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Invictus di Clint Eastwood


Anno 1995. Dopo l’elezione di Nelson Mandela come presidente del Sudafrica l’Apartheid cade e il paese si appresta ad affrontare una serie di importanti cambiamenti politici e sociali. L’odio fra bianchi e neri persiste e anzi, complice forse la nuova situazione interna, sembra essersi accentuato ulteriormente. Tutto il risentimento della popolazione di colore, dovuto agli anni di privazioni e maltrattamenti da parte dei bianchi, si focalizza su quello che diventa un simbolo dello storico predominio e dell’orgoglio degli afrikaner (i coloni bianchi), ovvero la squadra nazionale di Rugby degli Springboks, rimessa in piedi dopo circa 10 anni di boicottaggio in occasione dei campionati mondiali che in quell’anno si svolgeranno proprio in Sudafrica. Mandela (Morgan Freeman) intuisce che la vittoria in quella competizione potrebbe in qualche modo rafforzare l’orgoglio nazionale da parte di entrambe le etnie in maniera tale da avvicinarle una volta per tutte e decide così i seguire da vicino la squadra, stringendo un solido rapporto d’amicizia con il capitano François Pienaar (Matt Demon), il quale avrà la fortuna di conoscere da vicino il carisma e il grande cuore carico di speranza del suo nuovo presidente. La corsa verso la finale sembra impossibile per chiunque…


Tratto dal romanzo Ama il tuo nemico di John Carlin, ispirato a fatti realmente accaduti, il film è uscito nelle sale italiane nel febbraio 2010, più di due mesi dopo l’uscita in USA.


Se dovessi trovare il corrispettivo cinematografico di 2+2 = 4 Invictus sarebbe uno dei film che citerei al primo colpo. Sceneggiatura solida; ritmo cadenzato ed elegante nella sua pacatezza; fotografia impeccabile e interpreti perfettamente inseriti in ruoli cuciti su misura: un film “come quelli di una volta”, insomma, in cui tutto funziona come un orologio e nulla è fuori posto. Eppure questa volta il Clint Eastwood regista sembra avere un po’ esagerato, adattando con cura e pazienza tutti gli elementi stelle e strisce (patriottismo, simbologie varie, fratellanza, sport, presidente carismatico…) nel paese dei leoni, gazzelle e Apartheid, con una tremenda dose di buonismo, demagogia e quant’altro possa far venire l’orticaria anche al più paziente spettatore di sempre. Nulla si perde, niente viene lasciato per strada, tutto viene riordinato pazientemente e nessuno ci rimette; nessun finale da mordersi le labbra, nessuna lacrima amara: chi si aspettava un altro I ponti di Madison County (The Bridges of Madison County,1995), un altro Million Dollar Baby (id. 2004) o Gran Torino (id. 2008) sarà rimasto deluso perché qui è in scena una favola e niente più. Ma è proprio qui che si ritrova lo scarto: la favola perfetta arriva proprio nel raccontare un fatto realmente accaduto. Una favola nella favola, anzi, la vicenda di un’impresa (l’incredibile percorso del Sudafrica nel campionato del mondo) avvenuta appena dopo un’altra (la vittoria di Mandela alle elezioni). Viene da dire che allora Eastwood non ha “colpe” se la storia ci regala avvenimenti da batticuore come questo, in cui tante volte ci si chiede se davvero ci sia qualcuno che dirige lo spettacolo della vita da lassù, con colpi di scena e trionfi epici. Non riesco a trovare neanche una minima percentuale di allusioni da leggere tra le righe, tutto è alla luce del sole e il bello è, torno a ripetere, che è tutto vero (a parte forse i dialoghi un po’ gonfiati). Quello che posso dire a chi si appresta a vedere questo film è di star tranquillo, perché le possenti mani di Clint, artigiano del cinema, vi coccoleranno dall’inizio alla fine e vi faranno tornare a casa felici e carichi di entusiasmo: “e il naufragar m’è dolce in questo mare” direbbe un certo poeta. E io sono pienamente d’accordo con lui.



Voto: molto buono.




Di seguito il trailer originale in italiano:




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Ufo inseguito da 2 caccia della Raf

Dall'Inghilterra un cittadino ha documentato un fatto davvero strano, capitato qualche giorno fa: sopra la sua testa ha avvistato un disco nero inseguito da due caccia della Raf, l'aeronautica militare britannica. Il filmato, di appena una trentina di secondi, è stato catturato da una stazione di servizio nella contea di West Midlands. «Questo è uno dei migliori video che abbia visto», ha spiegato al Daily Mail Nick Pope, esperto di Ufo, già consulente per il ministero della Difesa inglese.


