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Codice: P00004-

  

Inception di Christopher Nolan


La singolare professione di Dom Cobb è quella di carpire e impossessarsi dei segreti riposti nelle menti delle persone. L’uomo d’affari giapponese Saito propone a Cobb un accordo: lui e il suo team di “estrattori di idee dall’onirico” dovranno compiere un innesto, ovvero un processo opposto alla solita procedura. Questo innesto (l’”Inception” che dà il nome al film) consiste nell’inculcare un’idea nel subconscio di Robert Fischer, il figlio del rivale in affari di Saito.: alla morte del padre, in fatti, Robert dovrà essere convinto a dividere e a smembrare l’impero economico ricevuto in eredità. In cambio, grazie alle influenze del giapponese, Cobb potrà finalmente tornare dai suoi figli che dovete abbandonare dopo essere stato accusato dell’omicidio della moglie.
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Regia di Chris Nolan (quello dei Batman con raucedine), così come il soggetto e la sceneggiatura. Sceneggiatura assolutamente infallibile, monolitica, perfettamente sincronizzata, come il mega-risveglio del finale. Bel film, storia accattivante, ritmo sostenuto, effetti speciali magnifici… però finisce lì. Si ritorna nella schiera dei già visto, già sentito… Magari pretendo troppo, magari con gli anni il mio livello di sopportazione si è notevolmente abbassato… ma all’uscita dal cinema stavo già pensando ai fatti miei e non mi era rimasto niente di ciò che avevo appena visto. Anche perché da una parte e dall’altra sento gente che acclama questa pellicola come una delle migliori degli ultimi dieci anni; altri che la criticano aspramente mettendo in luce tutte le cose che non vanno. Ecco, io non riesco a fare nessuna delle due cose: semplicemente me ne sto da solo nella mia indifferenza. Perché Inception è bello, ma sembra che tutti siano immediatamente pronti a passare sopra i parallelismi troppo grandi con i vari Matrix, o Al di là dei sogni (la cui storia d’amore richiama tantissimo quella di Cobb e sua moglie – alla faccia di chi ci trova un sacco di spunti originali); ma soprattutto con il papà di questi film con svarioni mentali a livello avanzato: Atto di forza (Total Recall, 1990), con i sogni di qualcuno in cui qualcun altro entra e spiega al primo che è meglio se si sveglia perché sennò finisce male, ma poi subentra il dubbio, perché è tutto così reale che svegliarsi potrebbe voler dire morire e… basta. Basta, vi prego. E’ qui che mi sorge spontanea una domanda: ma se non utilizziamo qui il 3D, dov’è palese che a livello contenutistico le idee siano trite e ritrite, dove vogliamo utilizzarlo? Personalmente non amo questa novità, non sto pubblicizzandola. Ma visto che la maggioranza di quelli che si entusiasmano vedendo Inception, si appassionano alla grande “figata” in sé che esso rappresenta, allora accontentiamoli come si deve elargendo loro quasi 3 ore di orgasmo visivo amplificato dall’ausilio dei mitici occhialetti..

E per piacere: non facciamo più doppiare Ken Watanabe da Haruhiko Yamanouchi: è vero, è assolutamente realistico sentire un giapponese che parla italiano. Ma il doppiaggio non pretende di essere specchio (in questo caso sonoro) della realtà: l’importante è interpretarla a dovere.
Insomma, per non rischiare sempre di fare il noioso trombone che non sopporta nulla, non dirò: “Inception? NO!”, ma: “Inception? Bah…”.
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Voto: buono.

a cura di Giorgio Mazzola
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SCHEDA TECNICA

  • Titolo originale: Inception
  • Genere: fantascienza, thriller
  • Regia: Christopher Nolan
  • Anno: 2010
  • Paese: USA/UK
  • Durata: 148 min
  • Colore: colore
  • Produttori: Emma Thomas, Christopher Nolan
  • Produttori esecutivi: Chris Brigham, Thomas Tull
  • Casa di produzione: Syncopy, Warner Bros. Pictures Group
  • Distribuzione: Warner Bros
  • Soggetto: Christopher Nolan
  • Sceneggiatura: Christopher Nolan
  • Fotografia: Wally Pfister
  • Montaggio: Lee Smith
  • Effetti speciali: Chris Corbould
  • Musiche: Hans Zimmer
  • Scenografia: Guy Hendrix Dyas
  • Costumi: Jeffrey Kurland
  • Interpreti e personaggi: Leonardo DiCaprio (Dominic "Dom" Cobb), Joseph Gordon-Levitt (Arthur), Ellen Page (Arianna), Tom Hardy (Eames), Ken Watanabe (Mr. Saito), Dileep Rao (Yusuf), Simone D'Andrea (Robert Michael Fischer), Mario Cordova (Peter Browning)
  • Premi: 6 Scream Awards 2010
  • Divieti: film per tutti
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Di seguito il trailer originale italiano:
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Somewhere di Sofia Coppola


