Fiocco rosa

Caterina e lo specchio. Lo specchio è di carta. Trattiene il riflesso di sensi perduti, la finzione, il disagio. Nello specchio si intrecciano altri mondi, altre vite, altre storie che emanano l’odore della vita. Il gioco continua, oscilla tra le atmosfere di un’epoca nel tratto nero dell’inconscio, all’interno del quale, la letteratura vive le proprie coincidenze. Caterina, di fronte allo specchio non sa, se sia un incubo o un sogno, eppure, racconta.

In queste testimonianze, raccolte  perlustrando il campo della scrittura al femminine, il senso oscilla nel peso del vissuto tra realtà e fantasia e riappare nella magia del racconto che apre le porte ai labirinti interiori dei quali la letteratura si nutre. Con la penna racchiusa nel pugno Caterina Falconi si esplora, scompone frasi, ricordi, impressioni,  ritorna come autrice di uno dei diciassette racconti scelti per affrontare un tema antico: la maternità. In questi racconti si sondano il tema e le autrici, che attraverso personaggi e situazioni sviluppano la loro storia non priva dell’elemento sorpresa. Un figlio puoi desiderarlo, rifiutarlo, oppure può arrivare per caso e senza ancora camminare, entrare all’interno di legami non consolidati. Nei racconti presenti in Fiocco rosa, la maternità voluta o negata viene descritta tra le difficoltà che tante donne possono incontrare e spesso corrisponde ad un maschile marginale, sbiadito, sfuggente.
La narrativa illumina le protagoniste mentre cercano di coniugaresogni, desideri e inconciliabili realtà, nelle età che variano daitrenta ai quarant’anni; periodo in cui si è maggiormente fertili e lamaternità può generare alcuni conflitti. Il  primo ostacolo sembraessere il lavoro, il secondo, un legame sentimentale non semprestabile, altre, un legame vissuto all’ombra di un uomo che non pensaminimamente e riprodursi.E se, le peculiarità della donna delnovecento ancora riflettono il pudore, l’insicurezza e lasottomissione, la nuova donna, indipendente e volitiva, oltre ariscattare professione e istruzione, invade altri contesti come adesempio la letteratura.
Nelle singole storie racchiuse nell’antologia Fiocco rosa le donne del nostro tempo si raccontano, rincorrono il dettaglio nei minuti del tempo che si muove nel ricordo, mentre “il regionale appare in fondo al binario e si rivedono alcune figure” del passato. Nel suo racconto dal titolo Aspettando che muoia Caterina Falconi  narra di una protagonista, Silvana, madre per caso, al limite tra normalità e disagio psichico, la cui storia drammatica si specchia nella storia di un’altra donna, Cecilia, che custodisce il suo desiderio di maternità non realizzato.

“Quando Cecilia l’aveva riconosciuta tra le ospiti dell’istituto di riabilitazione per insufficienti mentali, le era sembrato un cattivo presagio. Quasi il segno che il destino fa degli strani giri e torna e spingerci contro le stesse persone.”

Con un linguaggio deciso Caterina Falconi introduce il lettore nel suo racconto, in cui le due donne si incontrano per la seconda volta:

“Quarant’anni, insufficiente mentale con tratti psicotici, carcinoma del fegato: Silvana scendeva al capolinea nel momento in cui Cecilia saliva sul predellino di una vita complicata. C’era poco tempo per guardarsi in faccia. Troppo poco per la compassione. Si erano conosciute otto anni prima. All’epoca Cecilia frequentava l’ultimo anno di liceo classico, e Silvana era internata in un a casa famiglia aperta da poco. Il padre di Cecilia era lo psicologo coordinatore del personale, e Cecilia lo andava a trovare ogni tanto in casa famiglia, perché da quando i suoi si erano separati riusciva a beccarlo solo al lavoro. Silvana spiccava tra le ricoverate per una mansuetudine strana. Fisicamente era un misto tra una mucca  un’asina. Aveva un volto equino imbruttito da un naso lungo che sembrava un osso di pollo, e due occhi ravvicinati e piccoli che brillavano di un accondiscendenza lasciva. Lenta. Pesante. Con un culo immenso e spalle strette. Si trascinava per le stanze della casa famiglia, sotto un casco di boccoli fitti, le braccia penzoloni, e le mani lerce contro i fianchi”

