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Tutti dicono I love you di Woody Allen


In Tutti dicono I love you Woody Allen  appassiona il pubblico con una forma nuova del musical, travolgente e generoso che sfiora ricordi appartenenti unicamente a film surreali.
Allen gestisce un acrobatico movie governando con maestria ogni singolo dettaglio, il suo stile psicologico e ironico dona carattere ai personaggi da lui modellati che vivono in una New York esclusiva, romantica a al contempo nostalgica ritrovata nei lunghi viali dove Allen  nel ruolo di Joe Berlin, uno scrittore intellettuale ed insicuro, li descrive passeggiando o intonando un divertente jogging con Bob Dandridge (Alan Alda) amico trovato per caso nel giorno in cui il suo matrimonio finiva, e Bob subentrava a fare le veci di marito devoto e politico affermato.
Con la sua ex moglie, una insolita Goldie Hawan che tralascia l’aspetto comico per calarsi nel ruolo dell’alto ceto borghese riuscendo e interpretare le sottili linee invisibili, rimane un soffuso legame echeggiando verso l’amicizia profonda che Allen spesso descrive nei suoi film ricollegandosi a luoghi impolverati dei ricordi d’amore.
Joe si è trasferito a Parigi ma nella città che dovrebbe diventare la sua affermazione sociale, vive in un continuo stato comatoso dato che le sue relazioni proseguono a lasciargli amaro nel cuore, non crede più in se stesso e torna a far visita alla famiglia allargata di Bob per trarne consiglio o semplicemente per sfogarsi.
In casa, descritta da una scenografia accurata, viva, realmente costruita attorno ai caratteri dei protagonisti, prende vita  spesso un’animata discussione, perfettamente colorata dalla sceneggiatura di Woody Allen, tra Bob e suo figlio Scott per questioni politiche.
  
Il padre non si capacita del fatto che Scott si sia intestardito a difendere le parti opposte, ma più tardi risplenderà il sorriso sul suo volto perché si scoprirà che Scott, dopo essere svenuto ed esaminato dal medico, aveva un danno celebrale non grave che gli procurava cambi di personalità.
Joe viene accolto festosamente in casa coccolato dalla sua ex moglie e da sua figlia Dj, la quale sarà la voce fuori campo dell’intero film delineando il carattere dei protagonisti in maniera disinvolta, creativa, permettendo così allo spettatore di non perdere il nesso logico nella trama ben intrecciata.
Joe, per le vacanze estive si rifugia con sua figlia a Venezia, la città lacustre che vede Allen come suo affezionato coinquilino, è dipinta nella sua interezza tra arte e labirinti architettonici dove Joe, conquista l’affascinante Von Sidell  (Julia Roberts)  tramite i consigli di sua figlia che conobbe Von  quando, in un pomeriggio afoso, decise di andare a casa di una sua amica. Come passatempo un buco sul muro collegava la stanza della ragazza con lo studio psichiatrico della madre e lì Von lasciava libero sfogo alle sue fantasie.  
  
Ora Joe sapeva, sapeva del Tintoretto, sapeva delle gerbere, sapeva dell’appartamento di Parigi celato nei sogni di Von.
Un fiabesco anno li travolge fin quando lei ormai soddisfatta nei suoi più intimi segreti lo lascia.
Joe ritorna a New York, ora intonata da un’alea malinconica, e qui d’improvviso la trama riprende brio attraverso uno stravagante succedersi di eventi che vede coinvolto Edward Norton nei panni di Golden Spence, giovane romantico innamorato della prima figlia di Bob, a riconquistarla dopo che Charles il gangster ripulito la vuole per se.
Di colpo muore il padre di Bob, ed il funerale si inebria di colori ed effetti magici, ironici che solo Woody Allen poteva gestire su un tema così profondo.
E’ sorprendente l’autoironia che Allen descrive nella festa di fine anno in una Parigi snob, rivedere la somiglianza somatica e l’attaccamento intellettuale nei confronti dei fratelli Marx colpisce l’attenzione ricollocandola verso un soffuso gioco amoroso con la sua ex compagna.
Eccezionale cast per un film svolto completamente senza tralasciare nulla al caso, l’ironia è incastonata perfettamente con la fiaba che appartiene unicamente a Woody Allen.
 
