolo, discutono animatamente.

Marino: E così hai usato un gelato per fare l’unicorno?

Gianni: Sì, gliel’ho spiaccicato sulla fronte a quel pony rincoglionito! Dovevi vedere tutto il cioccolato che colava!

Marino: Dovevo vederlo, sì, e ti avrei dato un pugno in testa!

Gianni: Cos’è, difendi gli animali adesso? Ma se ti mangi due bistecche tutti i giorni, tua nonna non sa fare altro! Forse perché le piace il macellaio, quello pieno di peli…

Marino: Ehi, Gianni, cosa fai, ricominci a sfottere la mia famiglia? Sei ancora un bullo? Ti ricordo che hai al collo una certa cosetta…

Gianni: Certo, non serve che me lo ricordi, però tua nonna, voglio dire, ci sarà un motivo se la chiamano “la milfona del ricovero”…

Marino: Attento, Gianni, non scherzare col fuoco. Io non ho dimenticato di quando mi bullizzavi. Guarda che basta poco per far partire la scossa. Sta’ lontano dalla mia famiglia, anche con le parole, altrimenti…

Gianni abbassa la testa contrito. Segue un minuto di silenzio.

Comunque anche la cosa del cono sulla testa del pony, ecco, dimostra che non capisci un cazzo!

Gianni: Ma dai, era solo uno scherzo per il mio cuginetto. Se l’è pure bevuta, almeno per un po’. Dovevi vedere la sua espressione!

Marino: Perché non capisce un cazzo, proprio come te. Un pugno in testa te lo meritavi, e bello forte! Ma mica per il pony, cosa pensi?

Gianni: Cosa fai, diventi bullo tu adesso? Ti insegnano questo alla riabilitazione per vittime? Non penso che la vendetta rientri in un discorso di giustizia di nessun tipo.

Marino: E se anche fosse? No, ma qui non c’entra niente la giustizia riparativa, solo un po’ di buon senso. Voglio dire, ti meriteresti un pugno in testa solo per aver sprecato un gelato! Un gelato spiaccicato sui peli di un pony, ma non ci hai pensato?

Gianni: Ma mica era il mio!

Marino: Potevi mangiartelo comunque, idiota! Quante volte hai rubato la merenda a me? Ma lasciamo perdere, non so perché perdo ancora il mio tempo prezioso con uno come te. Poi gli unicorni mica sono cavalli, dovresti dirlo a tuo cugino.

Gianni: Certo, sono cavalli con un corno che volano scorreggiando arcobaleni.

Marino: Ma lo vedi che non capisci un cazzo di niente? Quando sei piccolo ti raccontano un mucchio di stronzate, ma poi, crescendo, uno dovrebbe andare oltre! Anche le leggende, voglio dire, bisogna tramandarle come si deve. Altrimenti ci fermiamo ai disegnini dei cartoni animati. Un unicorno è un maiale di merda con un corno nero in mezzo agli occhi, i cavallini li fanno solo per vendere cagate ai bambini.

Gianni: Ma sei sicuro, mai sentita una cosa così!

Marino: Certo, perché tu e tutti i tuoi cari non capite un cazzo e vi fermate alla superficie delle cose. Vi nutrite di film Disney e di Hollywood e pensate di sapere qualcosa, invece… poveri noi! Lo sanno tutti che l’unicorno è un maiale merdoso con questo corno nero contorto in mezzo agli occhi. Una cosa ripugnante, da farti vomitare appena lo vedi.

Gianni: Quindi niente scorregge arcobaleno?

Marino: Ah, Gianni, Gianni, quando capirai? Il corno arriva in profondità, comprime il cervello, e così l’unicorno è un maiale deficiente, molto aggressivo. Scorreggia, sì, e caga tantissimo. Niente arcobaleni, però. E poi, scusa, ma mica vola in cielo. Vive sotto di noi, nelle fogne. Sta bene solo nella merda. “L’unicorno va / nella cloaca della città…”, mai sentita la canzoncina?

Gianni: E scommetto che mangia topi di fogna.

Marino: Oh, no! Gli unicorni si nutrono di felicità. Della nostra felicità. Ce la succhiano dal culo mentre caghiamo, per questo non siamo mai felici.

Gianni: Io ero felice quando ti prendevo a calci nelle costole.

Improvvisamente Gianni crolla a terra, preso da convulsioni. Si lamenta con le mani al collo. Marino sospira.

Marino: Dai, non fare il melodramma adesso! Ehi, ma che cazzo succede?

In cortile si fa il silenzio, tutti fissano la porta della presidenza che si è aperta.

Gianni[da terra] Che cosa fa Tibullo? È impazzito?

Marino: No, quella cosa delle vespe. Non ti ricordi lo sciame nero? Sta rifacendo quella scena, solo che non ci sono le vespe.

Gianni: E chi lo segue? C’è Teresa, guarda, sta piangendo!

Marino: Ma c’è anche il preside. Lo sospendono? Strano che Tibullo si metta nei casini.

Gianni: E per cosa, perché ha salvato le vespe da Teresa?

Marino: Mah, forse faceva meglio ad ammazzarle. Lui ha rischiato inutilmente, l’avevo già pensato. E chi è quella tipa bionda con la faccia incazzosa?

Gianni: Sarà la mamma di Tibullo. Stanno rifacendo la scena davanti a lei. Ma non ha senso…

Marino: Eccolo, va verso il canestro, prende la regina e poi la porta fuori…

Gianni[si mette a sedere] Che stronzata le vespe non…

Marino: Shhhh, abbassa la voce, idiota! Voglio sentire cosa dicono.

Teresa: Ecco, vedete? È stato molto delicato. Lui non ha fatto del male agli insetti e le vespe non l’hanno punto. Mi sembrava San Francesco! Però che spavento…

Sig.ra Capelli: Infatti si chiama Francesco!

