La piccola Chihiro si sta trasferendo, assieme ai
suoi genitori, in un’altra città, un cambiamento, questo, che rende la
ragazzina triste, malinconica e scontrosa. Giunti nei pressi della nuova
abitazione, il padre decide di prendere una scorciatoia, imboccando un
sentiero sterrato che attraversa un boschetto pieno di piante
rigogliosissime e che li porta davanti all’ingresso di una misteriosa e
buia galleria. Dal momento che il gigantesco portale è fatto interamente
di cartapesta i genitori si incuriosiscono e iniziano ad attraversare
il condotto, sebbene Chihiro non sia affatto d’accordo. Giunti
all’uscita, si trovano di fronte ad un’immensa radura, con piante e
colline e, in lontananza, le sagome di quelle che sembrano delle case.
In realtà, più che un centro abitato, sembra un vecchio parco dei
divertimenti chiuso e abbandonato: attratti da un profumo irresistibile e
invitante i due genitori si incamminano al suo interno, credendo che da
qualche parte ci sia un ristorante ancora aperto. Il ristorante
effettivamente esiste, è pieno di pietanze fumanti e succulente, ma non
c’è nessuno dietro al bancone: così i due adulti iniziano comunque a
mangiare, rinviando il momento del pagamento al termine del pasto. La
piccola Chihiro, intanto, è sempre più nervosa, sia per il comportamento
assurdo dei genitori, sia perché quel luogo le mette addosso una strana
paura. Decide così di fare un piccolo giro nei dintorni e, a un certo
punto, arriva ai piedi di un ponticello costruito sopra una strana
ferrovia. Qui le viene incontro un ragazzo vestito con un kimono azzurro
che, visibilmente preoccupato, le dice che deve lasciare quel luogo
misterioso in tutta fretta, prima che scenda la sera. Chihiro allora
inizia a correre spaventata, mentre le luci delle case di cartapesta
iniziano ad accendersi. Giunta davanti ai suoi genitori grida loro di
smettere di mangiare e di sbrigarsi ad andare via, ma si rende conto
all’improvviso che il suo papà e la sua mamma si sono trasformati in due
enormi maiali che non la finiscono più di ingozzarsi. La poverina
allora inizia a correre impaurita, mentre in tutto il parco divertimenti
iniziano a comparire degli strani spiriti dalle forme stranissime.
Scioccata da tutti questi avvenimenti, si accorge che, mentre gli
spiriti si materializzano, lei inizia a diventare trasparente,
rischiando di scomparire definitivamente. Giunge di nuovo in suo aiuto
il misterioso ragazzo dal kimono azzurro: il suo nome è Haku e convince
Chihiro a mangiare un pezzo di cibo di quel mondo per non rischiare di
scomparire per sempre. Il giovane riesce a far entrare la bambina
all’interno della città senza che nessuno se ne accorga (gli esseri
umani sono odiati dagli spiriti). Il ragazzo, allora, spiega a Chihiro
cosa sta succedendo: i suoi genitori sono stati trasformati in maiali
perché quello che hanno divorato era il cibo degli spiriti; la bambina,
per poter sperare di salvare il papà e la mamma (rischiano di diventare
dei bei prosciutti) deve prima riuscire a non farsi scacciare dalla
città: per far ciò dovrà iniziare subito a trovarsi un lavoro per
rendersi utile. Quello, infatti non è un parco dei divertimenti, bensì
un enorme centro di cure termali per spiriti e kami. Haku spiega alla
piccola che, per ottenere un lavoro, dovrà recarsi da Kamaji, il vecchio
guardiano delle caldaie: giunta nelle fornaci, però, il vecchio non
sembra minimamente disposto a farla lavorare (ma di questa evenienza era
già stata messa in guardia da Haku). E’ però fondamentalmente buono e
convince la giovane Rei (una dipendente) a prendere con sé la piccola e a
portarla dalla vecchia Yubaba, la grande proprietaria di tutto il
centro. Chihiro riuscirà a convincerla tra mille difficoltà a farla
lavorare là dentro, ma sarà costretta a firmare un inquietante
contratto: Yubaba infatti diventerà la proprietaria del nome di Chihiro e
la bambina verrà così chiamata da tutti Sen.
