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Opera di Dario Argento

Non siamo di fronte a un film come gli altri, e per un motivo molto semplice: nel percorso artistico di Dario Argento rappresenta la linea di demarcazione tra quello che faceva prima e quello che farà dopo. Opera in effetti sembra voler aprire un nuovo capitolo e chiudere con il passato. A cominciare dai riferimenti chiaramente autobiografici della vicenda; tanto per dire, la fidanzata del regista Mark è impersonata da Antonella Vitale, all’epoca realmente fidanzata con Argento. Anche Dario Argento avrebbe dovuto mettere in scena un’opera (il Rigoletto di Verdi) per lo Sferisterio di Macerata, progetto che gli verrà tolto di mano per divergenze artistiche con la direzione del teatro. Molte delle idee di regia Argento le riversa nell’allestimento del Macbethinterno al film. Ci sono poi numerosi riferimenti ai suoi capolavori, primo tra tutti il regista Mark che nel finale vediamo intento a riprendere una mosca legata con un filo alla cinepresa (come in Phenomena). Tutto ruota intorno alla vicenda di una giovane cantante lirica, Betty, che deve sostituire la star del Macbeth, investita da un auto proprio la sera che precede la prima. L’assassino si rivela il commissario Alan, nel passato amante della sadica madre di Betty, che lo obbligava a violentare e uccidere mentre lei guardava. Soluzione e modo d’arrivarci sono certo meno interessanti che in passato, e in questo Opera anticipa in maniera negativa film deludenti come Trauma e La sindrome di Stendhal. Mancano soprattutto la magia e il mistero, anche se l’inizio è promettente e le scene memorabili non mancano. Argento conferma d’avere un talento visivo straordinario e i suoi movimenti di macchina sono sempre eleganti e studiati per accentuare il lato simbolico della storia, che ha un substrato erotico non indifferente.
Come in Suspiria e in Phenomena la figura femminile protagonista è candida e verginale, e il male del mondo che la circonda cerca di corromperla. Il finale (ambientato nelle Alpi svizzere, come l’intero Phenomena) parla chiaro (sin troppo, e la voce del narratore Argento comincia a diventare ripetitiva) e  attraverso la lucertola imprigionata tra gli steli d’erba si riallaccia a quello che resta a tutt’oggi il capolavoro e il film-mito argentiano, il mai abbastanza elogiato Profondo rosso, qua richiamato anche dal terribile rapporto con la figura materna (un’ossessione per il regista). Chiusura di un ciclo, appunto. Non a caso Argento ci metterà parecchio tempo prima di girare un nuovo lungometraggio, dedicandosi alla produzione e alla realizzazione di un piccolo gioiello come Il gatto nero (episodio di Due occhi diabolici), che faceva sperare in ben altri sviluppi creativi.
Opera ha comunque alcuni evidenti difetti che apparteranno al periodo degli anni 90. La figura del poliziotto, ad esempio, troppo grottesca e brutale, troppo americana, preludio ad un imbarbarimento degli assassini argentiani, sempre più simili ai serial-killer d’oltreoceano. L’uso di attori scarsamente dotati e soprattutto poco funzionali: si salvano, ma solo in parte, Cristina Marsillach (che comunque fa rimpiangere la Connelly di Phenomena) e Ian Charleson.
La mancanza di un tema musicale originale, che resti impresso; né l’heavy-metal (più adatto a produzioni come Démoni) né le arie verdiane colmano la lacuna. Opera resterà però nella storia del cinema del terrore per l’idea degli spilli attaccati con lo scotch alle palpebre di Sally, che la costringono ad assistere agli omicidi, per l’uso della louma, con cui Argento simula in soggettiva il volo dei corvi, e per il virtuosistico momento della pistolettata nell’occhio di Daria Nicolodi sparata attraverso lo spioncino. Pregevole uso della tecnica e dei particolari, dunque, che è d’altronde sempre stata una caratteristica argentiana.
Purtroppo però la tecnica non basta a creare l’atmosfera giusta, né a far lievitare la tensione e nemmeno a trasmettere quella sensazione quasi tattile di folle malvagità, di crudeltà malsana, che hanno reso grandi i migliori film di Dario Argento. Tra un buon film sostanzialmente innocuo come Opera e la genialità labirintica e truculenta, maledetta e perversa di Inferno o di Tenebre c’è una certa differenza.
   
a cura di Roberto Fini