Johnny Marco è una star hollywoodiana che alloggia nel Chateau Marmont Hotel. Passa le sue giornate partecipando a feste, ubriacandosi, circondandosi di donne disponibili e girando a zonzo con la sua Ferrari per le strade di Los Angeles. Una vita da sogno, ma assolutamente vuota. Un giorno però riceve la visita della figlia adolescente Cleo...


Con Somewhere, il suo quarto lungometraggio, la Coppola si è aggiudicata il Leone d’Oro al Festival di Venezia 2010. Un risultato prevedibile (tanta l’attesa a quattro anni di distanza da Marie Antoinette), ma forse non pienamente condivisibile. Da amante assoluto del suo stile di regia rimango un po’ perplesso nel vedere che in realtà, già al quarto film, dopo circa (solo) 10 anni di attività ad alti livelli, la talentuosa regista stia già facendo i conti con un autocitazionismo ai limiti della ripetitività (speriamo che Tim Burton non sia contagioso). Nulla da dire sulla tipica fissità dei suoi piani sequenza; sulla riduzione all’osso delle performances attoriali; sugli impedimenti fisici dei protagonisti che esternano un’incapacità cronica di relazionarsi pienamente col mondo; niente da dire sulle varie riflessioni autobiografiche anche e (come sempre) soprattutto in chiave musicale: (ri) benvengano, quindi, anche gli Strokes che riciclano una versione “tranquilla” di I’ll try anything once (peraltro bellissima), assolutamente perfetta per l’immagine di padre e figlia in piscina. 
Sì, perché Somewhere è un bel film, a tratti toccante e molto ironico; lento, ma solo perché non può essere altrimenti. Eppure non lascia il segno. Piace, ma non colpisce. Tutto è pervaso da un’orrenda sensazione di già visto: un sapore non nuovo.
Mi pare ovvio che, osservando gli stanchi movimenti di Stephen Dorff, venga in mente il depresso Bill Murray di Lost In Translation. Anzi, devo dire, purtroppo, che questo Somewhere  mi sembra tanto il fratello minore del capolavoro che è valso l’Oscar alla bella Sofia ormai sette anni fa. I parallelismi sono evidenti: una riflessione impietosa sull'attore e sulla sua “condizione” (costretto a recitare per uno spot di Whisky il primo; costretto a stare con un calco sul viso per 40 minuti il secondo); binomio tra ragazza giovane e attore vecchio (qui Johnny è vecchio dentro – ma la maschera da vecchio che gli fanno indossare esplicita il tutto magistralmente); fatidico viaggio all'estero con ovvia ospitata in trasmissione televisiva di paese sottosviluppato in fatto di entertainment (il Johnny Carson giapponese e i “Telegatti” – presa in giro del nostro paese? Non credo); parentesi famigliare davanti alla TV della stanza d’albergo di film che non si capiscono (La dolce vita in Lost in Translation; Friends doppiato in italiano in Somewhere); incapacità fisica che esterna un blocco interiore del protagonista (essere un gigante in Giappone per Murray; avere il braccio rotto e addormentarsi di schianto durante l’amplesso per Dorff). La famosa Porsche che Murray doveva comprarsi per la crisi di mezza età diventa una ferrari in Somewhere (di nuovo Johnny prematuramente vecchio). Mi fermo qui. Ma solo perché amo questa regista e apprezzo i suoi film. E apprezzo onestamente anche quest’ultimo, una magistrale e sublime rappresentazione degli inceppamenti della vita: ancora il braccio di Johnny che si rompe; vorrebbe poter dire a un giovane attore che lui ha studiato recitazione, ma non è così, perché nel mondo dello spettacolo ci è capitato per caso; la fuoriserie costretta dai limiti di velocità cittadini (e che a un certo punto si rompe); il rapporto con la figlia che forse ha una svolta, ma forse no; le colossali dormite nei momenti in cui l’eccitazione dovrebbe irrompere;.la chitarra scordata di Teddy Bear


Apprezzo e rispetto questo film, dicevo: anche se in realtà si riduce all’insieme delle parti noiose di Lost in Translation. Cosa manca in Somewhere, quindi? Forse proprio Bill Murray…



Voto: sufficiente.