Inizia così la meravigliosa e affascinante avventura di Chihiro che, tra mille peripezie, incredibili personaggi, misteriosi sigilli, incantesimi e magie dovrà riuscire a non arrendersi mai, tentando in tutti i modi di tenere vivo il ricordo del suo passato e del suo nome, per poter riuscire un giorno a salvare i suoi genitori e a tornare a casa insieme a loro.
Inizia così la meravigliosa e affascinante avventura di Chihiro che, tra mille peripezie, incredibili personaggi, misteriosi sigilli, incantesimi e magie dovrà riuscire a non arrendersi mai, tentando in tutti i modi di tenere vivo il ricordo del suo passato e del suo nome, per poter riuscire un giorno a salvare i suoi genitori e a tornare a casa insieme a loro.
Orso d’Oro al Festival di Berlino e Premio Oscar come miglior film d’animazione nel 2002, La città incantata
consacrò definitivamente Hayao Miyazaki come maestro indiscusso
dell’animazione giapponese, affiancandolo senza esagerazione al grande
capostipite Osamu Tezuka e vedendosi affibiare, ahimè, l’assurdo epiteto
di Disney d’Oriente (come d'altronde accadde allo stesso Tezuka, anni
prima).
Prodotto dall’ormai storico Studio Ghibli, fondato dallo stesso Miyazaki nel 1985, La città incantata costò solamente diciannove milioni di dollari (circa sei volte meno di un film Disney), ma ne incassò circa 300 in tutto il mondo, ottenendo uno strepitoso successo anche negli USA.
Mai come in questo film lo Studio Ghibli fu presente e importante come squadra: a differenza delle produzioni passate, infatti, Miyazaki fece molto più affidamento sui suoi collaboratori: il character design fu affidato alla mano di Masashi Ando, abilissimo nell’interpretare gli schizzi dei personaggi del maestro, con uno stile inconfondibile e un tratto pulito e delicato. Gli sfondi, suggestivi e molto poetici, furono realizzati da Yoji Takeshige, anche lui abilissimo nel tradurre in immagini i favolosi mondi visionari del regista, frutto della sua inesauribile fantasia. Miyazaki si “limitò” a ideare la storia, i personaggi, le ambientazioni, a scrivere la sceneggiatura e, naturalmente, a dirigere.
La particolarità più curiosa riguarda i colori, gli unici di tutta la produzione ad essere affidati totalmente alla computer grafica: fu il computer, infatti a riempire i disegni in bianco e nero (questi, però, realizzati a mano), donando una verosimiglianza e una pulizia al tutto che sembra avere solamente in Akira, di Katsuiro Otomo, l’unico degno precedente in questo senso.
Prodotto dall’ormai storico Studio Ghibli, fondato dallo stesso Miyazaki nel 1985, La città incantata costò solamente diciannove milioni di dollari (circa sei volte meno di un film Disney), ma ne incassò circa 300 in tutto il mondo, ottenendo uno strepitoso successo anche negli USA.
Mai come in questo film lo Studio Ghibli fu presente e importante come squadra: a differenza delle produzioni passate, infatti, Miyazaki fece molto più affidamento sui suoi collaboratori: il character design fu affidato alla mano di Masashi Ando, abilissimo nell’interpretare gli schizzi dei personaggi del maestro, con uno stile inconfondibile e un tratto pulito e delicato. Gli sfondi, suggestivi e molto poetici, furono realizzati da Yoji Takeshige, anche lui abilissimo nel tradurre in immagini i favolosi mondi visionari del regista, frutto della sua inesauribile fantasia. Miyazaki si “limitò” a ideare la storia, i personaggi, le ambientazioni, a scrivere la sceneggiatura e, naturalmente, a dirigere.
La particolarità più curiosa riguarda i colori, gli unici di tutta la produzione ad essere affidati totalmente alla computer grafica: fu il computer, infatti a riempire i disegni in bianco e nero (questi, però, realizzati a mano), donando una verosimiglianza e una pulizia al tutto che sembra avere solamente in Akira, di Katsuiro Otomo, l’unico degno precedente in questo senso.