IL CASO - Caso in pieno stile X-files (d'altra parte ufo e ufologia sono di nuovo prepotentemente d'attualità, ammesso che siano mai passati di moda) o ennesimo tarocco realizzato al computer? In ogni caso, avverte l'esperto militare, «potrebbe anche trattarsi di un nuovo drone - ciò spiegherebbe la presenza dei jet della Royal Air Force». Tuttavia, prosegue, «di solito non si sperimentano questi velivoli in pieno giorno». Il ministero della Difesa si riserva ogni commento, ha però confermato che i caccia si levano in aria per combattere ogni possibile minaccia nei cieli. Anche nel nostro Paese il numero di avvistamenti (e presunti tali) di Ovni, che è l'acronimo italiano di Ufo e sta sempre per «oggetti volanti non identificati», è in continuo aumento: nel 2009 sono state 12 le segnalazioni registrate dal Reparto generale sicurezza dell'Aeronautica militare. Nel 2008 erano state 9 e nel 2007 soltanto 3. L'inserimento dell'avvistamento nell'apposita voce non significa però che gli alieni siano effettivamente tra noi. Ciò nondimeno, un recente sondaggio condotto in 22 Paesi dall'Istituto di ricerca Ipsos per l'agenzia Reuters su un campione di 23mila adulti, evidenzia come un terrestre su cinque creda nell'esistenza degli alieni.


Fonte: Corriere.it
  
  


  

Shutter Island di Martin Scorsese

1954. Gli agenti federali Teddy Daniels (Leonardo Di Caprio) e il suo collega Chuck Aule (Mark Ruffalo) si recano all'Ashecliff Hospital, un ospedale psichiatrico per criminali psicopatici situato su Shutter Island, per indagare sulla scomparsa di Rachel Solando, rinchiusa lì dentro per aver ucciso i suoi tre bambini affogandoli. I due iniziano le indagini affiancati dal dottor John Cawley (Ben Kingsley) un uomo dall’atteggiamento alquanto sospettoso e non proprio disponibilissimo a collaborare. Nel frattempo l’agente Daniels inizia a fare sogni strani con protagonista Dolores, la povera moglie morta in un incendio anni prima, la quale gli riferisce che sia Rachel che Andrew Laeddis (l’uomo colpevole di aver appiccato il fuoco) sono ancora vivi. Il giorno dopo questi spiega al collega che la vera ragione per cui si trova lì è un’altra: anche Laeddis, dopo il trasferimento in quel manicomio criminale, scomparve nel nulla: è sua ferma intenzione ritrovarlo per assicurarsi che sia rinchiuso per sempre, soprattutto per la sofferenza che gli ha causato in vita. Intanto però Daniels inizia a soffrire di pesanti emicranie e sospetta che le pillole offerte dal dottor Cawley c’entrino qualcosa. Rachel viene in seguito ritrovata, ma non risponde a nessuna domanda dell’investigatore, il quale è sempre più sicuro del fatto che quello a cui sta assistendo sia una messa in scena per fargli sviare le indagini (soprattutto dopo aver sentito un paziente che diceva che nel faro poco lontano dall’ospedale venivano fatti esperimenti su cavie umane). Tutti gli elementi portano al faro, dunque, dove il terrificante colpo di scena del finale darà una spiegazione a tutte le incongruenze della storia e agli strani incubi dell’agente Daniels. 


Tratto dal romanzo del 2003 L’isola della paura, Shutter Island vede il ritorno di Scorsese dietro la macchina da presa con l’inseparabile Thelma Schoonmaker al montaggio. Un ritorno ovviamente gradito che, come nel caso de L’aviatore (The Aviator, 2004), il regista celebra con un film un po’ fuori dai suoi “soliti schemi” (affermazioni, le mie, sempre molto generiche, a tratti monolitiche – la follia è un topos scorsesiano, tanto per dirne uno). Un thriller con qua e là qualche spruzzatina di horror, un esperimento che a Scorsese riesce bene, forte soprattutto della sua sempre presente vocazione a far film in maniera e solida e quasi “artigianale”: e difatti quello che si ha di fronte è un prodotto quadrato, perfettamente funzionante e dal ritmo decisamente sostenuto. Tutte caratteristiche che lo rendono un bel film, ma non eccezionale, non un capolavoro, forse perché manca una certa scintilla di follia presente invece in altri suoi precedenti lavori.
Da sottolineare la prova magistrale di Ben Kingsley, in una parte che avrebbe potuto farlo cadere nel tranello del gigionismo e che invece ne ha esaltato le grandi capacità che tutti conosciamo. Una nota dolente per Di Caprio: non a lui direttamente (come sempre fa bene il suo lavoro), ma a Scorsese, dato che, a mio parere, la scelta dell’attore californiano è stata infelice. Il buon Leo è ancora un po’ troppo giovane per ruoli del genere e mi sembra un po’ prematuro doverlo accostare a personaggi come Hank Quinlan (A Touch of Evil, 1958), dato che la stazza di Orson Welles (sia professionale che fisica) è ancora ben distante.