Di seguito il trailer originale italiano:



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Grave Secrets di Donald P. Borchers

Regia di Donald P. Borchers - Usa 1990, con Paul Le Mat, Renee Soutendijk, Lee Ving, Olivia Barash, David Warner.






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Moon di Duncan Jones

Regia di Duncan Jones - Gran Bretagna 2009, con Sam Rockwell, Kevin Spacey, Dominique McElligott, Kaya Scodelario, Matt Berry.




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Irina Palm di Sam Garbarski

Vincitore del David di Donatello 2008 come miglior film dell'Unione Europea e del Nastro d'argento 2008 come miglior film europeo, Irina Palm (da noi con il titolo di Irina Palm - Il talento di una donna inglese) del cineasta Sam Garbarsi è un film particolarmente commovente e pieno d'umanità che affronta temi scabrosi con pudore e ironia sapientemente dosata.
La storia è ambientata a Londra. Maggie (una straordinaria Marianne Faithfull) è una signora di mezza età con un figlio che le ha già dato un nipotino. Quest'ultimo però è malato di una rara malattia e per curarlo bisogna portarlo, a spese della famiglia, in Australia.
Per racimolare soldi, Maggie all'inizio cerca un lavoro; ma data la sua età e l'assenza di esperienza non lo trova, finché non legge un annuncio relativo a un lavoro in cui si cercano delle "hostess" (termine eufemistico per "prostituta"). Maggie, senza dire nulla a figlio, nuora ed amiche, entra così nel giro, lavorando in silenzio dietro ad un glory hole, e riesce a diventare in poco tempo la professionista più richiesta, assumendo il nome d'arte di Irina Palm.
Questo le attira l'astio della giovane collega Luisa, che viene licenziata, e la curiosità del proprietario del locale, Miki (un bravissimo Miki Majnolovic), con il quale, tra le iniziali diffidenze reciproche, stringe un rapporto di amicizia che sfocerà nell'amore.
Sorretto da un’abile sceneggiatura che si serve di ottimi attori convincenti (in primis Marianne Faithfull e Miki Majnolovic); in Irina Palm si sorride e ci si commuove. Una prova registica riuscitissima che dimostra come si può fare un film natalizio (la vicenda è narrata a dicembre) e ricco di umanità pur affrontando un percorso scabroso. Da non perdere.
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Voto: ottimo.
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A cura di RedScorpion
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Di seguito il trailer ufficiale italiano:
  

Departures di Yojiro Takita


Daigo Kobayashi è un giovane violoncellista di Tokyo che rimane disoccupato dopo che la piccola orchestra nella quale lavora è costretta a chiudere per fallimento. Non sentendosi all’altezza di provare ad entrare in un’altra compagnia più prestigiosa, decide con grande rammarico di vendere il suo violoncello e di tornare con la moglie al suo paesello d’origine in mezzo alle risaie per ricominciare da zero con un nuovo lavoro. Mentre cerca sul giornale tra i vari annunci si imbatte in quello dell’agenzia NK che titola: “Assistiamo coloro che partono per viaggi” e che ricerca personale anche senza esperienza. Così, convinto si tratti ovviamente di un’agenzia di viaggi, telefona per fissare il colloquio. Parlando con lo strampalato titolare, il signor Sasaki, scopre però che l’annuncio ha un errore di ortografia: la parola giusta non è “viaggi”, bensì “il viaggio”, ovvero l’ultima dipartita: la NK infatti è un’agenzia di tanatoesteti, ovvero di professionisti che curano l’aspetto dei defunti per presentarli l’ultima volta alla famiglia prima della cremazione. Dopo un iniziale tentennamento il giovane Daigo decide di provare il nuovo lavoro, convinto anche dal sostanzioso anticipo offertogli dal suo nuovo capo. Sebbene una volta tornato a casa non sappia come dirlo alla moglie, inizia a pieno ritmo questa nuova esperienza lavorativa…

