Ghost in the shell di Mamoru Oshii

In un prossimo futuro, in cui le reti informatiche influenzano la vita di tutti i giorni, rendendo problematica la distinzione tra ciò che è reale e ciò che è fittizio, la convivenza tra esseri umani e cyborg è ormai un dato di fatto che non desta più scalpore. Le menti delle persone sono diventate poco più di semplici archivi in cui qualsiasi pirata della rete, particolarmente esperto, può permettersi di curiosare. Ed è proprio al gruppo di questi pirati che il fantomatico “Signore dei pupazzi” sembra appartenere, chiamato così perché sarebbe in grado di insinuarsi nelle menti delle sue vittime per far compiere loro crimini o azioni sconsiderate.
Il maggiore Matoko Kusanagi, un’ufficiale della “Shell squad”, il reparto di sicurezza della “Sezione 9”, è un cyborg dalle fattezze di una giovane donna, modificata svariate volte nel fisico, ma con il suo spirito originale rimasto immutato. Sarà compito suo (e del suo compagno di reparto Bateau) riuscire ad individuare e fermare questo misterioso nemico che, in seguito, si scoprirà essere una vera e propria coscienza cibernetica sfuggita al controllo del governo Statunitense, con la segreta ambizione di potersi unire alla stessa Kusanagi e creare così un essere che possa oltrepassare i confini restrittivi in cui i cyborg sono costretti a vivere, considerati dagli umani dei semplici gusci in cui gli spiriti cibernetici sono racchiusi  (ghost in the shell, appunto).

Ghost In The Shell, tratto dall’omonimo manga di Masamune Shirow, fu realizzato nel 1995, per la regia di Mamoru Oshii (Patlabor, Urusei Yatsura). Questo anime può essere considerato uno dei prodotti a metà strada fra le tradizionali tecniche d’animazione e le più moderne computer graphics (presenti oggi in larga parte su cartoni animati come Blue Submarine e Last Exile, dello studio Gonzo), avvicinandolo così a opere come Neon Genesis Evangelion e Cow Boy Bebop, per citare i più celebri.
In questo appassionante cyber-punk i riferimenti a Blade Runner sono evidenti, sia per le ambientazioni che per le tematiche affrontate nel corso della vicenda. L’intera trama, infatti, è costruita attorno ad un senso di precarietà, di dubbio e di tormento interiore: sentimenti, questi, incarnati pienamente dal maggiore Kusanagi, la quale, in seguito all’incontro col “Signore dei pupazzi” (capace di creare uno spirito senza una base di cellule cerebrali umane) inizia ad intuire quali possano essere le risposte alle domande che l’hanno sempre tormentata, a proposito della sua vita, delle sue origini e del suo ruolo in questo mondo in quanto cyborg. La linea di confine tra umanità e cibernetica, tra vita originale e vita ricreata diventa sottile, nebulosa, generando così una tangibile inquietudine e un forte bisogno di punti saldi a cui aggrapparsi per poter riuscire ad andare avanti: solamente andando oltre i confini, infatti, il tema della relazione con l’altro è fattibile, così come la piena coscienza di un mondo a cui ci si deve adattare, per poter infine far emergere l’essenza che più ci è sconosciuta: noi stessi.
Anche Newport City sembra incarnare l’atmosfera che si respira lungo tutta la vicenda: con i suoi grattacieli anonimi, le case abbruttite dal passare del tempo e le sue notti perennemente illuminate diventa una spettatrice decadente, impassibile di fronte alle vicende di personaggi che hanno smesso perfino di guardarsi negli occhi. Non più una metropoli che vive la vita dei suoi abitanti, ma un guscio contenente spiriti ridotti ad anime in pena, proprio come i cyborg che lei stessa discrimina.

L’efficace colonna sonora di Kenji Kawai, con percussioni che sembrano passi nel buio e voci che sembrano invocare aiuto, riesce a mettere in rilievo lo spaesamento dei personaggi, accompagnando lo spettatore in una vicenda in cui tutto sembra inaccessibile.

Ghost In The Shell
Titolo originale: Kokaku Kidootai.
Luogo e anno: Giappone, 1995.
Regia: Mamoru Oshii.
Genere: Animazione, fantascienza. 

a cura di Giorgio Mazzola
     

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