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L’uomo che amava la luna di Stefano Milighetti

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Guardava la luna, la osservava ogni notte. Ne spiava con avidità la lenta maturazione.
Passava ore intere alla finestra, con la faccia al cielo e gli occhi fissi sull’astro notturno che emanava luce d’argento. Luce che come una subdola radiazione gli sconvolgeva l’anima, dando vita al buio che si nascondeva in lui.
Guardava la luna, e come la luna anche la sua consapevolezza aumentava, si espandeva: sapeva che c’era qualcosa di diverso, qualcosa che cresceva e calava con le fasi lunari.
Non c’erano stati veri e propri segnali fisici del cambiamento, solo flash mentali, immagini distorte, diapositive sfocate d’incubi innominabili.
All’inizio aveva pensato a brutti sogni poi, quando erano stati trovati i primi cadaveri, ogni illusione era crollata: c’erano quegli spezzoni di morte e c’erano i corpi senza vita.
E poi c’era lui, che sentiva l’urlo della sua anima che si gonfiava con il crescere della luna.
Lui era il mostro, la bestia di cui di giorno tanto si mormorava, quando il sole era alto e la paura era facile da tenere a bada.
Tutti, al bar, al negozio di generi alimentari, dal calzolaio, dalla parrucchiera, negli uffici comunali parlavano del “mostro”, senza mai chiamarlo Lupo Mannaro, come se pronunciare quelle due parole comportasse una sicura condanna a morte.
Esorcizzare il mostro rinnegandone il nome, relegandolo nell’indefinito dell'essere per sconfessarne l’essenza, rendendolo così meno reale.
Meno letale.
Lui però sapeva di essere il Lupo, il Mannaro, ed era certo di esserlo in un modo che andava oltre l’immaginario della gente, di là da quelle vecchie dicerie dove si farfugliava di denti aguzzi e pelo ispido. Era sicuro che non ci fosse nessuna trasformazione, che il suo corpo non subisse un’evidente metamorfosi che lo portava dall’Homo Sapiens al Canis Lupus. Quelle erano solo stupidaggini da televisione, negate dalla filosofia e soprattutto dal buon senso.
No, la sua era una trasformazione a un livello molto più alto, impalpabile, quasi metafisico.
Un’evoluzione verso le tenebre che coinvolgeva la sua anima: in lui c’era un mostro che in una notte ben precisa del mese si liberava da quelle catene che lo inchiodavano nei bui recessi dell’inconscio.
In lui c’era una parte di tenebra che riusciva a ergersi a divinità manipolatrice della sua misera carne.
Niente ululati, niente vestiti strappati e soprattutto niente coda. Era la sua anima a essere affetta da licantropia e solo gli occhi, specchio dell’anima, rivelavano la presenza dell’inumano. Gialli come zolfo.
Gialli come la rabbia.
Non c’erano stati sortilegi né morsi, solo un crescente amore per la luna cominciato poco dopo i trent’anni.
Una notte era uscito nel terrazzo.
Aveva posato gli occhi sulla luna e qualcosa si era dischiuso: un amore travolgente per la madre della notte, un amore immenso che come una vela al vento si gonfiava a dismisura.
E dopo la prima luna piena erano cominciate le visioni e con le visioni erano comparsi i corpi.
Chiudeva gli occhi, anche per un secondo, e apparivano i filamenti di sangue e assassinio.
Di vite innocenti immolate alla dea d’argento che scivolava piano nel firmamento notturno, come Barbara e Francesco, sbranati nella loro auto in una stradina frequentata da giovani coppie in cerca di un attimo d’intimità.
Come Sergio, maestro in pensione, ma alcolizzato a tempo pieno, i cui brandelli erano stati ritrovati un po’ ovunque in paese. La cui testa era stata ritrovata dagli spazzini a galleggiare insieme ai pesci rossi nella vasca della fontana ai giardini pubblici.
Oppure Debora, la figlia del sindaco, rinvenuta in un vicolo dietro casa, con la gola squarciata e la gamba destra completamente spolpata.
Rannicchiata in una pozza rossa, rossa del suo sangue.
Rossa come la sua vita.
E lui, ogni volta che aveva la maledizione di socchiudere gli occhi, veniva travolto da ricordi ovattati di corpi straziati dai quali la vita era scacciata con ferocia disumana.
Lui era il mostro e solo lui era il custode di quest’assurda e indecente verità. Neppure sua moglie ne era a conoscenza. Neppure i suoi figli sospettavano di vivere sotto lo stesso tetto del più micidiale assassino di tutti i tempi.
Aveva sentito di gruppi di volontari, di ronde armate determinate a scovare l’assassino.
Di esperti in arrivo da una qualche base dell’esercito, affiancati da un gruppo di esperti con il compito di tracciare con precisione il profilo del “malato di mente”.
Aveva sentito tante voci, frutti avariati del terrore che avvelenava la vita di persone ordinarie che chiedevano soltanto di vivere la propria vita in santa pace.
Aveva sentito tante cose, ma solo una era quella che contava davvero: lui era il Lupo Mannaro. Questa era l’unica verità, nata dalle tenebre secolari che da sempre incalzano lo scorrere degli uomini.
Lui sapeva, lui vedeva, lui solo era il custode di quella nera conoscenza che si nascondeva tra il caos del cuore dell’uomo.
Lui amava la luna, e se durante il giorno una grigia spossatezza lo stordiva, di notte era inondato di vitalità. Di un amore infinito che lo rinvigoriva, facendolo sentire forte e invincibile.
Le scariche chimiche del suo corpo erano devastanti, con picchi di piacere assoluto alternate a stilettate di gelido torpore.
Poi il buio, la nebbia, il non ricordo, con i desideri che, come la luna, iniziavano ad attutirsi.
Una nebbia senza memoria squarciata da lampi rossi di gole azzannate e corpi divorati. Di cuori strappati alla carne viva.
Immagini contorte di bambini in fuga, di una ragazzina dalle trecce rosse con le ginocchia sbucciate.
Di una bambina impiccata alle catene dell’altalena, lì al parco giochi.
Alzò gli occhi al cielo, a un cielo limpido d’inizio autunno.
La luna quasi piena gli sorrise: lui era il mostro, il Lupo Mannaro.
Lui era l’uomo che amava la luna.
   

