Inception di Christopher Nolan


La singolare professione di Dom Cobb è quella di carpire e impossessarsi dei segreti riposti nelle menti delle persone. L’uomo d’affari giapponese Saito propone a Cobb un accordo: lui e il suo team di “estrattori di idee dall’onirico” dovranno compiere un innesto, ovvero un processo opposto alla solita procedura. Questo innesto (l’”Inception” che dà il nome al film) consiste nell’inculcare un’idea nel subconscio di Robert Fischer, il figlio del rivale in affari di Saito.: alla morte del padre, in fatti, Robert dovrà essere convinto a dividere e a smembrare l’impero economico ricevuto in eredità. In cambio, grazie alle influenze del giapponese, Cobb potrà finalmente tornare dai suoi figli che dovete abbandonare dopo essere stato accusato dell’omicidio della moglie.
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Regia di Chris Nolan (quello dei Batman con raucedine), così come il soggetto e la sceneggiatura. Sceneggiatura assolutamente infallibile, monolitica, perfettamente sincronizzata, come il mega-risveglio del finale. Bel film, storia accattivante, ritmo sostenuto, effetti speciali magnifici… però finisce lì. Si ritorna nella schiera dei già visto, già sentito… Magari pretendo troppo, magari con gli anni il mio livello di sopportazione si è notevolmente abbassato… ma all’uscita dal cinema stavo già pensando ai fatti miei e non mi era rimasto niente di ciò che avevo appena visto. Anche perché da una parte e dall’altra sento gente che acclama questa pellicola come una delle migliori degli ultimi dieci anni; altri che la criticano aspramente mettendo in luce tutte le cose che non vanno. Ecco, io non riesco a fare nessuna delle due cose: semplicemente me ne sto da solo nella mia indifferenza. Perché Inception è bello, ma sembra che tutti siano immediatamente pronti a passare sopra i parallelismi troppo grandi con i vari Matrix, o Al di là dei sogni (la cui storia d’amore richiama tantissimo quella di Cobb e sua moglie – alla faccia di chi ci trova un sacco di spunti originali); ma soprattutto con il papà di questi film con svarioni mentali a livello avanzato: Atto di forza (Total Recall, 1990), con i sogni di qualcuno in cui qualcun altro entra e spiega al primo che è meglio se si sveglia perché sennò finisce male, ma poi subentra il dubbio, perché è tutto così reale che svegliarsi potrebbe voler dire morire e… basta. Basta, vi prego. E’ qui che mi sorge spontanea una domanda: ma se non utilizziamo qui il 3D, dov’è palese che a livello contenutistico le idee siano trite e ritrite, dove vogliamo utilizzarlo? Personalmente non amo questa novità, non sto pubblicizzandola. Ma visto che la maggioranza di quelli che si entusiasmano vedendo Inception, si appassionano alla grande “figata” in sé che esso rappresenta, allora accontentiamoli come si deve elargendo loro quasi 3 ore di orgasmo visivo amplificato dall’ausilio dei mitici occhialetti..

E per piacere: non facciamo più doppiare Ken Watanabe da Haruhiko Yamanouchi: è vero, è assolutamente realistico sentire un giapponese che parla italiano. Ma il doppiaggio non pretende di essere specchio (in questo caso sonoro) della realtà: l’importante è interpretarla a dovere.
Insomma, per non rischiare sempre di fare il noioso trombone che non sopporta nulla, non dirò: “Inception? NO!”, ma: “Inception? Bah…”.
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Voto: buono.

a cura di Giorgio Mazzola
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SCHEDA TECNICA

  • Titolo originale: Inception
  • Genere: fantascienza, thriller
  • Regia: Christopher Nolan
  • Anno: 2010
  • Paese: USA/UK
  • Durata: 148 min
  • Colore: colore
  • Produttori: Emma Thomas, Christopher Nolan
  • Produttori esecutivi: Chris Brigham, Thomas Tull
  • Casa di produzione: Syncopy, Warner Bros. Pictures Group
  • Distribuzione: Warner Bros
  • Soggetto: Christopher Nolan
  • Sceneggiatura: Christopher Nolan
  • Fotografia: Wally Pfister
  • Montaggio: Lee Smith
  • Effetti speciali: Chris Corbould
  • Musiche: Hans Zimmer
  • Scenografia: Guy Hendrix Dyas
  • Costumi: Jeffrey Kurland
  • Interpreti e personaggi: Leonardo DiCaprio (Dominic "Dom" Cobb), Joseph Gordon-Levitt (Arthur), Ellen Page (Arianna), Tom Hardy (Eames), Ken Watanabe (Mr. Saito), Dileep Rao (Yusuf), Simone D'Andrea (Robert Michael Fischer), Mario Cordova (Peter Browning)
  • Premi: 6 Scream Awards 2010
  • Divieti: film per tutti
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Di seguito il trailer originale italiano:
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Somewhere di Sofia Coppola