Basato sull’autobiografia di Aoki Shinmon (Coffinman: The Journal of a Buddhist Mortician), Departures (Okuribito) è il vincitore dell’Oscar come miglior film in lingua straniera del 2009 e del Montreal World Film Festival 2008. Un film la cui preparazione è durata ben 10 anni, con il regista Yojiro Takita che assistette a numerose cerimonie funebri -per comprenderne appieno la giusta atmosfera da ricreare - e con l’attore protagonista Masahiro Motoki che dovette imparare davvero il rito di preparazione dei defunti, per poterlo eseguire alla perfezione durante le riprese.
Takita dirige un film dai ritmi lenti e cadenzati, senza quindi uscire troppo dagli schemi delle produzioni nipponiche di sempre, ma che riesce a commuovere nel profondo grazie anche all’aiuto magistrale della colonna sonora del buon Joe Hisahishi (già autore delle musiche di gran parte dei film di Kitano e Miyazaki) il quale, con la sua innata capacità di saper interpretare in chiave sonora immagini e vicende con temi accattivanti e orecchiabili, riesce a rendere struggente una pellicola già gradevole e molto ironica. Un film delicato che però non scioglie mai il nodo che si forma in gola già dai primi minuti della vicenda e che continua a tenere vivo il sentimento di malinconia pressante che si esplicita appieno grazie alle note del violoncello che accompagna le mosse dei protagonisti. Malinconia, non tristezza, appunto: lo spirito nipponico di questa pellicola è tutto qui, nell’esaltazione a tratti pragmatica della vita (Sasaki e le sue qualità culinarie – “Se vuoi vivere devi mangiare; e se devi mangiare, mangia bene”; la moglie di Daigo che rimane incinta) e della percezione della morte come passaggio, come attraversamento di un cancello immaginario che si vive con dignità e con disarmante tranquillità (anche se le lacrime ovviamente abbondano anche qui). Qualche volta si cade un po’ nella retorica, ma nel complesso il film abbraccia lo spettatore con la sua calda poesia rassicurante e con un profondo senso di totale bellezza.
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Voto: ottimo.

Di seguito il trailer ufficiale in italiano:

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Il cavaliere inesistente di Italo Calvino

Questo romanzo di Calvino si affianca a Il visconte dimezzato e a Il barone rampante creando una trilogia di mitiche figure, quasi un albero genealogico di antenati dell’uomo moderno. Carlo Magno passa in rassegna le sue truppe e tra fango e sangue, solo un cavaliere sembra quasi irreale: armatura bianca, lucida e pulita e portamento regale.

Si tratta di Agilulfo Emo Bertrandino dei Guildiverni e degli Altri di Corbentraz e Sura, cavaliere di Selimpia Citeriore e Fez.
E’ nobile d’animo, pronto a raddrizzare torti, impeccabile e incline alla perfezione come nessun altro.
Ma non esiste! Tutta la sua consistenza è la sua armatura vuota; è l’armatura stessa che trova la forza di essere cosciente attraverso un incredibile sforzo di volontà. Così vengono narrate le avventure del cavaliere inesistente Agilulfo in un medioevo fantastico, dai risvolti ironici e fiabeschi. Egli suscita sentimenti contrastanti: invidia nei sottoposti e colleghi ai quali dispensa ordini e critiche; ammirazione in giovani come Rambaldo di Rossiglione, intenzionato a vendicare la morte del padre e che gli chiede consigli sull'arte del combattimento; amore in donne come Bradamante, coraggiosa amazzone stanca di tutti gli uomini esistenti e di cui si innamora lo stesso Rambaldo.
Personaggio chiave del racconto e scudiero di Agilulfo è Gurdulù. 
Questi è assolutamente all'opposto del cavaliere inesistente. Appare infatti come un pazzo con il quale è quasi impossibile comunicare, cerca di immedesimarsi in ogni forma di vita che incontra e non ha alcuna coscienza di sé. Egli esiste, ma non sa di esserci al contrario di Agilulfo che non esiste, ma sa di esserci.
Questo racconto è uno dei capisaldi della letteratura del novecento. 
Rappresenta la solitudine dell’uomo; evidenzia il vuoto di umanità che pervade il mondo che ci circonda; racconta dei rapporti tra essere e sentire attraverso una narrazione fantastica, viva, geniale e per certi versi magica.