Gianni: Tibullo si chiama Francesco?

Preside: Ehi tu, sì [indica Gianni], tu che fai lo spiritoso lì in terra. Tu c’eri quando Francesco Tibulli ha portato fuori le vespe, non è vero?

Gianni: Sì, no, io…

Marino: Era troppo intento a prendermi a pugni nello stomaco per seguire la scena. Io però me la ricordo bene.

Preside: Ah, è così? E come puoi ricordartela bene, se ti stavano prendendo a cazzotti in pancia?

Marino: Perché pensavo a quanto male le vespe avrebbero fatto a Tibullo, e questo mi consolava. C’era qualcuno che poteva soffrire più di me, in quei momenti aiuta.

Preside: Ma bravo, ti dispiace seguirmi in presidenza?

Marino[rivolto a Gianni] Visto, adesso sono nella merda per colpa tua, grazie mille! Dovevi solo starti zitto!

Il gruppo si allontana verso la presidenza, Marino chiude la fila ed entra per ultimo.

Tibullo[da dentro] No! La porta!

La Sig.ra Capelli si precipita fuori

Sig.ra Capelli: Lascia aperto! Francesco non sopporta le porte chiuse. Non riesce proprio a viverci!

Preside: Sì, ma qui non siamo a casa vostra. Ci sono regole!

Sig.ra Capelli: Preside, per favore, almeno in questo frangente possiamo soprassedere? Gli avete fatto rivivere un momento delicato. [Rivolta a Teresa] La porta resta aperta, grazie.

Teresa fa spallucce

II

Presidenza. Il preside è seduto alla scrivania. Intorno, disposti a semicerchio, stanno seduti la Sig.ra Capelli, Tibullo, Marino. Teresa è in piedi, appoggiata allo stipite della porta aperta.

Marino: C’era Teresa che parlava con Fausto, l’altro bidello. Non so che cosa si dicevano, ma penso che parlassero delle vespe. Insomma, poteva essere un rischio per noi…

Teresa: Che io volevo bruciarlo il nido, quelle bestie sono pericolose e non te ne liberi se non le bruci con la benzina. Fausto voleva spruzzarci sopra il DDT, ma mica le ammazzi e poi ti volano addosso…

Preside: Marino, va’ avanti, per piacere.

Marino: Io le stavo prendendo dal bullo, Gianni. Non ricordo perché mi picchiava, forse non gli piaceva il colore della mia felpa.

Sig.ra Capelli: Chi, quel poveretto che stava là in terra prima?

Marino: Quel “poveretto” mi ha perseguitato per anni.

Preside[sorridendo con complicità] Ti piace vederlo in terra adesso, eh?

Marino: Mi piace, sì. Siamo amici adesso che c’è il collare.

Preside: Quanto mi fa piacere sentirlo! Vuol dire che il nostro progetto sulla giustizia riparativa funziona. Soldi spesi bene, per una volta.

Sig.ra Capelli: Anche i soldi per le gite sono spesi bene, basterebbe mandarci gli alunni meritevoli!

Preside: Signora, per favore, ne abbiamo già parlato. Se poi vogliamo andare avanti con le polemiche, mi dica cosa possiamo ricavarne. Sappiamo quello che facciamo, un po’ di fiducia nei confronti degli insegnanti non guasterebbe. E poi Marino, qua, sta perdendo preziosi minuti di lezione per le nostre discussioni inutili. Su, veloce, finisci di raccontare quel giorno.

Marino: Tibullo è saltato fuori dal nulla, si è tipo materializzato alle spalle di Teresa. È andato vicino al nido e ha cominciato a frugare con le dita. Le vespe si sono un po’ agitate, aspettavamo tutti che si formasse una nuvola nera intorno alla sua testa, come nei cartoni animati. Invece niente. Ne ha presa una tra il pollice e l’indice e tutte le altre lo hanno seguito.

Preside: Dove?

Marino: Boh, fuori dal cancello…

Sig.ra Capelli: Come? Lasciate che gli studenti lascino l’edificio scolastico così, senza un controllo? Non dovrebbe essere chiuso il cancello? Ma roba da matti!

Preside: C’era uno sciame di vespe… e poi, mi scusi, ma stiamo discutendo di altro adesso…

Sig.ra Capelli: Già, di quanto il mio Francesco sia un ragazzo attento e sensibile, e proprio per questo lo tagliate fuori dalle iniziative più interessanti. Guardi, a me l’immagine di questo giovane che mette in salvo uno sciame d’api fa venire le lacrime agli occhi…

Teresa: Ma quali api? Proprio quelle vespe nere e lunghe erano!

Preside: Non sono un entomologo, ma non credo che quelle vespe vivano in sciami. Anzi, non sono quelle che scavano una buca?

Teresa: Ma quello uno sciame era! Uno sciame nero nero. E il nido è ancora là da vedere.

Marino: Posso tornare in classe? C’è Lunardi…

Sig.ra Capelli: Solo una curiosità. Perché lo chiamate Tibullo? Per il cognome?

Tibullo si prende la testa tra le mani.

Marino: Sì… e per il poeta latino… quello… ehm…

Preside: Il poeta elegiaco?

Marino: Sì, ehm… quello un po’ sfigato.

Marino esce.

Preside: Le lacrime agli occhi, Signora Capelli? Ma sono proprio quelle il problema! Non è vero, Tibullo?

Tibullo alza di scatto la testa, piange, ha le guance rosse e tormentate dai graffi.

III

Atrio davanti alla segreteria con la macchinetta del caffè. La psicologa d’istituto ha in mano un bicchiere e fuma.