Giudizio: ottimo.

a cura di Iolanda La Carrubba

Kenneth di Stefano Simone

Kenneth è un ragazzo di periferia, con seri problemi a rapportarsi con l’altro sesso; senza un lavoro fisso, senza veri amici e vessato ogni giorno dalle estorsioni di un energumeno senza scrupoli. Una vita triste, passata a subire tutto e tutti, senza la possibilità (e forse senza la volontà) di poter dire la propria facendosi rispettare. Ma in una calda giornata estiva, complice forse la calura e lo stress accumulato, il giovane esplode riversando la sua furia omicida scagliandosi contro i principali responsabili della sua frustrazione.

Tratto da un racconto breve di Gil Brewer e presentato al Festival di Foggia del 2008, Kenneth, per la regia di Stefano Simone, è senza dubbio un lavoro che merita una certa considerazione soprattutto se si tiene conto del budget ridotto allo zero e della velocità di realizzazione (un mese tra riprese e montaggio). Il vincolo imposto dal festival di ambientare la vicenda a Manfredonia si è rivelato essere (a mio parere) la carta vincente di questo progetto: le immagini della Puglia arsa dal sole (resa ancora più desolante e arida dalla fotografia, “sporcata” da un filtro rossiccio che contribuisce anche alla perdita di definizione dei contorni delle figure) sembrano essere l’ideale setting per una vicenda come questa, in cui la mente del giovane protagonista sembra perdere lentamente la capacità di razionalizzare la realtà che lo circonda, arrivando a  incolpare del proprio fallimento anche quelli che in realtà non c’entrano nulla. Un incipit azzeccato, sottolineato dalle puntuali e mai banali musiche di Niko Rubini e dai titoli di testa color rosso che spiccano sullo sfondo giallognolo del paesaggio estivo pugliese, facendo tornare alla memoria gli spaghetti western e il cinema “grezzo” anni ’70 al quale il regista voleva rendere omaggio.
 
Nonostante la recitazione mediocre degli interpreti (ma mai fastidiosa) vorrei sottolineare la buona prova attoriale del protagonista, interpretato da Luigi Di Giorgio, capace di esprimere con essenziali gesti e sguardi il disagio di Kenneth, in bilico tra tristezza, rabbia e frustrazione.
L’unica pecca è forse la scarsa suspance durante le scene degli omicidi, osservati (a mio parere) in maniera troppo distaccata e neutra, con la conseguente mancata definizione di una linea di lettura chiara (cosa si deve esaltare? Il lato splatter o quello psicanalitico?).
Un lavoro complessivamente buono eseguito in maniera intelligente e mai banale.

Giudizio: Molto buono.

a cura di Giorgio Mazzola

Il vento degli angeli di Donatella Castagna

La forza descrittiva è tangibile in questi componimenti d'anima dove la natura rappresenta il preludio della speranza, il momento materiale in cui ogni essere vivente blandisce il proprio sollievo con la meditazione a volte cerebrale a volte istintiva. Questa stessa forza ci accompagna verso espressioni incisive di cruda realtà e sentimenti nonché in un mondo reale, a volte lontano nel tempo, che ridona vita a luoghi e persone.
  
Da questo inconsueto accorpamento di versi e poesie, quasi sintesi di un mondo “usa e getta”, “mordi e fuggi”, Il vento degli angeli si configura invece come attenta e acuta analisi e resa dettagliata e pertinente di luoghi, di sentimenti e di persone, quale ventata di buon senso e di elevata fattura.
Racchiusi nel cuore i ricordi come conchiglie di vita. Lave e ginestre, scalinate pietrose e pergole antiche; il mare turchino e la notte lampare come lucciole d’onda, il Sud “abbraccia e incanta”. Ma, non meno caro al cuore dell’autrice è il Nord: “Frasinetto in fiore, che parla di fontane, di campi e prati, nel frinir di cicale, radiosa estate.”
E così intensa, dettagliata e viva è la natura e ilclima del Nord e del Sud da non capire se l’autrice è una donna del sudtrapiantatasi al nord, o una piemontese innamoratasi del sud, terra divacanze! Solo dalle prose “Gente di paese” si fa chiaro, condescrizioni e bravura letteraria, che l’autrice è di razza e temprapiemontese.
  
L'autrice
Donatella Castagna è nata a Courgné in provincia di Torino. Ha esorditonel 2001 con l'opera "Dal torrente al mare", una raccolta di versi cheracchiudono, come in un cofanetto, piccole perle della sua interioritàe della sua personalità.