Difficile definire con un termine approssimativo lo stile di Caterina Falconi che non ha relegato la scrittura al mero esercizio intellettuale, ma ha svecchiato componimenti caratterizzati “dal detto e non detto”, trasferendo la materia nell’ inchiostro con una traccia soggettiva inconfondibile. La spinta creativa la coinvolge dalla pelle al sangue che scorre all’interno dei suoi mutamenti tra le scelte e le sfide. I suoi brevi racconti la scuotono, la ammaliano, la guariscono. L’autrice travalica la propria realtà affidandosi ad una comunicazione immediata, la celebra nella sua scrittura che nasce nel momento in cui entra nel suo personale territorio e non sa dove la porterà. Scarica nei suoi scritti il bilancio della propria esistenza. Scioglie le catene delle sue prigioni cercando conforto nel tratto nero che la avvolge con disimpegno. Ferma  pezzi di vita sui fogli e ne amplifica il senso. Il racconto, per Caterina, diventa il mezzo per intergire con il mondo. Nel frattempo, non modifica la realtà ma la fa coincidere nelle bozze delle sue trame, avvicinandosi a quel gioco che tanto la seduce e la tormenta con tutta la sua essenza di donna che ha maturato fino in fondo il suo essere donna. Poi, attraverso il pensiero, trasforma in parole le visioni del presente in cui immagini rimandano ad altre immagini, prima che l’eco esca da un senso. Senza influenze pregiudizievoli di stili tradizionali scontati Caterina Falconi afferra la sua stessa essenza. Non si traveste. Non finge. Insegue e cattura frammenti frantumati nella sua anima, per rinascere ancora  senza negare parti di sé, illuminando le sue oscurità che nascondono energie e speranze, anche quando l’abisso interiore si fa più profondo.

Si comincia a scrivere e si va verso un percorso, poi, strada facendo si muta itinerario. Quali sono state le tue trasformazioni?

Il dolore mi ha lavorata. Ho sfasciato e ricostruito la mia vita tre volte. La scrittura si è modellata sulle mie metamorfosi, per raccontarle, ricucire gli strappi, creare un mondo esclusivo da abitare con chi amo. Per sedurre, abbellire, consolare.


Caterina Falconi è nata ad Atri (Teramo) nel 1963. Ha pubblicato le raccolte racconti Sete buia (2002) e I colori accesi del desiderio (2004), Edizioni Clandestine. Un suo romanzo sarà pubblicato dalla casa editrice Fernandel di Giorgio Pozzi.
Per maggiori informazioni e acquisti, collegarsi al sito della casa editrice: www.fernandel.it
SCHEDA LIBRO
Titolo: Fiocco rosa
Autori: AA.VV.
Formato: 208 pagine in brossura
Anno di pubblicazione: gennaio 2009
Editore: Fernandel Edizioni
Codice ISBN: 9788895865027
Prezzo di copertina: 14,00 Euro

a cura di Carina Spurio

The Millionaire di Danny Boyle


Jamal Malik è un giovane ragazzo delle baraccopoli di Mumbai che decide di partecipare al celebre quiz televisivo “Chi vuol essere milionario?” nella speranza di farsi notare da Latika, l’amore della sua vita perso e ritrovato più volte lungo la strada. Giunto quasi alla fine del programma l’invidioso conduttore fa arrestare Jamal accusandolo di aver imbrogliato al gioco, preoccupato dal fatto che il ragazzo gli stesse soffiando il primato di unico concorrente ad aver vinto la somma finale da venti milioni di rupie. I poliziotti della centrale tentano in tutti i modi di strappare una confessione al ragazzo, tra botte e scosse elettriche, ma lui non demorde. Viene così condotto davanti all’ispettore Irfan Khan che decide di rivedere assieme a lui la puntata registrata in televisione nella speranza di poter cogliere, grazie alle telecamere, qualche segno del suo imbroglio. Ma questo segno non viene mai fuori: Jamal ha infatti risposto sempre correttamente perché ogni domanda che si è trovato di fronte era riconducibile ad un’esperienza vissuta nella sua drammatica vita da abitante delle baraccopoli caratterizzata dalla solitudine, dalla miseria, dalla violenza, ma soprattutto dall’amore mai sopito per la bella Latika, il suo primo unico amore fin dall’infanzia. Il giovane riesce a convincere l’ispettore della sua sincerità e può così tornare a giocare in televisione nella speranza di rispondere in maniera corretta alla domanda finale, ma soprattutto nella speranza di poter ritrovare la bella Latika e di stare con lei per sempre. Tutto è ancora da decidere.
 