Preside: Ma come, dottoressa, noi la cerchiamo da venti minuti e lei è qui a fare una pausa? Pausa da che, poi? Sa che abbiamo un’urgenza?

Dott.ssa Sinisgalli: Eh, urgenza, urgenza! Che sarà mai? Io avevo urgenza di caffè e paina. Tra poco avrò urgenza di andare al bagno. Le urgenze fisiologiche vengono prima di quelle psicologiche!

Preside: Il che, detto dalla psicologa d’istituto, è tutto un programma…

Dott.ssa Sinisgalli: Appunto, dottor Pasquini, se lo dico io, bisogna che sia vero, o no? A proposito, perché “dottore” e non “professore”? Per distinguersi dalla massa di incapaci che la circondano, eh… [ammicca e gli dà unamichevole gomitata nel fianco].

Preside: No, no. È proprio per essere precisi. Io sono laureato, certo, come no… [ammicca e restituisce la gomitata. La psicologa si ritrae rovesciando un po’ di caffè] È che proprio io non ho mai insegnato. Non sono professore. Dirigo, questo è il mio ruolo qui dentro. Servono abilità molto diverse, meglio precisarlo subito, nel titolo…

Dott.ssa Sinisgalli: Ah… Magari gradisce un caffè?

Preside: Perchè no, anzi, sa una cosa? [Estrae una boccetta di metallo dalla giacca] Ce lo correggiamo questo caffè! Tenga tenga. [Versa una dose abbondante nel bicchiere della psicologa] Signora Capelli, venga, un caffettino corretto? Porti anche suo figlio, uno strappo alle regole si può fare, se lo dice il preside.

La Sig.ra Capelli arriva dal corridoio.

Sig.ra Capelli: Ma, dirigente, il caffè a un minore? Non c’è la cioccolata?

Preside: E che facciamo, la cioccolata corretta? È pur sempre un’idea…

Sig.ra Capelli: Come dice, scusi?

Preside: Signora, qui occorre fare dei distinguo. Il sistema scolastico è quello che è. Ma una cosa è la normativa statale, un’altra la vita qui, nei corridoi, nei cortili, nelle classi. Crede che verranno le telecamere con i giornalisti per parlare di quello che suo figlio ha fatto alle api?

Teresa[appostata dietro al gruppo. Nessuno si gira per guardarla quando parla] Vespe erano! E poi, niente caffè corretto per i bidelli, giusto? Noi passiamo dopo a pulire e tanti saluti!

Sig.ra Capelli: Ha parlato qualcuno?

Preside: Dov’è Tibullo? Un goccetto potrebbe anche fargli bene, indurirgli la scorza e sciogliergli la lingua!

Sig.ra Capelli: E tutti i progetti sulle dipendenze?

La psicologa scoppia in una risata isterica.

Preside: Qui occorre capire cosa è per un uomo il caffè corretto. Il caffè è energia, nervoso. È veglia, quando ci starebbe un legittimo abbiocco. Il caffè significa diventare grandi. Il problema sta nella correzione, dice lei. Ha anche ragione signora, ma non creda, non è solo una questione goliardica. Io mica mi ubriaco…

Dott.ssa Sinisgalli[con fare teatrale] Certo che no!

Preside: L’alcol, in quantità minime, è la controparte della caffeina. Sono uno la nemesi dell’altro, in un certo senso. E noi, che facciamo? [Prende un bicchiere di caffè e lo corregge, poi lo consegna alla signora] Li mescoliamo, sissignora! Noi mettiamo insieme l’ebbrezza con la carica, l’energia con l’intontimento. Diamo uno schiaffo alla logica per pochi minuti di un piacere che non ha senso. Ma di questo abbiamo bisogno, anche il suo Tibullo. Ma dov’è?

Sig.ra Capelli: Credo sia tornato in classe, e comunque la prego di non chiamarlo così.

Preside: Ma non sono io che lo chiamo così. Se andrà alla gita, e non ci andrà, come crede che lo chiameranno? [Beve direttamente dalla bottiglietta].

Dott.ssa Sinisgalli: Non ci andrà? Stiamo parlando di “quella” gita?

Sig.ra Capelli: La gita a carattere naturalistico per alunni selezionati da diverse classi di diversi istituti, dalla quale mio figlio è stato escluso nonostante gli ottimi risultati scolastici e i test attitudinali passati con il massimo del punteggio. Sì, quella gita. [Ingolla il caffè corretto in un unico sorso]. Scusi, la può smettere di fumare?

Dot.ssa Sinisgalli: No, non posso, e adesso, anche se non ne ho voglia, me ne accendo un’altra alla faccia sua, cara signora Comesichiama. Lei è qui per suo figlio, per difendere i suoi diritti?

Sig.ra Capelli: Cazzo, sì!

Preside: Moderiamo il linguaggio, ci troviamo a scuola, se non l’ha notato!

Sig.ra Capelli: L’ho notato. E beviamo grappa e questa qua fuma, ho notato anche questo.

Dott.ssa Sinisgalli: “Questa qua” [fa il segno delle virgolette con le dita] è la psicologa d’istituto, per sua norma e regola. E lei è convinta di fare il bene di suo figlio combattendo per mandarlo a quella gita?

Sig.ra Capelli: So io qual è il bene di mio figlio.

Preside: E lei sa anche come lavoriamo noi, in che modo operiamo le scelte, quali criteri adottiamo? Ma sì, lanciamo una monetina! [Tira in aria delle monete] Facciamo pari o dispari! [Comincia a giocare con Teresa] Oppure possiamo guardare il volo degli uccelli, analizzare le viscere come gli antichi…

Dott.ssa Sinisgalli: Clamati, Pasquini, stai svelando tutti i segreti dell’istituzione! [Altra risata isterica]

Sig.ra Capelli: Mio figlio è un ragazzo intelligente e sensibile, non si merita tutto questo.