La città incantata
è un film fantastico, una fiaba senza tempo capace di entusiasmare i
bambini e a far sognare gli adulti. Ma oltre alla rappresentazione di
mondi fantastici, di personaggi strambi e situazioni inverosimili
Miyazaki fa emergere tutta una serie di tematiche che rendono
assolutamente più ampio lo spettro di lettura dell’intera opera.
Prima fra tutte, l’esperienza di Chihiro, un’avventura formativa in grado di farla crescere come persona: una vicenda vissuta da una bambina che, per riuscire ad andare avanti, deve riuscire a farlo contando solo sulle proprie forze senza però dimenticare la sua famiglia e il suo passato. Una sorta di metafora della crescita, in cui quel mondo abitato da spiriti ed esseri bizzarri, assomiglia tanto al mondo degli adulti che, agli occhi dei bambini (e non solo), appare incomprensibile, spaventoso e frenetico (frenetico come la vita d’oggi e come il Giappone contemporaneo che il regista satireggia lungo tutta la vicenda). L’avventura di Chihiro, inoltre, inizia quasi subito, senza tanti preamboli, cogliendo lo spettatore impreparato ad affrontare la miriade di situazioni inverosimili che immediatamente si presentano: e non è così che l’età adulta arriva, prendendoci alla sprovvista, con una miriade di situazioni nuove e incomprensibili e con una consistente dose di responsabilità, come quella di Chihiro, sulle cui spalle grava la responsabilità della vita dei suoi genitori? Un viaggio onirico, insomma, ma nel contempo terribilmente reale, una situazione che all’inizio Chihiro non riesce proprio ad accettare (“…è solo un sogno, è solo un sogno…via, vattene via sparisci!...), ma con la quale dovrà imparare a convivere se non vuole sparire (quante volte ci hanno detto di crescere forti altrimenti “là fuori” tutti ci avrebbero “mangiati”…). Una critica forte anche alla società moderna che tutto inghiotte e tutto annulla e che riduce le persone a dei semplici numeri, rubando loro l’identità, nello stesso modo in cui Yubaba si appropria del nome di Chihiro dopo la firma del contratto.
Emergono anche molti elementi caratteristici già incontrati in molte produzioni passate del regista nipponico: protagonisti giovanissimi, scenari suggestivi, mondi irreali, personaggi strambi e surreali (che in questo film sono presi direttamente dalla tradizione popolare giapponese e scintoista, come i Kami, gli spiriti protettori degli elementi naturali e dei loro fenomeni) e poi l’immancabile retrogusto malinconico, un continuo sguardo al passato, ad un mondo che un tempo conservava intatta la natura, con i suoi fiumi, i suoi alberi, i suoi animali. E’ sempre lo stesso spirito ecologista di Miyazaki che viene fuori (più evidente in Nausicaa della valle del vento e Conan il ragazzo del futuro) che rappresenta gli esseri umani come gli assoluti responsabili del degrado ambientale e di conseguenza mal visti da tutti (nel film gli spiriti non fanno altro che dire “sento puzza di essere umano” e la stessa Yubaba si rivolge a Chihiro con supponenza: “…e voi umani dovete sempre rovinare tutto, come i tuoi genitori, che si sono ingozzati del cibo degli spiriti come maiali… “); esseri umani ingordi e irrispettosi come i genitori di Chihiro, che diventano la giusta metafora di quello che forse siamo diventati nel corso dei millenni: dei maiali che ripuliscono tutto ciò che di commestibile compare lungo la nostra strada.