Pensiero del giorno - Robert Englund 14/09/2015

Essere morto non era un problema, ma essere dimenticato quello si cazzo! (Robert Englund in Freddy vs. Jason)
 
 

Fantasmi da Marte di John Carpenter

Da tempo colonizzato, il pianeta rosso è stato prescelto quale soluzione alla saturazione del pianeta Terra: 640.000 persone vivono e lavorano su Marte, sfruttandone le ricchissime risorse minerarie. Per assicurare la sopravvivenza umana, un tenente di polizia ed un pericoloso criminale uniranno le forze contro i fantasmi di Marte. (Fonte: Ibs)
Su Fantasmi da Marte, girato nel 2001, si può dire tutto, tranne che non sia un film in puro Carpenter-style. Come ha fatto Dario Argento con Nonhosonno, Carpenter sembra voler omaggiare se stesso. Così ecco i fantasmi che tornano per vendicarsi (e la nebbia, che qui è polvere ed è rossa) di Fog, l’alleanza tra un poliziotto e un bandito di Distretto 13, l’atmosfera sulfurea di Il signore del male. E la città mineraria ormai preda dei somiglia alla Manhattan di 1997 Fuga da New York, la dicotomia umano/non-umano rimanda a La cosa (come pure l’ambientazione marziana desertica), i lunghi combattimenti a Grosso guaio a Chinatown. Certo ci sono anche delle novità: il fatto che la vicenda si svolga in una società matriarcale e che l’eroe sia una donna (Natasha Henstridge), testimonia che Carpenter si guarda intorno e coglie i mutamenti e l’aria che tira (anche a Hollywood, dove diventano sempre più numerosi i film che hanno come protagoniste eroi in gonnella e donne d’azione); il tentativo non sempre riuscito di modernizzare e sveltire lo stile di ripresa, che tuttavia mal si coniuga con la narrazione continuamente rallentata dal cambiamento del punto di vista; l’ambientazione marziana, con Carpenter che, pur avendo raccontato spesse volte storie aliene, per la prima volta si trasferisce su un altro pianeta (e il pianeta rosso è stato al centro dell’attenzione cinematografica sul finire del millennio, con film come Mission to Mars di De Palma e Il pianeta rosso di Hoffman, un interesse che però sembra già esaurito). Ma, aldilà di tutto questo, Fantasmi da Marte è un film con il marchio, si può riconoscere la mano di Carpenter in ogni immagine, in ogni scena, in ogni nota musicale. Anche, naturalmente, nello sforzo iniziale di creare un’atmosfera di terrore e di attesa, che però si dissolve quasi subito perché il regista, come spesso gli è accaduto, racconta una storia fanta-horror ma vorrebbe girare un western, e alla scenografia mineraria sembrano mancare soltanto il saloon e John Wayne per diventare una perfetta cittadina della frontiera. Se ciò può apparire come un difetto, rende però il film curioso e intrigante, approfondendo il quale si può cogliere in controluce non solo il mondo creativo di Carpenter, tenebroso e inquieto e irrisolto, ma anche il (non) senso di molto cinema americano contemporaneo.
   
a cura di Roberto Frini
  

Pensiero del giorno - Angelina Jolie 07/09/2015

Aveva ragione... non abbiamo mai avuto speranze. Lo ha affettato per bene e poi lo ha lasciato ai topi... (Angelina Jolie in Il collezionista di ossa)
 