Dott.ssa Sinisgalli[accende un’altra sigaretta, ma dopo una lunga boccata la butta nel bicchiere] Ha centrato il punto, intelligente e sensibile, perché vuole condannarlo ad andare proprio a quella gita? Non se lo merita! Ci sono tante iniziative per i ragazzi come lui…

Sig.ra Capelli: Come “condannarlo”? Per favore, non parliamo per metafore!

Dott.ssa Sinisgalli[rivolta al preside] Non lo sa? [Si gira verso la Sig.ra Capelli] Signora, sa di quale gita paliamo, vero?

Sig.ra Capelli: Ma certo che lo so. Solo che è mancata la trasparenza nei criteri di selezione. No, perché se pensate che sia qui a fare polemica, sbagliate di grosso. Chiedo solo, sulla base di cosa avere selezionato i partecipanti? Perché altrimenti un genitore vede i voti, i risultati dei test…

Preside: Eh, i test, signora… I test ci forniscono indicazioni, però,la trasparenza in questi casi…

Sig.ra Capelli: Ma questa è o non è una scuola pubblica?

Preside: Certo che lo è, solo nella scuola pubblica si organizzano queste gite.

Dott.ssa Sinisgalli: Signora, la scuola pubblica! Si faccia due domande e si dia due risposte.

Sig.ra Capelli: Quali domande?

La psicologa si nasconde il viso tra le mani.

IV

Aula insegnanti. Dal corridoio arrivano le grida degli insegnanti in classe, insieme ad alcune risate. Insegnanti e bidelli vanno e vengono dalla porta aperta. La stanza è sporca e disordinata.

Preside: Grazie, professor Lunardi, per la disponibilità. Dobbiamo parlare di un suo alunno, la cosa è piuttosto urgente.

Prof. Lunardi: Ma si figuri, è sempre un piacere perdere preziosi minuti di lezione. L’atmosfera stava diventando opprimente là dentro. Per fortuna che noi abbiamo sempre la porta aperta…

Sig.ra Capelli: Merito del mio Francesco, immagino.

Prof. Lunardi: Merito della puzza. C’è sempre un odore insostenibile là dentro, ma non darei la colpa a suo figlio…

Sig.ra Capelli: No, Francesco non puzza, odora di mughetto. È solo che ha questa fissa delle porte aperte, anche a casa. Lui vuole che tutte le porte siano sempre aperte. Per lui non esiste privacy, la possibilità di comunicare viene prima di tutto. Se si condivide la vicinanza nello stesso edificio, dev’essere possibile chiamarsi, vedersi, parlare direttamente. Se una porta è chiusa, va in agitazione. So che può sembrare bizzarro, ma è una cosa che ha reso la nostra famiglia molto coesa. Con la sorellina, poi, ha un legame unico…

Preside: Questa cosa mi ha fatto riflettere, signora. Sa che potrebbe non essere una cattiva idea? Porte sempre aperte… Anche la portiera del pullman potrebbe restare aperta.

Prof. Lunardi: Scusate, ma di chi stiamo parlando? Francesco chi?

Preside: Tibulli.

Prof. Lunardi: Ah, Tibullo! Ma che ha combinato? Non è uno da convocazione dei genitori. Un bravo studentello, niente da dire. Forse un po’ debole caratterialmente, ma potrebbe rafforzarsi negli anni. Oppure no, ma chi se ne frega! [Ride].

Preside: La mamma, qui, si chiede perché non l’abbiamo scelto per partecipare alla gita… [Lunardi lo guarda perplesso] Quella gita.

Sig.ra Capelli: Non mi fraintenda, professore, non sono uno di quei genitori che si lamenta se il figlio non ottiene tutto quello che vuole. Per me, però, in questo caso è stata commessa un’ingiustizia. Proprio qui, dove non si parla altro che del progetto sulla giustizia riparativa.

Prof. Lunardi: Ah, ma Signora, guardi che io Tibullo alla gita ce l’avrei anche mandato.

Preside: Ma, Davide! Non eravamo d’accordo? Mantenere tutti la stessa linea…

Prof. Lunardi: Che linea?

Preside: Non li leggi i messaggi? Ti ho scritto poco fa. E sì che hai sempre il telefono in mano, anche in classe e alle riunoni!

Prof. Lunardi: Ma sa che oggi non prende niente? Un nervoso!

Preside: Con tutto quello che abbiamo speso per il wi-fi a scuola! Non mi capacito di come il segnale sia sempre debole…

Sig.ra Capelli: Scusate, mi dispiace per il vostro wi-fi, ma la gita?

Prof. Lunardi: Eh, la gita. Che sarà mai questa gita periodica per la meglio gioventù? Il nostro Tibullo non ci dovrebbe andare, così a prima vista. Ma è un ragazzino debole, troppo empatico. Non l’ho ancora inquadrato, devo essere sincero. Eppure non starei a pensarci più di tanto. Anche questa è giustizia riparativa, in un certo senso.

Sig.ra Capelli: Il fatto che mio figlio sia stato escluso dalla gita è giusto? E cosa mai dovrebbe riparare?

Prof. Lunardi: No, non mi ha capito, mi dispiace. È troppo fissata sulla sua idea e non mi sta ascoltando. Continua a ripetere le stesse cose, credo che lo farà fino a quando non avrà ottenuto ciò che vuole. Forse è inutile stare qui a parlare, ma parlerò lo stesso, altrimenti mi tocca rientrare in classe [ride].Vede, tutti noi dobbiamo pagare un tributo, prima o poi. Pensiamo di meritarci il meglio, se non arriva rimaniamo delusi, ma la verità, signora, è che nessuno qui ci ha promesso niente: fortuna, soldi, felicità, gite. Niente di niente. Si vivacchia, e bisogna pagare, in qualche modo. Giustizia riparativa? Forse sì, forse c’è sempre qualcuno che sta peggio di noi, qualcuno che se n’è andato prima, troppo presto. Lo meritava? Noi meritiamo quello che abbiamo? Ma certo, siamo brave persone, proprio come quelli che soffrono più di noi senza un motivo. Tibullo è un ragazzo d’oro. Ma vuole andare alla gita… Eh, che vada!

