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Kong: Skull Island di Jordan Vogt-Roberts

1973. Una spedizione composta di civili e militari, che comprende il capitano Conrad e la fotografa di guerra Mason Weaver, si reca in un'isola del Pacifico mai visitata prima, chiamata L'Isola del Teschio, per tracciarne la mappa. Gli elicotteri vengono subiti attaccati da un gigantesco gorilla, che la tribù di indigeni considera un dio.
Cominciano a diventare numerosi i film che vedono come protagonista King Kong, specie se si considerano anche le versioni apocrife. Ultima è stata la rilettura d'autore firmata da Peter Jackson nel 2005, apprezzabile fino a un certo punto. Jackson si rifaceva in maniera abbastanza evidente al classico diretto da Ernest B. Schoedsack e Merian C. Cooper nel 1933. Infatti era ambientato in quell'anno. Questo Kong: Skull Island sembra invece riferirsi al kolossal prodotto da Dino De Laurentiis nel 1976 (regia di John Guillermin). Sceglie come sfondo storico il decennio Settanta (il 1973, per la precisione) e nel finale non manca di citare il modello (nonché il seguito, King Kong 2, realizzato nel 1986  sempre dalla coppia Guillermin/De Laurentiis). Siccome oggi come oggi pare che non basti limitarsi a girare un semplice film d'avventura, il regista Jordan Vogt-Roberts s'arrischia addirittura a tirare in ballo la guerra del Vietnam, che volgeva al termine. Tanto da riecheggiare persino Apocalypse Now. Ovviamente si vola basso, con riferimenti al pacifismo e a Richard Nixon un tanto al chilo e celebri brani dell'epoca inseriti ogni dieci minuti per ricordare allo spettatore che siamo nel 1973. Sorvolare sugli eventuali, o evidenti, difetti può essere un modo come un altro per valutare un film, specie quando gli autori li esibiscono con disinvoltura se non con supponenza e se, messi tutti insieme, finirebbero per evidenziarne i pochi pregi, come spesso accade. Uno dei quali (pregio, non difetto) è senza dubbio rappresentato dalla scena finale. Non è un buon segno quando le parti migliori di un film arrivano negli ultimi minuti, cosa che ormai capita spesso (vedi il caso più recente, T2 di Danny Boyle). Però sul finale di Kong: Skull Island si potrebbe scrivere un trattato. Realizzato come un filmino girato in famiglia (sempre nell'ottica di restituire lo spirito dell'epoca, si suppone), segue il personaggio del pilota americano Hank Marlow, rimasto trent'anni sull'Isola del Teschio, nel suo ritorno a casa. Lo vediamo stendersi finalmente sul divano bevendo una birra e guardando una partita di football. Come dire: decine di pellicole sui tormentati reduci di guerra cancellate in un colpo solo. Ma vi si può anche leggere, in filigrana, l'onesta ammissione di chi ritiene impossibile produrre attualmente un serio film di genere fantasy.     

Giudizio: **

  • Titolo: Kong: Skull Island
  • Regia: Jordan Vogt-Roberts
  • Sceneggiatura: Max Borenstein, Derek Connolly, John Gatins, Dan Gilroy
  • Fotografia: Larry Fong
  • Montaggio: Bob Murawski, Richard Pearson, Christian Wagner
  • Musiche: Henry Jackman
  • Scenografia: Stefan Dechant
  • Produttori: Thomas Tull, Jon Jashni, Mary Parent, Alex Garcia
  • Paese di produzione: Stati Uniti d'America
  • Anno: 2017
  • Durata: 118 minuti
  • Cast: Tom Hiddleston, Samuel L. Jackson, John Goodman, Cree Summer, Brie Larson, Jing Tian, Toby Kebbell, Thomas Mann, John C. Reilly, John Ortiz.

  
(a cura di Roberto Frini)