Johnny Marco è una star hollywoodiana che alloggia nel Chateau Marmont Hotel. Passa le sue giornate partecipando a feste, ubriacandosi, circondandosi di donne disponibili e girando a zonzo con la sua Ferrari per le strade di Los Angeles. Una vita da sogno, ma assolutamente vuota. Un giorno però riceve la visita della figlia adolescente Cleo...


Con Somewhere, il suo quarto lungometraggio, la Coppola si è aggiudicata il Leone d’Oro al Festival di Venezia 2010. Un risultato prevedibile (tanta l’attesa a quattro anni di distanza da Marie Antoinette), ma forse non pienamente condivisibile. Da amante assoluto del suo stile di regia rimango un po’ perplesso nel vedere che in realtà, già al quarto film, dopo circa (solo) 10 anni di attività ad alti livelli, la talentuosa regista stia già facendo i conti con un autocitazionismo ai limiti della ripetitività (speriamo che Tim Burton non sia contagioso). Nulla da dire sulla tipica fissità dei suoi piani sequenza; sulla riduzione all’osso delle performances attoriali; sugli impedimenti fisici dei protagonisti che esternano un’incapacità cronica di relazionarsi pienamente col mondo; niente da dire sulle varie riflessioni autobiografiche anche e (come sempre) soprattutto in chiave musicale: (ri) benvengano, quindi, anche gli Strokes che riciclano una versione “tranquilla” di I’ll try anything once (peraltro bellissima), assolutamente perfetta per l’immagine di padre e figlia in piscina. 
Sì, perché Somewhere è un bel film, a tratti toccante e molto ironico; lento, ma solo perché non può essere altrimenti. Eppure non lascia il segno. Piace, ma non colpisce. Tutto è pervaso da un’orrenda sensazione di già visto: un sapore non nuovo.
Mi pare ovvio che, osservando gli stanchi movimenti di Stephen Dorff, venga in mente il depresso Bill Murray di Lost In Translation. Anzi, devo dire, purtroppo, che questo Somewhere  mi sembra tanto il fratello minore del capolavoro che è valso l’Oscar alla bella Sofia ormai sette anni fa. I parallelismi sono evidenti: una riflessione impietosa sull'attore e sulla sua “condizione” (costretto a recitare per uno spot di Whisky il primo; costretto a stare con un calco sul viso per 40 minuti il secondo); binomio tra ragazza giovane e attore vecchio (qui Johnny è vecchio dentro – ma la maschera da vecchio che gli fanno indossare esplicita il tutto magistralmente); fatidico viaggio all'estero con ovvia ospitata in trasmissione televisiva di paese sottosviluppato in fatto di entertainment (il Johnny Carson giapponese e i “Telegatti” – presa in giro del nostro paese? Non credo); parentesi famigliare davanti alla TV della stanza d’albergo di film che non si capiscono (La dolce vita in Lost in Translation; Friends doppiato in italiano in Somewhere); incapacità fisica che esterna un blocco interiore del protagonista (essere un gigante in Giappone per Murray; avere il braccio rotto e addormentarsi di schianto durante l’amplesso per Dorff). La famosa Porsche che Murray doveva comprarsi per la crisi di mezza età diventa una ferrari in Somewhere (di nuovo Johnny prematuramente vecchio). Mi fermo qui. Ma solo perché amo questa regista e apprezzo i suoi film. E apprezzo onestamente anche quest’ultimo, una magistrale e sublime rappresentazione degli inceppamenti della vita: ancora il braccio di Johnny che si rompe; vorrebbe poter dire a un giovane attore che lui ha studiato recitazione, ma non è così, perché nel mondo dello spettacolo ci è capitato per caso; la fuoriserie costretta dai limiti di velocità cittadini (e che a un certo punto si rompe); il rapporto con la figlia che forse ha una svolta, ma forse no; le colossali dormite nei momenti in cui l’eccitazione dovrebbe irrompere;.la chitarra scordata di Teddy Bear


Apprezzo e rispetto questo film, dicevo: anche se in realtà si riduce all’insieme delle parti noiose di Lost in Translation. Cosa manca in Somewhere, quindi? Forse proprio Bill Murray…



Voto: sufficiente.




Di seguito il trailer originale italiano:



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