A cura di Fahara Driade


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Amiga Group: presentazione


Prima o poi succede un po' a tutti... quell'impulso irresistibile che ti cresce dentro, la voglia di voler rendere omaggio a qualcosa che hai amato e il gioco è fatto, grazie a Internet.
Inutile nasconderlo, AmigaGroup nasce principalmente come doveroso tributo a quel piccolo gioiello di casa Commodore che in tanti hanno posseduto e ammirato nei favolosi anni '80.
I computer Amiga segnarono una passo indelebile nel campo dell'informatica, sia a livello amatoriale che professionale; in particolare gli Amiga furono i primi computer a introdurre il vero concetto di multimedialità e solo per questo, insieme ad altre innumerevoli caratteristiche, in un certo senso gli siamo debitori.
Il progetto AmigaGroup nasce anche da un forte legame saldamente radicato: con questo spazio per la prima volta esponiamo alla luce del pubblico oltre venti anni di passione tuttora attiva, tra collezioni di sofware, giochi, manuali, riviste, esperienze...
Una stupenda avventura vissuta tra sofferenze, rimpianti e tante, tantissime soddisfazioni.

Amiga Group è un progetto ideato mantenuto e prodotto da Club GHoST. Per collaborazioni, scambio link/banner, segnalazioni errori e quant'altro, contattare la nostra redazione da qui: VAI...



Amiga Group: Kickstart Collection


Elenco dei Kickstart prodotti da Commodore:

Kickstart 1.0
Kickstart 1.2
Kickstart 1.3
Kickstart 1.4 Alpha 15
Kickstart 2.0
Kickstart 3.0
Kickstart 3.1
Kickstart 3.5 Faux



Amiga Group: OS Release


Elenco OS prodotti da Commodore:

AmigaOS 0.7
AmigaOS 0.9
AmigaOS 1.0
AmigaOS 1.1
AmigaOS 1.2
AmigaOS 1.3
AmigaOS CDTV
AmigaOS 1.4
AmigaOS 2.0
AmigaOS 2.04
AmigaOS 2.1
AmigaOS 3.0
AmigaOS 3.1
AmigaOS CD32
AmigaOS 3.5
AmigaOS 3.9
AmigaOS 4.0
AmigaOS 4.1

Amiga Group: personaggi


Personaggi principali Commodore / Amiga:

Jack Tramiel, il fondatore della
Commodore Business Machine.
Cuck Peddle, progettista
del 6502 e creatore del PET.
Michael Tomczyk,
promotore del VIC20.
Staff Amiga 1985.
Staff Amiga 1989-90.
Staff Amiga 2007.
Jay Miner, il padre dell'Amiga
ovvero il creatore progettista.
Carl Sassenrath, il progettista
dell'Amiga OS kernel.
Dale Luck, altro progettista Amiga
e autore del Boing demo.
David Haynie, progettista del bus
A2000 e di periferiche Amiga.
R. J. Mical, sviluppatore di
Intuition per Amiga OS.
Carolyn Scheppner, manager
e supp. tecnico Amiga
detta anche Miss IFF...
Andy Finkel, manager
software di Amiga.
Randell Jesup, responsabile
sviluppo Amiga DOS.
Steve Beats, responsabile
sviluppo Fast File System Amiga.
Fleecy Moss, del team Amiga.
Gary Peake, del team Amiga.
Irvin Gould, presidente Commodore.
Jeffrey Porter, direttore
sviluppo prodotti Commodore.
Werter Mambelli, amministratore
delegato Commodore Italia 1989.
Sergio Simonelli, direttore
generale Commodore Italia 1988.
Petro Taras Tyschtschenko,
ex presidente della
sede tedesca di Amiga Inc.
Bill Mc Ewen, presidente
di Amiga Inc.
Carlo Zambellini, del team
Commodore Italia.
Bill Herd, progettista
del Commodore 128.
Hal Greenlee, sviluppatore
commerciale CBM USA.
DR Tim King, della
MetaComCo (Amiga developing).
Gail Wellington, responsabile
dispositivi Amiga.
Harry Copperman,
direttore USA CBM.
Jim Collas, responsabile
Amiga Inc. della Gateway.