Sig.ra Capelli: Il punto non è quello che vuole, è quello che è giusto! I test che ha superato…

Preside: Ma lei lo sa, signora, come vengono valutati quei test? Sa in che modo interpretiamo i punteggi? Non sono mica voti, dove il più alto è il migliore!

Dott.ssa Sinisgalli: E poi la signora ha detto bene. Il punto qui non è quello che vuole Tibullo. Mi pare che qui stiamo parlando di quello che vuole la signora. Lui vuole andare a questa benedetta gita?

Preside: Dottoressa, mi ha spaventato! Da dove salta fuori?

Dott.ssa Sinisgalli: Sono sempre stata qui [alza il bicchiere col caffè].

Preside: Ah, gradisce? [Alza la bottiglietta con la grappa. La psicologa fa segno di no].

Sig.ra Capelli: Mi dispiace che si continui a girare intorno al punto focale della questione. Evidentemente non riesco a spiegarmi…

Prof. Lunardi: Ma guardi che io ho capito benissimo. Tibullo non va in gita: ingiustizia. Tibullo ci va: ingiustizia cento volte più grande. Ma va bene, in fondo cos’è questa gita se non un tributo? Giustizia riparativa, in qualche modo. Qualcuno paga, per sé e per gli altri. C’è sempre qualcosa da pagare e non dobbiamo chiederci perché.

Sig.ra Capelli: Continuo a non capire, ma secondo me è lei che non ha capito. Ma sa chi è mio figlio? Francesco Tibulli, 2° C, la sua classe?

Preside: Quella che adesso è scoperta. Senti come grida Teresa per farli stare buoni! [Ride].

Prof. Lunardi: E invece ho capito. E non creda, guardi che io sono in disaccordo con i colleghi. Io Tibullo l’avrei mandato in gita!

Preside: Ma se non hai detto niente all’ultimo consiglio!

Prof. Lunardi: Nessuno me l’ha chiesto.

Preside: Glielo chiedo adesso, professore, visto che mi sta mettendo in imbarazzo…

Prof. Lunardi: Imbarazzo? E perchè, dirigente? Non stiamo forse portando avanti un discorso sulla giustizia riparativa? Noi tutti abbiamo qualcosa per cui essere condannati. E allora, ripariamo, restituiamo alla vita quello che abbiamo danneggiato! Come? Anche solo vivendo, si sa. Tibullo, Tibullo… un ragazzino così sensibile. Forse troppo. Penso che anche lui debba pagare il suo tributo, come tutti noi. Quello della gita è un tributo unico. Pensate a quanto è straordinaria la nostra lingua! Basta cambiare la posizione dell’aggettivo per avere significati diversi. Un unico tributo: lo si paga una volta sola, questo è sicuro. E nel caso della gita lo pagano anche in pochi per molti, questo è un merito che va riconosciuto ai partecipanti. Sono una cerchia ristretta, elitaria, e personalmente a me va bene così. Ma anche un tributo unico: non ce ne sono altri così, sia per il modo di pagare, sia per la selezione. Un unico tributo, un tributo unico. Tibullo lo merita, ne è degno? Per me sì.

Dott.ssa Sinisgalli: Signora Capelli, c’è ancora? È tra noi? Questo discorso sul tributo l’ha un po’ sballottata, secondo me. E anch’io ho bisogno di un caffè per riprendermi. Al professore qui, piace sfoderare le armi della dialettica, ma non siamo mica tutti sofisti come lui, vero?

Sig.ra Capelli: Tributo? Non la seguo. I tributi si pagano, qui non c’è niente da pagare!

Preside: E come no, signora? Si paga, eccome!

Sig.ra Capelli: Ma a chi?

Preside: Mah, non so… alla statistica?

Prof. Lunardi: Signori, è stato un piacere, ma adesso devo tornare in classe. Mi pare però che la bella chiacchierata non sia ancora finita. C’è qualcuno che non ha ancora detto una parola su tutta questa faccenda, e forse sarebbe il caso di sentirlo, no?

Sig.ra Capelli: E chi, ancora? Abbiamo qui il preside, la psicologa, il professore. Prima c’era anche la bidella. Non so, volete che vada a chiamare la maestra delle elementari? L’allenatore? [Sbuffa].

Preside: Niente da fare. Non ci arriva proprio…

V

Interno di un bar squallido, con pochi avventori. La sig.ra Capelli e la Sig.ra D’Amato, mamma di Gianni, sono al bancone con dei bicchieri.

Sig.ra Capelli: Non ce la faccio più! Non pensavo potesse essere così stancante una mattinata a scuola, anche solo per parlare di una gita. Sembra che non riesca a farmi capire, e sì che sono tutti laureati! Mah, forse fanno finta…

Sig.ra D’Amato: O forse sei tu che non capisci. Scusa se te lo dico così, in modo schietto, ma un atto di umiltà potrebbe non guastare. In fondo, perché ti accanisci tanto per questa gita?

Sig.ra Capelli: Perché l’esclusione di mio figlio è ingiusta! Il Prof. Lunardi mi ha anche dato ragione. Tu fai presto a parlare, il tuo in gita ci va, anche con quel bel collare per bulli. Ti sembra giusto?