Voto: molto buono.





Di seguito il trailer ufficiale in italiano:




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Avatar di James Cameron

Pandora è la luna del pianeta Polifemo, appartenente al sistema stellare Alfa Centauri. L’anno è il 2154 e una compagnia interplanetaria terrestre, la RDA, vuole sfruttare appieno i giacimenti minerari presenti nel suo sottosuolo. Pandora è una pianetino ricoperto da foreste pluviali e abitato da alieni umanoidi alti 3 metri e dalla pelle bluastra chiamati Na’vi che vivono in pace e armonia con tutti gli altri esseri viventi, animali e vegetali. Dal momento che l’aria del pianeta non è respirabile gli esseri umani creano degli avatar, degli ibridi genetici tra umano e Na’vi che le persone possono controllare a distanza mediante un collegamento neurologico che si innesca grazie a una sorta di stato comatoso raggiungibile all’interno di apposite capsule. Quello che la RDA cerca è l’unobtanium, un particolare cristallo ferroso dotato di un enorme campo magnetico che potrebbe diventare la definitiva soluzione per i problemi energetici che attanagliano il pianeta Terra del futuro. Il più grande giacimento di unobtanium del pianeta, però, si trova proprio sotto il principale insediamento Na’vi di Pandora e, siccome la via diplomatica portata avanti dalla dottoressa Grace Augustin non è servita a farli sgomberare, la RDA si rivolge direttamente all’esercito del comandante Quaritch per passare così alle maniere “forti”. Intanto Jake Sully, un ex marine invalido costretto su una sedia a rotelle, viene chiamato per sostituire il fratello gemello (uno scienziato morto in un incidente) alla guida del suo avatar (solo lui può visto che hanno lo stesso codice genetico). Il comandante Quaritch gli chiede di reperire più informazioni possibili sul popolo Na’vi al fine di poter semplificare al massimo l’operazione militare incombente. Sully riesce ad entrare a far parte (in maniera rocambolesca), sotto forma di avatar, della tribù aliena (durante una spedizione andata male) e riesce così ad accedere alle informazioni e ai segreti più nascosti di quel popolo. L’ex marine, dopo aver capito lo spirito e le usanze di quegli alieni e dopo essersi innamorato di Zoe, la figlia del capotribù, inizierà però a maturare una coscienza e a cambiare lentamente opinione riguardo la missione militare in atto, divenendone uno strenuo oppositore. Ma la macchina senza scrupoli della RDA e dell’esercito si sono ormai messe in moto…

