>>> COMUNICAZIONE DI SERVIZIO

Il blog sospende gli aggiornamenti. Per tutte le novità e

ulteriori aggiornamenti visitare il nuovo sito ClubGHoST.it

Collegati al nuovo portale ClubGHoST.it

Allied - Un'ombra nascosta di Robert Zemeckis

1942. Il comandante d'aviazione Max Vatan e l'agente della Resistenza francese Marianne Beausejour, alleatisi per portare a termine una pericolosa missione, si innamorano e si sposano. Qualche anno dopo i superiori di Max gli rivelano un terribile sospetto: che Marianne sia in realtà una spia dei nazisti.
Tra i registi americani d'alto profilo, Robert Zemeckis sembra volersi sottrarre più di altri a ogni comprensibile tentativo di lettura autoriale della sua opera. Non solo frequenta da sempre i generi più disparati, ma lo fa con lo spirito artigianale (da qui l'attenzione, spesso pionieristica, per i trucchi e gli effetti speciali) dei maestri di una volta e senza il timore di utilizzare materiale di base a dir poco convenzionale. Fin dal film che gli diede il successo, All'inseguimento della pietra verde (Romancing the Stone, 1984), Zemeckis ha elaborato strutture narrative classiche, salvo poi proporle attraverso una cifra stilistica che le rimodula a seconda dell'origine testuale. Basta vedere il trattamento riservato a un fantasy eroico come La leggenda di Beowulf (Beowulf, 2007), diventato un piccolo capolavoro fiammeggiante e dirompente. In Allied – Un'ombra nascosta, il regista, come il funambolo del suo penultimo lavoro, The Walk (2015), si muove su un vuoto vertiginoso, da riempire con un cinema impossibile da praticare, almeno per chi non sia abituato a questo genere di sfide. Che significa riuscire laddove gran parte degli altri ormai fallisce, cioè nel trovare un equilibrio tra l'immagine e il movimento. L'intera opera di Zemeckis, d'altronde, è basata su questa dinamica essenziale. Ricordiamo ad esempio una delle sue prime sceneggiature, scritta in coppia con Bob Gale per 1941 – Allarme a Hollywood (1979) di Spielberg. Tra i titoli cardine di quel meccanismo estetico che i nuovi cineasti americani di derivazione (e, in parte, restaurazione) industriale stavano cominciando a sperimentare per poter affrontare gli anni Ottanta (che infatti poi caratterizzerà). Allied – Un'ombra nascosta, ultima fatica di Zemeckis, non fa eccezione. Si sarebbe tentati di evitare qualsiasi accenno alla vicenda, al contenuto, per esaltarne soltanto la forma, o scrivere, come fece qualcuno tempo fa: la forma è il contenuto.  Sottolineare soltanto la bellezza e la precisione dei fotogrammi, estremamente cinetici anche quando non c'è alcun movimento. Dimostrazione definitiva che esiste un dinamismo interno che non deve per forza di cose avere a che fare con l'azione più sfrenata.
Può darsi che suoni come un'imperdonabile ingiustizia nei confronti di Zemeckis rilevare che, rispetto ai capolavori del passato, i titoli recenti sono meno interessanti (non poco interessanti, sia ben chiaro) per ciò che raccontano che per come lo raccontano. Ma tant'è. Una spy-story che è anche (o soprattutto) una storia d'amore, come se non bastasse ambientata durante la Seconda Guerra Mondiale, non può solleticare più di tanto la fantasia. Zemeckis però non si è mai preoccupato del fatto che i suoi soggetti possano apparire poco plausibili. Anzi, col passare del tempo sembra voler persino forzare i limiti “realistici” che certe vicende tutto sommato imporrebbero, come nel caso di Allied – Un'ombra nascosta. Così la trasfigurazione anche visiva voluta dal regista più che a una mera ricostruzione storica appartiene alla dimensione atemporale del sogno, o del cinema: la coppia protagonista, ad esempio, sembra la torsione di quelle della Hollywood del periodo d'oro (non a caso, probabilmente, si incontrano a Casablanca). Le sequenze migliori di un film per il resto ben calibrato e che funziona a tutti i livelli (l'amplesso nell'automobile, l'abbattimento dell'aereo nemico, la visita all'ospedale militare, il tentativo di fuga) sono il risultato di un'astrattezza visionaria che può riuscire solo a pochi.

Giudizio: ****
  
(a cura di Roberto Frini)