Prima fra tutte, l’esperienza di Chihiro, un’avventura formativa in grado di farla crescere come persona: una vicenda vissuta da una bambina che, per riuscire ad andare avanti, deve riuscire a farlo contando solo sulle proprie forze senza però dimenticare la sua famiglia e il suo passato. Una sorta di metafora della crescita, in cui quel mondo abitato da spiriti ed esseri bizzarri, assomiglia tanto al mondo degli adulti che, agli occhi dei bambini (e non solo), appare incomprensibile, spaventoso e frenetico (frenetico come la vita d’oggi e come il Giappone contemporaneo che il regista satireggia lungo tutta la vicenda). L’avventura di Chihiro, inoltre, inizia quasi subito, senza tanti preamboli, cogliendo lo spettatore impreparato ad affrontare la miriade di situazioni inverosimili che immediatamente si presentano: e non è così che l’età adulta arriva, prendendoci alla sprovvista, con una miriade di situazioni nuove e incomprensibili e con una consistente dose di responsabilità, come quella di Chihiro, sulle cui spalle grava la responsabilità della vita dei suoi genitori? Un viaggio onirico, insomma, ma nel contempo terribilmente reale, una situazione che all’inizio Chihiro non riesce proprio ad accettare (“…è solo un sogno, è solo un sogno…via, vattene via sparisci!...), ma con la quale dovrà imparare a convivere se non vuole sparire (quante volte ci hanno detto di crescere forti altrimenti “là fuori” tutti ci avrebbero “mangiati”…). Una critica forte anche alla società moderna che tutto inghiotte e tutto annulla e che riduce le persone a dei semplici numeri, rubando loro l’identità, nello stesso modo in cui Yubaba si appropria del nome di Chihiro dopo la firma del contratto.
Emergono anche molti elementi caratteristici già incontrati in molte produzioni passate del regista nipponico: protagonisti giovanissimi, scenari suggestivi, mondi irreali, personaggi strambi e surreali (che in questo film sono presi direttamente dalla tradizione popolare giapponese e scintoista, come i Kami, gli spiriti protettori degli elementi naturali e dei loro fenomeni) e poi l’immancabile retrogusto malinconico, un continuo sguardo al passato, ad un mondo che un tempo conservava intatta la natura, con i suoi fiumi, i suoi alberi, i suoi animali. E’ sempre lo stesso spirito ecologista di Miyazaki che viene fuori (più evidente in Nausicaa della valle del vento e Conan il ragazzo del futuro) che rappresenta gli esseri umani come gli assoluti responsabili del degrado ambientale e di conseguenza mal visti da tutti (nel film gli spiriti non fanno altro che dire “sento puzza di essere umano” e la stessa Yubaba si rivolge a Chihiro con supponenza: “…e voi umani dovete sempre rovinare tutto, come i tuoi genitori, che si sono ingozzati del cibo degli spiriti come maiali… “); esseri umani ingordi e irrispettosi come i genitori di Chihiro, che diventano la giusta metafora di quello che forse siamo diventati nel corso dei millenni: dei maiali che ripuliscono tutto ciò che di commestibile compare lungo la nostra strada.
La colonna sonora è affidata a Joe
Hisaishi (pseudonimo di Mamoru Fujisawa) che collaborò con Miyazaki
anche per altri suoi lungometraggi, come Nausicaa della valle del vento (Kaze no Tani no Nausicaa), La principessa Mononoke (Mononoke Hime) e, più recentemente, Il castello errante di Howl (Hauru no Ugoku Shiro), per citare i più celebri. Fu inoltre autore delle musiche di Kiss Me Licia (Ai Shite Night) e collaborò alle colonne sonore di sette film di Takeshi Kitano.
Una colonna sonora senz’altro poetica e avvolgente che abbraccia l’intera vicenda in un delicato balletto dai ritmi altalenanti, così come le emozioni che lo spettatore sente muovere nel profondo, accompagnate da un generale e quasi impercettibile senso di malinconia che si farà sentire anche al termine della storia.
Una colonna sonora senz’altro poetica e avvolgente che abbraccia l’intera vicenda in un delicato balletto dai ritmi altalenanti, così come le emozioni che lo spettatore sente muovere nel profondo, accompagnate da un generale e quasi impercettibile senso di malinconia che si farà sentire anche al termine della storia.
La città incantata
Titolo originale: Sen to Chihiro no Kamikakushi.
Titolo inglese: Spirited Away.
Luogo e anno: Giappone, 2001.
Regia: Hayao Miyazaki.
Genere: Animazione, fantastico.
a cura di Giorgio Mazzola