Vincitore di tre premi Oscar (miglior scenografia, miglior fotografia, migliori effetti speciali); due Golden Globe (miglior film drammatico e miglior regista) e due Bafta Awards (miglior scenografia, migliori effetti speciali) Avatar doveva essere il film dell’anno, ma ha rischiato di trasformarsi in un clamoroso flop, complice anche l’esiguo numero di statuette vinte all’ultima cerimonia degli Oscar. Sebbene io abbia affermato più volte che non è il numero di Oscar a determinare la qualità di un film, non posso esimermi dal dire che l’ultima fatica di James Cameron stupisce solo per gli effetti speciali, impressionanti grazie all’uso della tecnologia digitale che ha consentito di non andare oltre i già pazzeschi costi di produzione (circa 240 milioni di dollari). Il progetto Avatar era già nei pensieri del regista dal lontano 1996, ma decise di dedicarsi completamente alla realizzazione di quel Titanic che da lì a due anni sarebbe uscito nelle sale riscuotendo un successo esorbitante. Nel 2005 Cameron tornò a parlare di un ipotetica realizzazione cinematografica di un celebre manga che lo aveva da sempre appassionato, Alita, l’angelo della battaglia (Gunm - Battle Angel Alita, 1991) di Yukito Kishiro: il film si sarebbe dovuto chiamare Project 880, con protagonista un ex marine di nome John Sully. Qui i Na’vi sarebbero stati addestrati come forza lavoro al servizio degli umani ormai ridotti in condizioni pietose, costretti a cibarsi di alghe in un pianeta ormai privo di vita e completamente ricoperto da industrie. Dopo varie modifiche alla sceneggiatura nacque l’odierno Avatar, concepito da Cameron per essere visto in 3D.
Dopo averlo fatto con Piovono Polpette, non posso che tornare a trattare il discorso riguardante il 3D anche con questo film. Sì, perché dopo aver guardato attentamente Avatar mi sono chiesto una volta per tutte quale sia il nuovo corso del cinema commerciale contemporaneo e quale sia la molla che spinge la gente a recarsi nelle sale per godersi le ultime novità da grande schermo. Lungi da me stendere un saggio, in questa sede, sulle principali tendenze della cinematografia degli ultimi 5 anni, sono comunque giunto alla conclusione che il cinema, nella sua tipica e inscindibile dualità ”opera d’arte/prodotto commerciale” ha attraversato (e attraversa tuttora) un percorso che ricorda vagamente un moto sinusoidale i cui punti di massima ampiezza rappresentano ora la massima attenzione verso il cinema come canale di attrazioni; ora come strumento principale di narrazione per vicende o racconti: la stessa differenziazione che si può trovare in un qualsiasi testo di Storia del cinema, insomma, e che riguardava principalmente le considerazioni legate al medium nei primi anni della sua nascita. In quell’epoca, infatti, la visione dei primi corti avveniva anche all’interno dei luna park, e venivano considerati quindi un’occasione di puro svago ed eccitante meraviglia (un’esperienza simile a quella che si prova quando si cammina in una di quelle case degli spettri, onnipresenti nei parchi di divertimento). L’introduzione del 3D, “miracoloso und adrenalinico” espediente per attirare la gente in sala, mi ha riportato improvvisamente indietro negli anni in cui nacque un'altra meraviglia, il Cinemascope, il sistema di ripresa anch’esso introdotto per ripopolare i cinema dopo che la TV aveva inchiodato la maggior parte del pubblico ai divani di casa propria. E’ ovvio che la gente oggi ha molte più scappatoie oltre al singolo tubo catodico (internet, videogiochi…) ed è altrettanto ovvio che l’esigenza di introdurre una sistema d’effetto che possa destare quantomeno curiosità è stata senza dubbio pressante.
Se dunque in pochi si sono accorti (o lamentati del fatto) che Avatar altro non è che una macedonia esageratamente ricca di tutta una serie di film ed esperienze già viste e già “digerite” (anche solo inconsciamente) significa che allora quel che la gente cerca al cinema oggi (mi riferisco allo spettatore medio, mediamente “ignorante”) è soprattutto una dose abbastanza sostanziosa di suggestioni che possano sostenerlo anche una volta finita la proiezione: stiamo allora vivendo in anni in cui il cinema è concepito soprattutto come attrazione e nei quali la ricerca verso soluzioni alternative per quanto riguarda le storie e i modi di rappresentazione è messa un po’ da parte (non considerando, come sempre, le solite isole felici). La mia non è una critica verso il cinema “che stupisce” e soprattutto non è uno sguardo languido e malinconico rivolto ai film “di un certo spessore” (io amo il cinema nella sua totalità), ma voglio solo esprimere la mia personale constatazione rispetto alle tendenze dei giorni nostri. E’vero che i film di maggior successo sono quelli che raccontano sempre la stessa storia (McKee insegna), ma qui Cameron, fondendo tra loro senza ritegno (vado in ordine sparso) Il signore degli anelli, Stargate, Independence Day, Pochaontas, Aida degli alberi, La principessa Mononoke, Nausicaa della valle del vento, Balla coi lupi, Robin Hood e sicuramente tanti altri ancora, dimostra non solo di avere una notevole capacità nella stesura di sceneggiature a prova di bomba, ma anche di saper applicare senza pudore il sopraccitato insegnamento dello sceneggiatore americano (mi riferisco alla frase di Robert McKee).


Se devo, quindi, esprimere il mio giudizio su Avatar devo farlo due volte:


Voto alle suggestioni: ottimo
Voto al film: (appena) sufficiente





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