Sig.ra D’Amato: No che no)n è giusto, c’è già il collare! Capisco la giustizia riparativa, ma non ha già riparato abbastanza? Quelle scosse si fanno sentire, credimi. Gianni non è mica una vacca che scappa dal pascolo. Non dico che abbia capito i suoi errori, ma siamo sicuri che per riparare serva capire? Certi miei errori di gioventù io li ho capiti dopo i quaranta. Altri li capirò forse prima di morire, forse mai. Non so proprio che cosa si possa pretendere di più da questi ragazzi… [Fa il gesto di bere, ma il bicchiere è vuoto. Cerca il barista con lo sguardo, ma al bancone non c’è nessuno].

Sig.ra Capelli[allunga il suo bicchiere, pieno di vino rosso, verso la Sig.ra D’Amato] E se ti proponessi uno scambio?

La Sig.ra D’Amato beve e non dice nulla.

Mi pare di capire che per Gianni la gita non sia una buona cosa, no? Almeno per te non lo è, con lui ci parlerai tu. Adesso io torno dal preside, sempre se non mi sbatte la porta in faccia, e propongo uno scambio. Francesco va al posto di Gianni. Che mi dici? Così si salvano i numeri, visto che qualcuno ha parlato di statistiche…

Sig.ra D’Amato[Con un sopracciglio sollevato] Ma… sul serio? Cioè, fammi capire, saresti contenta se Francesco andasse al posto del mio Gianni?

Sig.ra Capelli: Ma certo! Cioè, sinceramente non capisco come tu possa non essere contenta. Voglio dire, Gianni, il bulletto, selezionato per la gita…

Sig.ra D’Amato: L’ex bulletto, per piacere. E comunque no, non sono contenta, se ci va. Mi sembra una cosa così inutile! Piuttosto non riesco a capire perché tu…

Sig.ra Capelli: Allora è cosa fatta. Ci vieni anche tu dal preside? Forse è stufo di sentire la mia voce.

Sig.ra D’Amato: Eh, io veramente… penso che il preside ne abbia abbastanza di me, per il bullismo e tutto il resto. Ci siamo già parlati tante volte quest’anno. Mi ero anche già rassegnata, se devo essere sincera…

Sig.ra Capelli: Almeno scrivi due righe! Una mail dove dici che hai parlato con me e saresti d’accordo per lo scambio…

Sig.ra D’Amato: Ma sì, subito. [Inizia a piangere] Scrivo subito. Grazie, grazie!

Abbraccia la Sig.ra Capelli che rimane interdetta, con le braccia lungo i fianchi. Nella foga dell’abbraccio il bicchiere si rovescia.

VI

In classe, c’è una verifica. Gli studenti scrivono in silenzio. La professoressa in cattedra guarda il cellulare.

Marino lancia un bigliettino a Gianni: Bastardo, ti sei salvato!

Da Gianni a Marino: Da cosa?

Da Marino a Gianni: Lo sai da cosa, ho sentito Teresa che parlava con Fausto. Non ci vai alla gita!

Professoressa: Ehi, voi due! Cosa sono quei bigliettini?

Gianni: No, prof, io…

Professoressa: Dammi subito quel biglietto!

Gianni porta il biglietto alla cattedra, mentre Marino lo guarda storto. Fa il gesto di tagliare la gola con l’indice.

Marino[a bassa voce] Idiota! Dovevi ingoiarlo piuttosto che darglielo!

Professoressa: Che storia è questa, chi te l’ha mandato?

Marino ripete il gesto con l’indice rivolto a Gianni.

Gianni, allora non vai alla gita?

Gianni: Io non ne sapevo niente! Ero anche pronto per andare…

Bussano.

Professoressa: Avanti!

Entra Fausto

Fausto: Gianni deve andare subito in presidenza.

Professoressa: Ma qui stiamo facendo una verifica!

Fausto: Ha detto il preside che non gliene frega un cazzo. Subito in presidenza! E anche Francesco.

Professoressa: Chi?

Fausto: Tibullo.

Professoressa: Ah. Va be’, andate, recuperate la prossima volta.

Tibullo e Gianni escono in silenzio, Fausto fa l’occhiolino alla professoressa che arrossisce e nasconde il viso dietro al telefono.

VII

Presidenza. Buio, tapparelle abbassate. Il Preside è seduto in cattedra. Accanto a lui la Sig.ra Capelli. Di fronte Gianni e Tibullo.

Gianni è in ginocchio sui ceci con un cappello a punta con orecchie d’asino, illuminato da un occhio di bue.

Preside: Perché tu, Gianni, bulletto da quattro soldi, saresti degno di andare in gita?

Tibullo[con voce bassa e tremante] Non si potrebbe aprire la porta?

Preside[urla] No! Gianni, rispondi!

Gianni: Io penso di esserne degno, non ho mai sollevato obiezioni. Tutta la mia famiglia era d’accordo. I miei trascorsi da bullo…

Preside: Non mi stai spiegando perché dovresti esserne degno. Mi dici solo, ancora, perché te la meriti. È una cosa molto diversa. Merito e dignità non sono neanche cugini, lo sai?

Gianni[si tocca il collare] Io…

Preside: Ti sta proprio bene quel coso al collo, sai? Si intona con i tuoi occhietti da bulletto di periferia!

Gianni: Grazie…

Tibullo[il viso entra lentamente nel cono di luce in cui è immerso Gianni. Bisbiglia] Se si potesse anche solo socchiudere la porta…

Preside: Basta interrompere, Tibullo! Non è da te…

Sig.ra Capelli: Non mi sembra poi questa gran richiesta! E poi non capisco la necessità di questa sceneggiata…

Preside: Finalmente una cosa giusta! Lei non capisce! Quindi, per favore, silenzio. Lasciate parlare Gianni, adesso sarà felicissimo di rispondere. Gianni, senza quel collare, che cosa faresti? La prima cosa, su, rispondi senza pensare tanto.