Scheda tecnica prodotto
Titolo: Il vento degli angeli
Autore: Donatella Castagna
Editore: Ferrara Edizioni
Codice ISBN: 978-88-95105-03-1
Dimensioni: 14,8 x 20,5 - 126 pagine
Genere: Poesia e narrativa
Collana: Pubblicando 3
Anno: Luglio 2007 (Prima Edizione)
Divieti: Opera per tutti

a cura di Arturo Giachino

Inferno di Dario Argento

Rose Elliot è una poetessa di New York appassionata di storie sulla stregoneria. Un giorno compra “Le tre madri” un libro scritto da Emilio Varelli, il famoso architetto che si dice abbia conosciuto le tre madri degli inferi (Mater Suspiriorum, Mater Lacrimarum e Mater Tenebrarum) e per le quali abbia costruito rispettivamente tre dimore dalle quali si poteva accedere direttamente all’inferno. Le tre dimore si trovano a Friburgo, Roma e New York: Rose inizia a preoccuparsi, dato che la sua abitazione sembra essere proprio quella in cui risiede la più crudele delle tre madri: Mater Tenebrarum. Rose esprime queste sue preoccupazioni in una lettera che spedisce al fratello Mark, uno studente di musicologia a Roma. Nel frattempo, dopo essere giunta in un luogo misterioso indicato dal libro, la ragazza viene assalita ed uccisa da un essere terrificante.
Mark, intanto, preoccupato per la sorella e spinto dalla morte dell’amica Sara che aveva letto la lettera della stessa Rose, torna a New York per indagare sulla vicenda.
  
Recensione 1 a cura di Walter Laurenti
In un triangolo ideale, costituito da tre diverse porte che si affacciano sull'Inferno, il regista romano Dario Argento dispiega la sua visione dell'apocalisse. Friburgo, Roma e New York sono i passaggi segreti del male assoluto, dimore di orrori senza volto che uccidono solo per garantirsi l'eterno anonimato.
"Inferno" costituisce l'apice della filmografia di Argento, un horror straordinario, che mantiene inalterato il suo fascino anche dopo ripetute visioni. Il regista riesce a creare una certa inquietudine anche grazie ad un'attenta ricostruzione scenografica che rende gli edifici simili a castelli moderni con i loro passaggi segreti, oscuri e minacciosi.
Come in “Suspiria”, l'effetto visivo a volte prevale sulla logica, ma questo non compromette la riuscita del film. “Inferno” riprende molti elementi da “Suspiria”, ma li sviluppa in modo più compiuto. La storia delle tre madri, ripresa dallo scrittore inglese De Quincey e con riferimenti all'alchimia, è una delle più suggestive ed affascinanti della storia dell'horror. Qui non abbiamo un vero assassino, come nei primi film di Argento, ma delle "figure" senza volto che agiscono per ordine di una forza soprannaturale (le madri), così come gli animali (gatti e topi in particolare).
La ricerca, da parte dei personaggi del film (in particolare le figure femminili: Rose, Sara ed Elise), del segreto delle tre madri può anche essere interpretata, ad un livello metaforico, come un desiderio di autodistruzione (e questo ci è più chiaro alla fine del film).
Tecnicamente ineccepibile a livello registico, tra le scene più memorabili di "Inferno" vanno sicuramente ricordate: la discesa di Rose nella stanza sott'acqua, la scena nella biblioteca ed il duplice omicidio con il sottofondo del "Va Pensiero" di Verdi.
Un capolavoro assoluto che si avvale della straordinaria fotografia di Romano Albani e delle magistrali e indimenticabili musiche di Keith Emerson.
Giudizio: ottimo.

