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Io sono leggenda di Francis Lawrence


Anno 2012. Il 90 per cento degli esseri umani è stato spazzato via da un’epidemia terribile, generata da un virus modificato, originariamente creato per la cura contro il cancro. Robert Neville (Will Smith) sembra essere l’unico superstite e si aggira solo per le strade di New York in cerca di rifornimenti e sopravvissuti immuni. Circa il 9 per cento dei sopravvissuti è infatti mutato geneticamente, assumendo delle sembianze e dei comportamenti animaleschi che li fanno assomigliare molto a dei vampiri (vanno a caccia di umani e animali solo di notte, dato che la luce è diventata per loro mortale).  Il Dr. Neville (virologo dell’esercito) tenta quotidianamente di trovare una cura per il terribile male che ha distrutto l’umanità e che ha ridotto i superstiti in mostri.
  
Regia di Francis Lawrence (autore di videoclip di star internazionali come Britney Spears, Will Smith, Alanis Morisette, Gwen Stefani e molti altri), liberamente ispirato al romanzo omonimo di Richard Matheson del 1954 (che ha generato altre versioni cinematografiche, tra cui 1975: Occhi bianchi sul pianeta terra, di Boris Sagal, 1971), Io sono leggenda si è piazzato all’ottavo posto nella classifica di incassi 2007, superando anche 300 di Zack Snyder.
Senza dubbio un ottimo esordio cinematografico per Lawrence, che dirige un film che era in cantiere per la Warner addirittura dal 1995, ma mai realizzato per l’esoso budget che avrebbe richiesto (e che avrebbe avuto alla regia Ridley Scott e Schwarzenegger come protagonista). Film che era lì lì per essere soppresso, data la straordinaria somiglianza (eufemismo) del soggetto di un altro lavoro del 2002, 28 giorni dopo, di Danny Boyle (ma Will Smith in un’intervista giura che ci erano arrivati prima loro e che gli inglesi li avevano solo battuti sul tempo).
  
Io sono leggenda è senza dubbio un bel film, solido, efficace, che non perde mai un colpo dall’inizio alla fine, con effetti speciali sublimi al servizio soprattutto della fantastica e desolante scenografia che descrive una deserta e disabitata New York. Eppure non c’è nulla di nuovo e innovativo: l’ultimo uomo sulla Terra (situazione rappresentata chissà quante volte); la paura dell’oscurità che ogni giorno sopraggiunge portandosi dietro paure e fantasmi interiori dai rumori amplificati e terrificanti; i mutanti, gli zombie e i vampiri, qui accorpati in un unico esemplare di uomo infetto da una sindrome simil-rabbia. 
  
Sarà che forse i lavori efficaci sono quelli che si servono di espedienti assodati e che i film che hanno maggior successo sono quelli che raccontano sempre la stessa storia (McKee insegna), fatto sta che questa pellicola coinvolge fortemente lo spettatore tenendolo incollato alla poltrona non tanto per la paura, quanto per il senso di ansia e malessere che prendono direttamente allo stomaco. Un senso di profonda tristezza, infatti, avvolge tutto il film, proprio perché il tema principale della storia non è la “guerra ai mostri cattivi”, ma la profonda solitudine e il senso di vuoto che questa genera.
Una solitudine che si manifesta anche nella brillante performance attoriale di Will Smith, costretto a recitare da solo per gran parte del film (senza contare i dialoghi con il cane Samantha), una prova della ormai nota maturità stilistica dell’attore americano (che ormai ne ha fatta di strada da Willy, il principe di Bel Air).

Giudizio: ottimo. 

a cura di Giorgio Mazzola

Ratatouille di Brad Bird


Remy è un topolino con il senso del gusto e dell’olfatto sviluppatissimi e con dei gusti culinari molto sofisticati, caratteristiche che lo rendono diverso da tutti i suoi amici della colonia (che si ingozzano di qualunque cosa trovata nell’immondizia), compreso suo padre, preoccupato nel vedere il particolare e innaturale rapporto di suo figlio con il cibo (che il vecchio considera solo come una sorta di “carburante” per il corpo)  Un giorno, a causa di un furto fallito da Remy e suo fratello in cucina, la vecchia signora (la cui casa “ospita” la colonia sotto il tetto) scopre la presenza dei ratti i quali, per non rischiare di morire sotto i colpi delle fucilate, sono costretti a fuggire via. 
Durante la fuga, però, Remy rimane indietro e perde tutti parenti e amici, finendo nelle fogne di Parigi. Fattosi coraggio riemerge e si trova di fronte ad un luogo per lui mitico: il ristorante Gusteau’s, fondato dal suo eroe, lo chef Auguste Gusteau. Osservando i cuochi dalla finestra si accorge che il giovane sguattero Linguini ha per caso danneggiato una zuppa che da lì a poco dovrà essere servita: decide così di intervenire ricorrendo alle sue abilità culinarie, aggiungendo qua e là degli ingredienti che possano salvarla. La zuppa sarà un successo, ma il povero Remy viene catturato dallo stesso Linguini al quale viene dato l’ordine di gettare il ratto nel fiume. Il povero ragazzo è disperato, sia perché non se la sente di gettare Remy nella Senna, sia perché tutti credono che l’autore della zuppa sia lui. Così si sfoga parlando ad alta voce e improvvisamente capisce che il topo non solo comprende ogni sua parola, ma anche che è un abile cuoco, responsabile della buona riuscita della zuppa. Nasce così il sodalizio tra i due, con Remy che riuscirà a far sembrare Linguini un abile cuoco muovendo gli arti del ragazzo come fosse un burattino, tirandogli i capelli nascosto dentro il cappello bianco. La zuppa di Linguini, intanto, inizia ad essere popolare in tutta Parigi, e la sua fama arriva fino alle orecchie dello spietato critico culinario Anton Ego che era riuscito a declassare anni prima il ristorante Gusteau’s, provocando così la morte per disperazione del grande chef…

  
Un successo internazionale, con incassi che hanno superato The Simpsons e 300 e piazzandosi al sesto posto tra i film più premiati al botteghino nel 2007, senza contare che, mentre sto scrivendo, il film è ancora in proiezione. Regia di Brad Bird, già autore e regista di grandi successi come Il gigante di ferro e Gli incredibili, assieme a cortometraggi e alcune puntate della serie The Simpsons. Un regista solido con alle spalle una casa di produzione come la Pixar che sforna prodotti sempre più convincenti e validi. 
  