Gianni: Beh, io… Io uscirei di corsa da questa stanza, andrei in classe e spaccherei il naso a Marino per tutto quello che mi ha fatto passare nelle ultime settimane. Così, davanti a tutti, senza spiegare niente.

Preside: Un bel cazzotto?

Gianni: No, una testata. È più teatrale. Fa più boss, non so se mi spiego.

Preside: Ecco, Gianni, perché ti meriti la gita. Ma io ti ho chiesto: ne sei degno? Questa volta puoi pensare prima di rispondere.

La Sig.ra Capelli sospira.

Signora, per favore, guardi che è colpa sua se siamo qui adesso. L’ho ricevuta ancora, evitiamo di sbuffare, grazie.

Sig.ra Capelli: Colpa mia? Io ho solo…

Preside: Basta! Non una parola di più o la faccio portare di là. Dico sul serio.

Sig.ra Capelli: Di là? La faccio portare? In che razza di scuola siamo?

Il preside scuote la testa sconsolato. Alza il telefono senza dire una parola. Subito entrano nella stanza Fausto e Teresa.

Preside: Ragazzi, mi dispiace disturbarvi, ma la signora qui ha bisogno di un momento di riflessione in solitudine.

La sollevano di peso mentre lei urla e si divincola. La portano fuori.

[A Tibullo] Che rompipalle tua mamma! Come fai a vivere con lei con tutte le porte aperte, me lo spieghi?

[Tibullo fa spallucce]

Dopo dieci minuti di silenzio, la signora torna in presidenza da sola. È spettinata, una sottile striscia di sangue sotto il naso. Si siede lentamente.

Preside: Gianni, hai pensato abbastanza.

Gianni: Sì, preside. Credo di essere degno di questa gita innanzitutto perché sono stato scelto. Quando la commissione sceglie uno studente, non è giusto farsi troppe domande. Si accetta il verdetto e si va. Ma io in questi dieci minuti mi sono chiesto tante cose e credo di esserne degno perché sono un duro. I bulli spesso sono fragili, hanno problemi a casa. Io no. Mi piace torturare qualcuno per il gusto di farlo, per dimostrare a me stesso che so prevaricare, ottenere quello che voglio con i mezzi necessari. Marino in questi giorni ha provato a fare il duro, mi tratta male, come un deficiente. Ma toglietemi il collare e vedrete come tornerà un agnellino! Sì, me la merito questa gita. E ne sono pure degno!

Preside: La risposta è soddisfacente, non è vero? E tu, Tibullo, io sono sicuro che tu sia degno di questa gita. Bravo studente, ragazzo sensibile e tutto il resto. Ma ribalto la domanda: te la meriti?

Tibullo suda, guarda verso la porta chiusa, cerca sua madre con lo sguardo, ma quella non osa parlare. Gli fa cenni rassicuranti, ma il suo sguardo è spento.

Tibullo[Prende un lungo respiro ed entra nel cerchio di luce. Gianni gli fa spazio allontanandosi in ginocchio] Sì io… io sono il contrario di Gianni. Sono un debole. La mia gentilezza, la mia remissività, sono segno di debolezza. Sono sensibile, e questo mi rende degno di partecipare, ma lo sono troppo. Sento tutto come amplificato dentro di me e non riesco a gestirlo. Questo, in futuro, potrebbe portarmi dei problemi. La depressione, per esempio. Già la sento che mi pizzica, mi tenta con le sue ditacce grigie. Poi ho molte fissazioni, forse non ancora nevrosi, ma chissà…

Preside: Sai, Tibullo, in tutta questa faccenda non hai mai detto niente. Solo sguardi, silenzi, mentre tua madre spendeva fiumi di parole per te. Spendeva o spandeva? Boh… Fosse per lei, ti rimanderei in classe e Gianni, qui, filerebbe in gita a calci in culo. Sarebbe giuso, meglio per tutti. Ma voi due mi avete convinto, davvero. Poche frasi mi hanno chiarito finalmente la situazione. Non siamo infallibili, qualche volta, molto raramente, dobbiamo anche noi tornare sui nostri passi.

Sig.ra Capelli[Con un filo di voce] Questo significa che Francesco va in gita?

Preside: Dovrei riunire la commissione per ratificare la decisione, ma sì, Tibullo va in gita, Gianni viene a scuola. Contenta?

Sig.ra Capelli[Piange] Sì, sì, questo è… giusto. Non mi viene un’altra parola.

Preside: E come stabilito, il pullman si schianterà in un burrone. Ma non si preoccupi, i ragazzi non dovrebbero soffrire. Tu Tibullo ti metti davanti, d’accordo?

Tibullo annuisce, la Sig.ra Capelli si alza con gli occhi sbarrati e le mani alla bocca. Ha un attacco di panico.

Chissà, magari con il portellone aperto sarai il primo a volare fuori!

VIII

Uno sgabuzzino stretto, con scope e detersivi sugli scaffali. C’è solo una sedia. Teresa e Fausto conducono la Sig.ra Capelli, che non oppone resistenza.

Fausto: Non legarla forte, che questa l’abbiamo conciata già prima.

Teresa: Ma una mamma è sempre una mamma, tu non puoi capire. Se potrebbe ci spaccherebbe i denti a tutti e due.

Fausto: Potesse.

Teresa: Che?

Sig.ra Capelli: Se potessi mi ammazzerei con queste mani. Legatemi bene.

Teresa: Eh no, che le mani servono per le firme, i permessi.

Sig.ra Capelli: Non firmo niente. Fate voi…

Fausto[Ride sommessamente] Oh sì che firmerà!