Recensione 2 a cura di Giorgio Mazzola
Secondo episodio della trilogia ispirata ad un passo del libro Suspiria de profundis di Thomas De Quincey, dopo Suspiria e prima del recente La terza madre. Inferno è forse il più visionario e visivamente illogico film di Argento che qui approfondisce ulteriormente la materia stregonesca immergendovisi totalmente e lasciando da solo lo spettatore a fluttuare nella materia di cui, in questo caso, sono fatti gli incubi. Un film che in tutto e per tutto segna una perfetta continuità col l’episodio precedente, Suspiria, proprio a partire dagli elementi comuni: porte che separano mondi e stati d’essere; corridoi labirintici e stanze claustrofobiche; simbologie a non finire (i gatti, i personaggi deformi, le fanciulle massacrate, le donne bellissime…). Continuità che però è solo visiva: Inferno, infatti, risulta un’opera molto più surreale e apparentemente  senza una logica narrativa, con continui e talvolta incomprensibili scambi di ambientazione tra Roma e New York, città che pian piano sembrano fondersi e confondersi sempre più con i procedere del film.
Certo è che questo film, secondo il parere del sottoscritto (che certo non intende pontificare sui lavori di un maestro come Argento) è ben lontano dalla qualità espressa in Suspiria o (qui è facile fare paragoni) in Profondo Rosso. Inferno è un film che si muove lentamente (molto lentamente) in una direzione che rimane ignota e indefinita dall’inizio alla fine, senza un legame logico tra le scene. Se però in altri film dell’orrore la mancanza di un filo conduttore nella narrazione produce un senso di smarrimento e di angoscia, in questo lavoro l’unico disagio che si prova è la terribile noia che inevitabilmente subentra nell’assistere a sequenze interminabili e insopportabilmente descrittive (il bibliotecario zoppo che tenta di affogare i gatti in acqua, reggendosi a malapena in piedi; Mark che scava il condotto per l’inferno nel pavimento…): una prova di forza e tenacia anche per i più appassionati cinefili che difficilmente storcono la bocca. La suspence semplicemente non esiste, non subentra mai, anche a causa della pessima gestione del sonoro: silenzi laddove ci sarebbe bisogno anche solo di un piccolo rumore per dare un po’ di vita a situazioni sempre troppo statiche; esplosioni di musica rock psichedelica laddove invece il silenzio avrebbe tenuto tutti col fiato sospeso. Un disastro per le orecchie che di certo non aiuta la pellicola a decollare come dovrebbe e che infatti  rimane ben piantata a terra insieme s tutti i suoi interrogativi irrisolti.
Troppo poco, insomma,  così come il tempo concesso alle performance attoriali di Gabriele Lavia ed Eleonora Giorgi.
Giudizio: sufficiente.

Spettri nella realtà

L’Inghilterra vanta una lunga tradizione di fantasmi, di case infestate e di cacciatori di fantasmi.
Harry Price 1881 - 1948 studiò i fenomeni del Rettorato di Borley, la casa più infestata in Inghilterra.
Peter Underwood appartenente al Ghost Club, dopo 40 anni di ricerche e appostamenti notturni in case infestate è diventato una autorità in materia e ha scritto moltissimi libri. Nella sua GUIDA AL CACCIATORI DI FANTASMI egli scrive che esistono differenti generi di spettri:
 
1 Residui psichici. Questi spettri appaiono sempre nello stesso identico modo, riproducono gli stessi gesti, ripetono gli stessi suoni come in un film. Essi seguono i percorsi del vecchio edificio; ad esempio passano un muro se una volta lì esisteva una porta che in seguito è stata murata. Forse si tratta del residuo psichico di un vivente che in condizioni favorevoli può essere percepito da un osservatore sensitivo. Appena l’osservatore si sposta lo spettro scompare perché cambia l’angolo di visuale.
2 Spettri storici. Sono spettri che sembrano legati ad antiche dimore e che sono diventati famosi. Esempio: la Dama Bianca.
3 Spettri ciclici. Sono spettri che appaiono solo in un certo periodo di tempo seguendo ricorrenze annuali, decennali, secolari.
4 Spettri moderni. Si tratta di spettri di persone morte recentemente. Esempio: lo spettro del pilota Bob Loft visto circa 20 volte dopo che il suo aereo dell’Eastern Airline Volo 401 si è fracassato in Florida nel dicembre 1979 uccidendo 101 persone.
5 Spettri dei viventi. Gli spettri di persone addormentate o in stato di incoscienza sono stati visti da parenti o amici. A volte durante il sonno lo spirito (il doppio) del dormiente lascia momentaneamente il corpo.
6 Spettri di moribondi. Categoria molto comune. Spettri di persone in punto di morte appaiono talvolta ai parenti, ed essi comprendono che il loro familiare è in pericolo.
7 Spettri di famiglia. Sono apparizioni di figure simboliche (esempio: Dame velate, Banshee che piangono in Scozia) che preannunciano la morte di un familiare.
8 Oggetti infestati. Sono oggetti che ritengono l'influenza, buona o malvagia, del loro possessore.
9 Spettri fraudolenti. Sono frutto di frode per burla o gioco.
 