 

Lo strano inverno di Rosita - Edizioni Il Ciliegio

La redazione GHoST segnala Lo strano inverno di Rosita, una nuova e delicata favola per bambini scritta da Valentina Gandini e illustrata da Francesca Corsi edita da Il Ciliegio Edizioni. Si tratta di un libro ricco di poesia attraverso il quale le autrici hanno voluto disvelare un percorso di crescita. Protagonista di questa avventura è Rosita, una tartaruga che, a causa di un risveglio inaspettato, si ritroverà a fare i conti col freddo inverno. La tartaruga è molto preoccupata e decide di chiedere aiuto agli animali del bosco, che si prodigano in consigli per farle riprendere sonno. Rosita prova a bere una tisana, ad ascoltare una musica rilassante e a leggere un libro noioso... ma purtroppo nessun rimedio è efficace e deve recarsi dal vecchio gufo saggio della foresta.
Quando finalmente Rosita arriva dal gufo Grigiulio, ormai l’inverno è finito ed è arrivata la primavera: il suo problema, in questo modo, si è risolto da sé. Rosita, durante il suo cammino, è stata tanto presa dalla preoccupazione da non accorgersi della bellezza della stagione appena trascorsa...
Un racconto ricco di elementi descrittivi legati al passaggio dalla stagione invernale a quella primaverile che traccia il percorso di un viaggio che il bambino può raffigurarsi mentalmente, trasformando le parole in immagini e disegnandole come su una mappa. Una fiaba che insegna che ciò che noi consideriamo un contrattempo può essere un’opportunità per vivere una situazione diversa e positiva e che spesso, presi dalla preoccupazione e dall’ansia di risolvere un problema, complichiamo ancor più la nostra condizione.
Lo strano inverno di Rosita, Anno: 2015, pagine: 48, Codice ISBN: 978-88-6771-218-2,
Collana: Ciliegine dai 6 ai 99 anni, Editore: Il Ciliegio Edizioni. 
       
       
LE AUTRICI
Valentina Gandini, nata a Monza nel 1977, è laureata in Filosofia e, dopo un periodo di insegnamento, lavora nell’ambito della comunicazione e del sociale. Crede nell’importanza delle favole come mezzo per scoprire la realtà con la fantasia e per esplorare emozioni e sentimenti. Nel 2012 ha pubblicato con Edizioni Il Ciliegio il racconto Il cannocchiale magico.
Francesca Corsi, nata a Milano nel 1977, laureata in Scenografia all’Accademia di Belle Arti di Brera, lavora nell’arredamento di interni. In parallelo porta avanti la sua passione per i bambini organizzando laboratori che li avvicinino all’arte attraverso l’ambientazione favolistica, la sperimentazione e il gioco. Amante da sempre dell’illustrazione per bambini, con questo racconto pubblica i suoi primi disegni destinati a loro.
        

Pensiero del giorno - Wes Craven 02/09/2015

Facciamo i conti con la paura tutti i giorni, da quando nasciamo a quando moriamo. Ho avuto molte paure nella mia vita. Ne ho avuta tanta quando è morto mio padre e io avevo solo sei anni. Ora sono anziano, le uniche paure che mi rimangono sono quelle della malattia, per me e per i miei figli. (Wes Craven)
   
       