Ratatouille è ovviamente un film per i bambini, ma non posso non evidenziare il fatto che siamo di fronte ad un prodotto di grande qualità sia per quanto riguarda la produzione, con una computer-grafica che ha raggiunto ormai livelli elevatissimi, sia per quanto riguarda i ritmi narrativi, che lasciano intuire la presenza di una solida e funzionante sceneggiatura alle spalle di tutto. Una pellicola divertente, garbata, che non cade mai nella trappola dell’eccesso e dell’iperbole e che si mostra in tutta la sua scorrevolezza, dividendosi tra scene esilaranti e momenti di rara sensibilità, sempre però in punta di piedi, in maniera raffinata, proprio come la cucina francese della quale parla. E’ difficile, in certi momenti, trattenere le lacrime, anche se non per situazioni commoventi o particolarmente tristi, ma per il senso di gioia e spensieratezza che si respira costantemente e che forse scopriamo di desiderare guardando questo film. Do il massimo dei voti a Bird, per aver saputo “dosare gli ingredienti” in maniera geniale e delicata e lo ringrazio davvero sentitamente per non aver inserito scene di canto che, a mio parere, rendono insopportabile anche il migliore dei prodotti.

E un grande elogio và alle musiche di Michael Giacchino (Mission Impossibile 3, Gli incrediblli) “francesizzanti” quanto basta, che hanno saputo accompagnare tutta la vicenda sostenendola con estremo tatto, ma con un ritmo vivace e coinvolgente.
 
Giudizio: ottimo. 

a cura di Giorgio Mazzola

Archivio GHoST (immagini) - Biomorph

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Suspiria di Dario Argento

Susy Banner è una giovane ballerina americana che riesce ad entrare nella prestigiosa accademia di danza  di Friburgo. Arrivata di fronte alla scuola nota che una ragazza sta urlando delle frasi rese incomprensibili dal rumore della forte pioggia che in quel momento sta cadendo. Dal momento che nessuno le apre alla porta, Susy decide di pernottare altrove. Intanto la ragazza che prima era stata vista urlare torna nella sua camera da letto all’interno dell’accademia stessa. Improvvisamente, però, una presenza diabolica irrompe, uccidendo lei e la sua compagna di stanza.
Intanto, mentre Susy inizia a pernottare all’interno della scuola, si verificano una serie di fatti inquietanti (il pianista cieco morto sbranato dal suo cane guida, dopo aver litigato con la perfida insegnante; strane storie sulle streghe fatte circolare da alcune studentesse…) che insospettiscono parecchio la giovane ballerina americana. Che mistero si cela dietro le mura dell’accademia? Sono vere le storie sulle streghe? Di chi è il respiro che si sente quando scende la notte?
Due anni dopo la realizzazione del suo capolavoro Profondo rosso, Argento ritorna sulla scena continuando la strada  che pian piano l’aveva allontanato dal giallo e dal thriller e che l’aveva avvicinato all’horror e all’occulto. Suspiria è uno dei prodotti più agghiaccianti ed esplicitamente violenti del regista romano, che in questo film introduce l’elemento del fantastico a supporto della consueta vena splatter che più lo contraddistingue. 
Ambientazione spostata nella austera Friburgo, nel cuore della Foresta Nera; personaggi che incarnano i topoi più rappresentativi delle vicende legate al terrore (il pianista cieco, il servitore deforme, la donna psicopatica…); sequenze d’effetto di pura suspence, utili a mantenere elevati i livelli di adrenalina (i vermi che cascano dal soffitto, ad esempio); la stregoneria e i sabba notturni, che in una maniera o nell’altra riescono sempre a risvegliare le paure più recondite anche allo spettatore più freddo. Sono tutti ingredienti che definiscono bene l’atmosfera che si respira lungo tutti i novanta minuti di proiezione e definiscono senza dubbio la qualità eccellente del lavoro di Argento.
Certo, non si può fare a meno di notare una notevole vicinanza alle tematiche, alle situazioni e agli elementi visivi di un altro classico del genere, Rosemary’s Baby di Roman Polanski, ma in generale rimane forte l’impronta stilistica del regista italiano che, a differenza di altri maestri del genere, fa nascere paura e tensione direttamente dalle cose rappresentate e non dai modi di rappresentazione delle stesse, una vena voyeuristica che rende il suo cinema splatter un richiamo al dolore più atavico e profondo.
Naturalmente non si possono non citare i Goblin, la perfetta versione sonora delle visioni terrificanti di Dario Argento, senza i quali, forse (e con questa frase mi farò un sacco di “nemici”), i film di Argento non sarebbero così celebri.

Suspiria (Italia 1977)
Regia di Dario Argento
con Flavio Bucci, Alida Valli, Stefania Casini, Jessica Harper, Miguel Bosè.

Voto: molto buono.