In un ipotetico futuro non troppo lontano, l’umanità ha quasi consumato le risorse del pianeta Terra. La popolazione mondiale è scesa sensibilmente e, come se non bastasse, le piante e le coltivazioni sono devastate da una tremenda malattia – detta “piaga” – che ha momentaneamente risparmiato solo il mais, come unica fonte di nutrimento vegetale.
Nel frattempo, nella fattoria di Cooper – un ex ingegnere e pilota convertito alla più utile agricoltura, come molti in quel periodo – si verificano alcuni incidenti misteriosi. Nella cameretta di sua figlia Murphy, infatti, cadono in continuazione i libri dagli scaffali e la piccola crede che i responsabili siano alcuni fantasmi che si aggirano da quelle parti. In realtà Cooper, da imperturbabile scienziato qual è, intuisce che in realtà la camera di sua figlia è soggetta ad alcune anomalie gravitazionali. Si accorge inoltre che gli spazi della libreria lasciati vuoti dai libri caduti a terra, se decifrati con un codice binario, rappresentano delle coordinate che identificano un luogo non lontano da casa sua. Decide così di raggiungerlo – seguito di nascosto da sua figlia – e, giunto lì in piena notte, viene immediatamente preso in consegna da alcuni agenti. Cooper si trova infatti in una base segreta della NASA, nella quale ormai da molto tempo si sta lavorando a un progetto di esplorazione dello spazio, alla ricerca di nuovi pianeti abitabili da cui far ripartire l’umanità – dato che per la Terra ormai non sembra più esserci speranza. Cooper, essendo un ex ingegnere e pilota di navicelle spaziali, viene scelto come capogruppo di una delle spedizioni assieme ad atri scienziati, diretta verso un wormhole apertosi nei pressi di Saturno che li condurrà in prossimità dei pianeti candidati a sostituire il pianeta Terra.
A quasi cinque anni di distanza da Inception, Christopher Nolan si tuffa ancora una volta nell’insidioso genere fantascientifico, affrontandolo con quelli che ormai sono diventati col tempo i tratti peculiari della sua cifra stilistica, ovvero una sceneggiatura granitica in cui tutti gli elementi si incastrano perfettamente, effetti speciali mozzafiato e una cura particolare nella scelta delle musiche. Paragonato da molti a 2001: Odissea nello spazio (2001: A Space Odyssey, 1968), Interstellar è in realtà un melodramma che ingloba molti elementi individuati anche in altri film del genere, in particolare in Contact (id., 1997) e Signs (id., 2002), ai quali Nolan sembra essersi ispirato soprattutto per la sostanziosa e rilevante presenza della componente emotiva – in particolare, la costante del rapporto padre-figlia; e inoltre la situazione familiare, l’ambientazione “agricola” e la soffusa atmosfera “esoterica” tipica soprattutto di Signs. Interstellar mescola così le tematiche scientifiche già incontrate in 2001 (l’evoluzione dell’uomo; l’indeterminatezza del concetto di tempo e la possibilità di viaggiare attraverso più dimensioni) con le forti e a tratti invadenti parentesi emotive che, per forza di cose, diventano il supporto necessario per l’ottenimento di un successo commerciale sempre dichiaratamente inseguito nelle maxi produzioni statunitensi (la costante della gravità che si trasforma nella forza dell’amore, così immutabile e resistente a qualsiasi cambiamento; la geniale rappresentazione dello spazio tempo – incarnato dalla raffigurazione estetica della libreria che si ripete all’infinito – che si esplicita grazie al viaggio all’interno del buco nero, viaggio che diventa inesorabilmente la tangibile proiezione visiva del più affascinante, misterioso, ma anche angosciante trapasso nell’Aldilà). Il sentimento si fonde con la fantascienza, con il chiaro intento di accontentare più palati possibile – siamo lontani dalla freddissima e respingente atmosfera di Inception – e con la piacevole (ma per altri avvilente) sensazione di aver assistito alla versione Bignami, alla riduzione “per principianti” dell’inaccessibile capolavoro di Kubrick, dato che il significato sia “scientifico” che morale del tema trattato emergono grazie anche alla capacità del regista di accompagnare lo spettatore per mano nei meandri di tematiche altrimenti troppo complicate. Nolan si riconferma così il regista chiarificatore, colui il quale non inventa nulla, ma che chiude tutti cerchi lasciati aperti nei film dai quali attinge avidamente.
Le musiche di Hans Zimmer (candidato all’Oscar) sono semplicemente perfette e conferiscono alla pellicola un’aura solenne che dona ulteriore spessore alla vicenda.
Da vedere.
Voto: quasi ottimo.
a cura di Giorgio Mazzola