Il golem di Frank Graegorius

Frank Graegorius è considerato un autentico genio della Letteratura Nera. Uomo eccezionalmente colto, dotato di una sensibilità quasi medianica. Possedeva una biblioteca comprendente 6.000 libri di Occultismo e Scienze Psichiche; e inoltre una collezione di rarissimi grimoires (libri di magia medievale) reperiti nei vari Paesi del mondo.
Dai suoi innumerevoli viaggi in Scozia e Boemia, Frank Graegorius ha raccolto leggende, cronache di avvenimenti misteriosi; ha vissuto esperienze insolite, a volte piacevoli, a volte terribili e pericolose. Lo scrittore ha stretto amicizia con personaggi enigmatici: medium, veggenti, occultisti, fattucchiere, sciamani, zigani, stregoni…
Durante la sua vita Frank Graegorius ha scritto oltre 100 romanzi neri, gialli e poi saggi di psicologia e raccolte di poesie. Nei suoi racconti si ode il vento fischiare nelle brughiere, fra il  crepitio dei fuochi di torba. E si sentono le cantilene stregonesche sussurrate dalle vecchie megere davanti alle bamboline di cera…
Nelle sue pagine vivono i sentimenti estremi, le passioni profonde dell’anima, gli oscuri turbamenti dell’eros, l’inquietudine, l’ansia.
La sua prosa ipnotizza il lettore con descrizioni visionarie e paure ancestrali verso l’ignoto.
I suoi capolavori del  terrore sono: I sussurri delle streghe (The witches’ whispers), Sudario nuziale (Anxiety), Il castello delle rose nere (The black roses), L'organo dei morti (Die totenorgel) , La campana di satana (Ingeborg und der monk).
Nel Golem di Graegorius c’è orrore e bellezza; in questo straordinario romanzo serpeggia l’ansia, vibrano erotismo e paura ed è presente tutto il terribile mistero dell’Esistenza.
Una antica cittadina della Boemia, sui monti Tatra. Un ambiente suggestivo per antichità e tradizioni.
In questo luogo intessuto di folklore fra czardas (danze ungheresi) e riti magici, un uomo subisce paurose avventure sospese fra realtà e incubo.
Formule cabalistiche e amori stregati; lumi vacillanti e terribili visioni simboliche… I fatti si susseguono con ritmo incalzante, spasmodico. Le passioni dell’anima si scatenano e le forze delle tenebre sembrano annientare ogni cosa.
Trascorsa la notte, l’alba con la sua luce lattea metterà in fuga i fantasmi della paura e ritornerà a fluire la vita.
Solo Frank Graegorius poteva scrivere una storia come questa. Perché solo lui sa trasportarci in quei magici mondi dove amore e morte, dove realtà ed illusione ci lasciano impauriti e stupefatti.
   
LA TRAMA
Jan Hodza giovane procuratore legale di Praga, si reca a Poldice sui Monti Tatra in Boemia, perché un cliente vuole vendere la sua proprietà.
All’arrivo a Poldice, di sera in compagnia di Milan un contrabbandiere, succedono avvenimenti drammatici. La natura è solenne, il paese sembra dimenticato dal tempo. Gli abitanti sono schiavi di antiche superstizioni, alimentate anche dagli zigani, e covano un odio profondo per il cliente del Procuratore: Simeon Goldstein è un vecchio ebreo, jeratico, studioso di Ermetismo e Cabala.
Nella sua antica dimora Jan conosce Masha, la nipote del vecchio e resta affascinato dalla sua bellezza. É un incontro karmico che sembra destinato dall’eternità. La ragazza rivela a Jan che suo nonno ha modellato un Golem nella grotta sotto le fondamenta della casa. Il Golem, un mostro di argilla che prende vita da misteriose formule magiche e ingigantisce con le passioni incontrollate dell’Umanità.
Poco dopo Jan incontra Kadrina, la regina degli zigani, che lo invita alla festa nel loro accampamento.
Quella notte, al bagliore dei fuochi e al suono dei violini, durante una danza selvaggiamente voluttuosa, Jan si innamora di Lelia, la figlia della Regina e la fa sua.
Adesso Kadrina si finge indignata, ricatta il giovane perché vuole che sposi Lelia. Jan rifiuta e viene fatto prigioniero dagli zigani.
Ma viene liberato da Milan che lo conduce al sicuro nel castello in cima alla collina, e dopo ore di incubo riporta Jan in motocicletta giù a Poldice.
Il paese è in subbuglio. Gli uomini radunati al Gotto d’Oro hanno deciso di ammazzare il vecchio Goldstein e sua nipote Masha ritenuti colpevoli di avere affatturato il giovane Dmitri. Jan offre a Milan 1000 Corone se lo aiuterà a salvare il vecchio e sua nipote.
Ma Goldstein non vuole abbandonare la sua dimora. Allora Jan e Masha vanno a rifugiarsi nella decrepita casa di Milan il contrabbandiere.
Il subbuglio in paese aumenta ancora di più. La folla inferocita ammazza il Borgomastro, assalta il palazzo di Simeon Goldstein. Nel frattempo Milan tradisce Jan e Masha e consegna i due giovani agli zigani.
A questo punto il Golem, il mostro gonfio della violenza, della malvagità e della crudeltà degli uomini, incomincia la sua opera di distruzione.
Romanzo possente denso di folklore, suspense e atmosfera, superiore perfino al Golem di Gustav Meyrink.
L’Autore Frank Graegorius pseudonimo del Dott. Libero Samale (1914-1985) di Roma, è un ispirato. La sua prosa è ipnotica, fatta di descrizioni visionarie e sensazioni al limite dell’umano.
Copertina del Pittore Mario Caria di Roma. Un uomo terrorizzato fra un sudario e una candela accesa.
Ristampato con la mia introduzione nel 2005: Frank Graegorius Sinfonia del terrore Greco e Greco Editore Milano.
        
SCHEDA
Il golem
Autore: Frank Graegorius
Editore: ERP Roma
Collana: Racconti di Dracula, prima serie, N.42
Edizione: Aprile 1963, pocket, pagine 126, Lire 150
     
a cura di Sergio Bissoli