Premio oscar 2009 alla miglior fotografia, miglior sonoro, miglior montaggio, miglior sceneggiatura non originale, miglior colonna sonora, miglior canzone (Jai Ho), miglior regia (Danny Boyle), miglior film; e quattro Golden Globe (miglior film drammatico, miglior sceneggiatura, miglior regia, miglior colonna sonora). Con tutti questi premi e con i vertiginosi incassi in tutto il mondo (quasi 160 milioni di dollari finora) The Millionaire pare proprio essere il caso cinematografico di quest’anno.
Una storia funzionale, efficace, strutturata in modo intelligente e con una fotografia attenta a cogliere il vero spirito del film attraverso i colori accesi e quasi violenti tipici delle pellicole indiane di trent’anni fa (le stesse in cui recitava l’attore preferito di Jamal) con i protagonisti che si battono contro le ingiustizie e che cercano di trionfare nonostante tutte le difficoltà. Un film che parte con un taglio quasi documentaristico (molto vicino a City Of God , 2004), ma che poi imbocca una strada più rassicurante, fatta di incroci ed eventi un po’ inverosimili che trasformano il tutto in una sorta di fiaba che possa in qualche modo veder trionfare un lieto fine sempre sperato.  
  
Un ottimo film che Boyle dirige con un montaggio frenetico utile a descrivere in maniera chiara e inequivocabile i turbini emotivi in cui getta ogni volta i suoi personaggi (Trainspotting – id. 1996-  insegna). Ed ecco che allora, grazie alla splendida colonna sonora, tutto il film sembra diventare un gigantesco videoclip (complice anche l’uso frequente dello “step-printing”, tecnica molto amata da Wong Kar Way – Hong Kong Express, 1994, per citarne uno) in cui musica e immagini si sostengono l’una con le altre per poter esprimere al meglio gli stati d’animo e le situazioni in continua evoluzione (ancora, aleggia prepotente la presenza di Trainspottting), per poi arrivare al bellissimo e corale omaggio finale alla prolifica industria di Bollywood.
Una bella favola dunque, un sogno raccontato attraverso le immagini tremende che Jamal ha visto nel corso della sua ancora breve e travagliata vita; perché il fascino del film sta tutto in questa dualità: l’estremo realismo da una parte e la leggerezza dell’inverosimile succedersi degli eventi dall’altra; una vita, i sentimenti, il dolore, i ricordi, tutti riassunti nelle suggestioni evocate nelle 15  domande di un semplice quiz televisivo. Perché forse è vero che la vita è crudele, ma è bello pensare che ognuno di noi stia vivendo qualcosa di più intenso e meno banale. I sogni sono lì, davanti a noi: bisogna solo riconoscerli quando si travestono da qualcos’altro e saperli leggere in maniera corretta.
Vorrei sottolineare l’ottima prova del giovanissimo Dev Patel nei panni di Jamal, un interpretazione intensa e verosimile che conferma il talento dell’attore già osservato nel telefilm britannico Skins, a mio parere uno dei migliori prodotti seriali degli ultimi cinque anni. 
 
Giudizio: quasi ottimo.

a cura di Giorgio Mazzola 

Scomparso Michael Jackson


L'addio al re del pop, ucciso da un infarto

È morto al­la vigilia del tour mondiale già tutto esaurito che avreb­be dovuto segnare il suo grande ritorno al mondo del­lo spettacolo, dopo anni di scandali giudiziari, problemi di salute e una vita personale molto sfortunata. Michael Jackson, il cantante, cantauto­re, ballerino, compositore, musicista, arrangiatore e pro­duttore discografico statuni­tense si è spento ieri a Los An­geles a causa di un arresto cardiaco. Tra un mese avreb­be compiuto 51 anni. La noti­zia, rimbalzata da Tmz (l’in­formatissimo sito di gossip della Cnn) a Twitter, subito andata in tilt come non era successo neppure durante la crisi iraniana, è stata confer­mata via via da tutti i media ufficiali. Grazie a Internet l’America ha seguito pratica­mente in diretta gli ultimi at­timi di vita di uno dei cantan­ti più leggendari e controver­si della storia musicale di tut­ti i tempi.
 

Gran Torino di Clint Eastwood


La Gran Torino, vecchia auto del 1972 e icona della storia americana di ieri e di oggi, ‘distrutta dalla crisi’, come ammette lo stesso Clint Eastwood, è l’unica vera passione rimasta nella vita di Walt Kowalski, vecchio veterano della guerra di Corea che continua a nutrire sentimenti razzisti nei confronti del popolo coreano. Walt, che ha da poco perso la moglie, vive in solitudine nella sua casa, in compagnia del suo cane Daisy, cacciando i figli che vorrebbero portarlo in una casa di cura e continuando ad avere ancora energie per combattere le sue vecchie battaglie. Con rammarico e rabbia pensa che la sua Detroit sembra riempirsi ogni giorno di più di ‘musi gialli’, gli stessi che lui ha sterminato e combattuto in guerra, e pertanto all'arrivo di vicini di casa di etnia hmong, la sua reazione non è certo delle migliori.
Eppure è pronto ad uscire, fucile alla mano, per salvare uno di loro dalla spedizione punitiva a cui una gang locale stava per sottoporlo. Inizia così un processo di conoscenza che permetterà al vecchio scorbutico Walt di scoprire delle realtà nascoste, riguardanti non solo il presente ma anche il passato che lo porteranno a doversi ricredere sul suo sguardo razzista ed omofono nei confronti degli emigrati hmong.
 
