Prologo: una misteriosa astronave entra a gran velocità nell’atmosfera terrestre.
Antartide: un elicottero norvegese, con a bordo due persone, sta
inseguendo un cane, bersagliandolo a colpi di fucile. Il cane, stremato,
riesce a raggiungere una base scientifica americana, con gli studiosi
che assistono allibiti alla scena in corso. Intanto dall’elicottero
piovono anche delle granate, mentre un colpo di carabina ferisce
l’americano Bennings. I due norvegesi muoiono: il primo sbaglia il
lancio di una granata ed esplode assieme all’elicottero; il secondo
viene ucciso dal militare Garry in seguito al ferimento di Bennings. A
questo punto gli scienziati americani vogliono vederci chiaro e capire
quali siano state le ragioni di quel comportamento assurdo e folle da
parte dei norvegesi. Così il pilota Mc Ready e il dottor Copper, il
direttore della base, si recano al campo norvegese dove li attende un
paesaggio di distruzione e morte (viene trovato il cadavere congelato di
un uomo suicidatosi), ma soprattutto trovano un misterioso sarcofago
vuoto e una strana creatura congelata, dalla forma incomprensibile, che
sembra composta da due corpi umani fusi insieme. Giunti alla base
eseguono un’autopsia che però non svela nulla di utile. Intanto il cane
braccato dai norvegesi viene prima accudito e in seguito messo insieme
ad altri cani in un’area-canile a loro riservata. Le altre bestie, però,
si allontanano dall’ultimo arrivato ringhiandogli addosso e così Clark
(uno degli scienziati) torna indietro per vedere cosa sta succedendo.
Ciò che vede è qualcosa di impressionante: l’animale salvato dai
norvegesi, infatti, si era poco prima trasformato in un mostro informe e
adesso stava uccidendo gli altri cani svuotandoli delle loro viscere.
La “cosa” tenta allora di distruggere il soffitto, ma non ce la fa
perché viene colpita dal getto di un lanciafiamme che Mc Ready si era
procurato precedentemente. Da una nuova autopsia sui resti dei cani si
scopre che la cosa è in grado di mutare, assumendo la forma degli esseri
con cui viene a contatto. Dalla visione di una videocassetta recuperata
nel campo norvegese si scopre inoltre che gli scienziati che là
abitavano avevano scoperto il relitto dell’astronave nella quale era
posto il sarcofago di ghiaccio con dentro il corpo di una creatura
aliena. Una spedizione veloce al campo norvegese conferma quanto visto
nel videotape: il relitto dell’astronave esiste. E ormai chiaro che “La
Cosa” può assumere le sembianze di chiunque e in tutto il campo-base
americano la tensione è tangibile. Il dottor Copper decide quindi di
analizzare il sangue di tutti i componenti per vedere se vi sono delle
strane anomalie. Il progetto però non va in porto perché sabotato da
qualcuno: la paura è veramente troppo grande. Intanto i sospetti si
fanno sempre più pressanti e ormai non ci si fida più di nessuno. Il
primo a mutare è Baggins il quale fugge all’esterno e si trasforma sotto
gli occhi spaventati degli altri membri. Mc Ready è costretto a dare
fuoco anche a lui. La paura dilaga e la rete dei sospetti si allarga a
dismisura, quando si scopre che “La Cosa” lascia dietro di sé i vestiti
di coloro che sono finiti tra la sue grinfie. Per questo motivo, dopo
che Windows trova un brandello di vestito di Mc Ready, si inizia a
sospettare di quest’ultimo. Ma proprio il pilota scopre che il punto
debole della creatura è il fuoco. Sarà questo il fattore rilevatore
della presenza nemica. Chi sarà stato infettato? Chi rimarrà vivo al
termine dell’avventura? E quelli rimasti vivi avranno mai l’assoluta
certezza di non essere stati infettati?
La cosa, tratto dal racconto di John W. Campbell Junior, Who Goes There, e ispirato a La cosa da un altro mondo,
film diretto da Christian Nyby (e prodotto dal mitico Howard Hawks) è
il primo film della “Trilogia dell’apocalisse” insieme a Il signore del male e Il seme della follia,
tutti diretti da Carpenter. Un film che costò circa 15 milioni di
dollari, ma che ne incassò qualcuno di meno, divenendo così un clamoroso
flop che tradì le più floride aspettative di un annunciato successo.
Non bastarono infatti i magnifici effetti speciali del bravissimo Rob
Bottin (allora ventiduenne) che riuscì a dare vita alla mostruosità
aliena grazie anche all’aiuto di abilissimi collaboratori (un lavoro che
non ottenne la menzione nella categoria del make-up perché il sindacato
della categoria stessa lo escluse, visto che tutto il lavoro era stato
eseguito su manichini e non su esseri viventi). E non bastarono neanche
le musiche di Ennio Morricone a sostegno di una colonna sonora di
prim'ordine, per risollevare le sorti di questo lungometraggio. Forse
molto dipese dalla quasi contemporanea uscita nelle sale di E.T.,
l’alieno decisamente molto più buono e simpatico di Spielberg, che in
quel 1982 si impose su tutto e che offuscò considerevolmente l’opera di
Carpenter.
Un vero peccato, perché oltre agli effetti visivi e
alle musiche eccellenti, il film è caratterizzato da una trama semplice,
la quale però riesce a trasmettere un generale senso d’affanno
perpetuo, un’agitazione quasi impercettibile che nasce forse
dall’effetto claustrofobico dato dalle strette mura della base
americana, apparentemente piccola e buia (e le scene che si svolgono
all’aperto sembrano infatti far rifiatare, anche grazie alla piacevole
visione del bianco della neve). Emergono così le vere protagoniste: il
sospetto, la paura e la mancanza di punti di riferimento, minati
irrimediabilmente dalla presenza della sempre mutevole “Cosa”. Il film
procede così senza prime donne (e anche senza donne nel vero senso della
parola: non ci sono interpreti femminili), in una sorprendente coralità
di sentimenti affini, viziati da dubbi atroci che scavano nel profondo.
Perfino un attore dallo spessore e dalla personalità di Kurt Russel
rimane anonimo, sebbene sia lui uno dei punti saldi della vicenda, anche
quando nulla sembra essere sicuro, senza appigli o punti di riferimento
(anonimato che forse è stato voluto da Carpenter: era facile cadere nel
tranello di far diventare Mc Ready/Russel un eroe indistruttibile
ammazza-alieni, soprattutto se si pensa che appena un anno prima
impersonava il duro e un po’ inverosimile Snake/Iena Plissken in 1997: Fuga da New York).
Una buona pellicola, insomma, che forse ha nella eccessiva lentezza
della narrazione l’unico vero difetto. Le varie scene sono infatti come
diluite nel tempo, con pause talvolta incomprensibili che, invece di
alimentare la suspance, sortiscono un effetto contrario, quasi di noia.
Giudizio: molto buono.
a cura di Giorgio Mazzola