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Emanuelle e gli ultimi cannibali di Joe D'Amato

Emanuelle, giornalista di un periodico scandalistico di New York, va in Amazzonia, con l'etnologo Mark Lester, alla ricerca di una tribù di indios antropofagi, che si riteneva estinta. Alla spedizione, organizzata dal giornale, si aggregano la figlia di un "fazendero", una suora diretta alla missione e due coniugi, che si fingono cacciatori mentre in realtà vogliono ritrovare due sacchetti di diamanti nascosti in un aereo da turismo precipitato nella giungla. Finiranno tutti, tranne Emanuelle, Lester e una ragazza da loro fortunosamente salvata, in pasto ai cannibali. (Fonte: Comingsoon)
All’inizio vediamo Emanuelle, celebre fotoreporter sempre impegnata in servizi sensazionali, ricoverata sotto mentite spoglie in un manicomio femminile. Si porta appresso una bambola, che le serve per scattare fotografie senza essere scoperta. Un’infermiera viene aggredita da una paziente, che le stacca a morsi un seno. Emanuelle scopre un tatuaggio vicino al pube della ragazza, e capisce che appartiene a una tribù di cannibali. Insieme a un antropologo, Mark Lester, organizza una spedizione in Amazzonia, dove è segnalata una delle ultime tribù antropofaghe. Il gruppo dovrebbe raggiungere una missione ma prima d’arrivarci vengono a sapere che la missione è stata attaccata dai cannibali e che non vi sono superstiti. A Emanuelle e a Mark si unisce la figlia di un amico di Mark e, avanzando nella foresta, incontrano un cacciatore e sua moglie. I due in realtà stanno cercando un tesoro. Aggrediti e catturati dai cannibali, i membri della spedizione vengono trucidati uno ad uno, ma Emanuelle, Lester e la ragazza riusciranno a salvarsi, grazie alla reporter che fa credere ai cannibali d’essere la dea del fiume.
In Emanuelle e gli ultimi cannibali i generi sono talmente mischiati che alla fine non si sa bene come definire il film, se un horror, un soft-core, un film d’avventura o un cannibal-movies. Eppure affascina sin dalla prima (scioccante) sequenza. Joe d’Amato era un regista che prendeva sul serio anche la vicenda più assurda. Nel senso che cercava sempre di dirigerla al meglio. Non aveva tantissimi soldi (più di quanti potesse spenderne negli ultimi tempi, comunque), era obbligato a inserire una scena erotica ogni dieci minuti, e andava quasi sempre a ruota di qualche successo altrui. In questo caso i cannibalici di Deodato e i mondo-movies, oltre naturalmente alla Emanuelle nera di Bitto Albertini. Da tutto ciò tira fuori un film che lascia il segno, ben girato, indubbiamente influenzato dallo stile ruvido di registi d’oltreoceano come Romero, Cronenberg e Hooper. Curato, con alcune scene costruite su una buona intuizione narrativa, ad esempio l’uso del montaggio alternato quando Emanuelle ricorda la notte d’amore trascorsa insieme a Lester, tecnica con cui D’Amato trasforma un’esigenza produttiva in grande cinema; e va sottolineata la bravura del Massaccesi direttore della fotografia. Come non mancano le scene erotiche, comprese quelle saffiche (un classico dell’epoca), D’Amato non lesina certo sui particolari raccapriccianti. Resta impressa la colonna sonora di Nico Fidenco, con alcune canzoni che sembrano anticipare la struggente nostalgia postuma per un cinema ormai morto e sepolto.
     
a cura di Roberto Frini