Gran Torino è un eccelso spaccato contemporaneo, un monito contro l’ostinazione sciocca di certi pregiudizi, un film con diversi pregi che lo rendono un drammatico action movie e romanzo di formazione allo stesso tempo. Il personaggio Kowalsky sintetizza perfettamente le molte fasi dell'Eastwood attore, e ancora una volta, abbiamo avuto una grande prova di cinema old school (c'è anche un inside joke del film in cui il protagonista dice fieramente "io sono vecchia scuola", quasi fosse uno sfogo liberatorio o una battuta di spirito dell'Eastwood autore). Eastwood si è ben guardato intorno prendendo e riadattando molto del miglior cinema degli ultimi anni (il personaggio di Padre Janovich ricorda molto da vicino il reverendo de Il Petroliere di Anderson, sebbene alla fine si sviluppi in modo differente) e alla fine l'unica cosa naturale che viene da dire è quella di vedere Gran Torino perché film di questo calibro fanno solo bene al cinema.
  
Grazie poi a personaggi credibili di contorno Gran Torino riesce a strappare anche qualche risata: i segmenti girati dal barbiere di Kowalsky sono dei gustosi divertissments che valorizzano la pellicola e rendono ancora più piacevole un prodotto che, nonostante le quasi due ore, riesce comunque a non cadere mai nel prolisso. Ottima, a tale proposito, l'idea di non tirare troppo per le lunghe il finale nel momento in cui lo spettatore diventa in grado di capirne la dinamica.
Strepitoso come sempre Clint Eastwood che ci regala alla soglia degli 80 una performance (l'ultima come attore a detta dello stesso Eastwood) da protagonista assoluto con tipiche espressioni terribili ed intense a cui già ci aveva abituato nei mitici western di Leone.
Curiosità: nei primissimi secondi dei titoli di coda Clint Eastwood canta sotto le note della colonna sonora.
 
Giudizio: ottimo. 

Scomparso Donald Westlake

È morto di infarto all’età di 75 anni Donald Westlake, prolifico scrittore americano di gialli “pulp” e umoristici. È deceduto mentre si recava a un veglione di Capodanno in Messico, dove si trovava in vacanza, ha riferito il New York Times.
Westlake ha scritto 104 libri, per lo più ambientati nella sua New York, da 15 dei quali sono stati tratti film come La pietra che scotta con Robert Redford e Payback con Mel Gibson.
Aveva ricevuto una nomination agli Oscar per la sceneggiatura di Rischiose abitudini (1990) e tre Edgar Awards dai Mystery Writers of America.
Nei gialli scritti sotto il suo nome (pubblicati in Italia da Giallo Mondadori) ha raccontato le divertenti gesta del ladro geniale e sfortunato John Dortmunder. Ma per mascherare la sua prolificità (pochi credevano che potesse scrivere così tanto, 35 libri solo negli anni ‘60) ha usato anche gli pseudonimi di Tucker Coe, Samuel Holt, Richard Stark e Edwin West.
Westlake è considerato uno dei più grandi giallisti di tutti i tempi, maestro insuperato dell’introduzione dell’humour nelle trame poliziesche. È uno dei due soli scrittori che hanno vinto tre volte l’Edgar Award in tre differenti categorie: la prima volta nel 1968 per il romanzo Un bidone di guai (1967), la seconda volta nel 1990 con Too Many Crooks premiato come migliore racconto, la terza volta nel 1991 per la migliore sceneggiatura (Rischiose abitudini). Nel 1993 ha ricevuto il titolo di Grand Master, massimo riconoscimento assegnato dall’associazione Mystery Writers of America.
Dopo gli studi, Westlake aveva fatto diversi mestieri, lavorando in una compagnia di assicurazioni e all’ufficio di collocamento di New York prima di trasferirsi per qualche tempo in Europa dove lavorò in una agenzia letteraria e si dedicò al teatro. Nel 1959 un suo racconto lungo viene inserito in una antologia delle migliori storie gialle di tutti i tempi. Nel 1960 pubblicò I mercenari, un noir divenuto subito bestseller. Con lo pseudonimo di Richard Stark, dal 1963 aveva cominciato il filone di gialli che hanno come protagonista Parker, un rapinatore professionista.
Fino alla fine della sua carriera, Westlake non aveva mai rinunciato alla sua vecchia macchina per scrivere.