1O Spettri dei morti. Sono spettri di persone decedute da poco che appaiono per un breve periodo ai familiari o amici con uno scopo ben preciso: riparare un torto, rivelare l’esistenza di un testamento, ecc.
11 Spettri di animali. Molti spettri di cavalli, cani sono stati visti in USA e Europa; e anche spettri di gatti, pecore, uccelli, animali selvatici e perfino lo spettro di un maiale.
12 Poltergeist. E’ una parola tedesca e significa: spirito rumoroso. Non bisogna confondere i fenomeni poltergeist con gli spettri. Il poltergeist comprende manifestazioni paranormali tipo: sollevamento di oggetti, movimento di oggetti, lampadine che esplodono, acqua che sgorga dai muri, pioggia di pietre, ecc. Il fenomeno è documentatissimo e fotografato. Il poltergeist avviene in presenza di un adolescente psichico con conflitti, insoddisfazioni, frustrazioni. L’adolescente (o il giovane, o l’handicappato) scatena senza volerlo una energia sconosciuta e questa energia va a colpire gli oggetti. Il poltergeist scompare da solo con il tempo e non è mai pericoloso.
 
13 Infestazione. E’ la presenza, in un luogo, di manifestazioni paranormali tipo: venti freddi, odori, colpi battuti, ecc. Nel poltergeist quando l’adolescente in crisi va via, i fenomeni cessano subito.  Nell’infestazione i fenomeni rimangono.

a cura di Sergio Bissoli
    

32 di Michele Pastrello


Nei pressi nella campagna veneta, vicino ai cantieri di una nuova rete autostradale, una ragazza viene inseguita da un uomo elegante con in mano una ventiquattrore e in seguito da lui violentata senza pietà. La poveretta sviene, ma al suo risveglio riesce a colpire l’uomo alla testa con un grosso sasso.  La ragazza, ferita nel corpo e nell’anima, torna a casa e piange da sola. Tutto sembra finito, ma l’incubo sembra ancora pronto a scatenarsi...
  
Il corto di Michele Pastrello, in bilico tra il thriller e l’horror, si sviluppa attraverso una serie di simbolismi non troppo celati, con l’evidente parallelo violenza carnale/degrado ambientale a sottolineare la tematica ambientalista che permea la vicenda. Un lavoro da manuale, con inquadrature dal taglio sempre impeccabile, supportate dalla splendida fotografia di Mirco Sgarzi (anche se a volte un po’ troppo neutra); un montaggio dal ritmo intelligente che sostiene sempre con vitalità anche le scene più complesse (lo stupro in primis). Da sottolineare la grande prova della protagonista femminile, Eleonora Bolla, capace di trasmettere sentimenti d’angoscia e disperazione attraverso gesti e lamenti, senza il supporto di un vero e proprio dialogo.
 
Un lavoro eccellente dal punto di vista tecnico, ma che forse presenta qualche pecca a livello narrativo, con un finale che sembra non dover arrivare mai, preceduto da una serie di cambi di rotta (si passa dal dramma, al thriller, all’horror splatter nell’arco di mezz’ora) che lasciano un po’ perplessi e disorientati (ma forse l’intento era proprio quello), proprio come nell’inaspettato finale di Dal tramonto all’alba (Fom Dusk Till Down, di Robert Rodriguez, 1995).

Giudizio: buono.

a cura di Giorgio Mazzola 

Scomparso Michael Crichton


All'età di 66 anni è morto a Los Angeles Michael Crichton, il medico prestato con immenso successo alla scrittura. Prolifico autore di libri di successo ha venduto oltre 100 milioni di copie tradotti in 30 lingue. Tra i suoi bestseller, universalmente noti per le loro traspoiszioni cinematografiche, Jurassic Park, Congo, Sfera oltre la serie televisiva «E.R.». Nato a Chicago è cresciuto a Long Island (New York). Ha studiato a Harvard medicina.
Michael Crichton è morto dopo una battaglia contro il cancro. Nonostante la malattia, non rivelata al pubblico, la famiglia del romanziere e sceneggiatore ha definito la morte «improvvisa e inaspettata» e ha diramato un comunicato: «Mentre il pubblico lo conosceva come un grande autore che ha posto nuovi confini alle nozioni preconcette del mondo intorno a noi, la moglie Sherry, la figlia Taylor, i parenti e gli amici lo hanno apprezzato come marito e padre amorevole e amico generoso, capace di essere fonte di ispirazione e di saper insegnare a vedere le meraviglie del mondo attraverso occhi sempre nuovi. Lo ha fatto con il suo grande senso dell'umorismo. Chi ha avuto il privilegio di conoscerlo personalmente non lo dimenticherà». Che la morte sia giunta inaspettata, nonostante la malattia che lo aveva colpito, è confermato dal fatto che Crichton stava lavorando al quarto film della serie Jurassic Park ed avesse in programma anche la realizzazione della sceneggiatura del film Westword. Nessun dettaglio è stato diramato sulle circostanze del decesso, i funerali si terranno in forma strettamente privata, ma la data non è stata ancora fissata.