Tibullo[Da fuori] Sì che firmerai. [Entra].

Teresa e Fausto escono in silenzio, ma urtano gli scaffali e fanno cadere un po’ di bottiglie e fustini. Un pungente odore di candeggina si spande per la stanza.

Sig.ra Capelli: Che puzza insopportabile! Me la merito…

Tibullo: Io la sopporto benissimo, è l’odore della pulizia, dei batteri che muoiono. È una cosa buona che i batteri muoiano, non è vero, mamma? [Va a chiudere la porta]

Sig.ra Capelli: Cos’è, ti vanno bene le porte chiuse, adesso?

Tibullo: Certo, qui non ci sono esigenze di comunicazione, sto parlando con te e basta. Non serve che qualcuno senta. Bisogna stare attenti a Teresa, che ha le orecchie lunghe!

Teresa[Da fuori] Le mie orecchie sono bellissime, tutti me le guardano!

Tibullo: E poi voglio che la puzza di candeggina resti qui dentro, così ci purifica i polmoni. Sai che l’anima sta nei polmoni? L’ho letto da qualche parte.

Sig.ra Capelli: Credevo che le porte aperte avessero un significato più profondo per te, e adesso una porta aperta ti ucciderà…

Tibullo: Oh, ma ce l’hanno, eccome. All’inizio volevo solo che Ginny si schiantasse per le scale, o che andasse verso qualche pericolo. Poi la necessità è diventata abitudine, ma all’inizio credimi, erano porte spalancate verso la morte…

Sig.ra Capelli: Ginevra? La tua sorellina? Volevi si schiantasse per le scale?

Tibullo: La rompipalle! Sì, e lo voglio ancora, ma ormai conta poco. Grazie, mamma, per la gita. Volevo andarci con tutto me stesso. Essere uno di quelli che pagano per tutti. Me lo merito e ne sono degno!

Sig.ra Capelli: E dov’è il ragazzo sensibile, quello che ha salvato le api?

Tibullo: Le vespe, e le ho portate a morire in una fogna, lo sapevi? No che non lo sapevi, nessuno lo sa. Mi è bastato prendere la regina delicatamente e le altre l’hanno seguita nel tombino…

Sig.ra Capelli: Ma non mi risulta che le vespe nere sciamino seguendo la regina.

Tibullo[fa spallucce] Queste qui l’hanno fatto. Forse è stato quel gesto stupido a far decidere il preside. Non è una cattiva persona, non giudicarlo per i ceci e tutte le scenate. È solo un coglione che dirige un istituto.

Sig.ra Capelli[piange] Sono stata io a convincerlo. E così andrai a schiantarti con tutti gli altri. Ma perchè, che progetto criminale è questo?

Tibullo: Ehi, io mi schianto da solo, ricordi il portello aperto? Mi schianto con stile… [sorride]

Sig.ra Capelli: Sai, io ti conosco. Io ti ho fatto, plasmato, ho deciso per te. Sempre. Anche adesso. Mi stai raccontando cazzate. Ginny, le vespe, vuoi sembrare cattivo, stai recitando la parte del bambino birichino così me ne faccio una ragione. Perché sul pullman salgono solo mele marce, che meritano di morire…

Tibullo: Mi deludi, signora Capelli. Quasi quasi mi viene voglia di rinunciare a tutto.

Sig.ra Capelli: Sì, rinuncia. Chiamiamo il preside, subito!

Tibullo: Ma no, era così per dire, per farti capire che hai sempre sbagliato tutto. Non è così che funziona la giustizia riparativa. È un tributo da pagare alla statistica, tutto qui.

Sig.ra Capelli: Un unico tributo. Un tributo unico.

Tibullo: Esatto! Recito, non recito, che cosa cambia? Tutti i vecchi devono morire, ma ogni tanto anche i giovani. È così, lo è sempre stato. E se non ci sono guerre o carestie…

Preside[Entra trionfante con un calcio alla porta] C’è la gita! La gita che ripara gli strappi, che ricostituisce gli equilibri. E adesso lei mi firma il permesso, perché, si sa, se alla gita non ci vanno minorenni, non funziona.

Tibullo: Grazie, mamma!

Preside: Ma che bravo bambino! Dai, signora, firmare, che qui abbiamo perso fin troppo tempo!

Sig.ra Capelli: Fate quello che volete, ma senza il mio consenso! Non approverò questa roba da assassini psicopatici.

Tibullo: Mamma, [prende dalle mani del preside un pennino secco, con la punta arrugginita] adesso mi metti in imbarazzo. [Con il pennino incide il polso sinistro della madre]. Oh, adesso è pronto, firma!

Il preside le porge un foglio di pergamena, lei lo respinge con la destra.

Preside: Cocciuta fino in fondo! A cosa serve questa scenata, me lo spiega?

La signora urla.

No, per l’amor di Dio, non me lo spieghi! Scherzavo! Quando questa comincia a parlare…

Tibullo ride, poi va a chiudere la porta.


L’AUTORE
Carlo Salvoni, nato nel 1980, vive in provincia di Brescia con la moglie e le tre figlie ed è insegnante di Lettere presso una Scuola Secondaria di Primo Grado. Da qualche anno si dedica alla narrativa fantastica. Ha all’attivo una raccolta di racconti weird (Necromitologia, Elison) e diverse pubblicazioni digitali (con Delos, Hypnos, Opera Narrativa). Suoi racconti appaiono su diverse antologie e riviste specializzate nel genere fantastico. La sua ultima pubblicazione è In Cathedra Succubi, raccolta di racconti fantastici e surreali sul mondo della scuola (Horti di Giano).



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Illustrazione di Luca Bonatesta. Diritti esclusivi di Luca Bonatesta ©